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I Piani dei piani superiori vengono da lontano. Nel 2018, dopo un primo periodo di incertezza causato dalla marea di voti presi dal M5s, gli invisibili cervelloni altolocati, quelli che non vogliono mai mollare il potere, si sono messi alacremente al lavoro suggerendo fin da subito a Renzi, ancora segretario del Pd, di esprimere il suo "niet" ad una ipotesi di coalizione con i cinquestelle per indebolirli: tanto che quest'ultimi dovettero ripiegare su di un governo con la Lega. Circa un anno dopo, forse ancora su indicazione dei piani alti, Matteo Salvini tolse inspiegabilmente il sostegno al governo giallo-verde, quello del Conte I, azione di cui non si è mai riusciti a coglierne le reali motivazioni di fondo. Forse si puntava davvero alle elezioni anticipate per sgonfiare la ingombrante pattuglia pentastellata, ma qualcosa non andò per il verso giusto, o qualcuno non rispettò i patti. Senza Renzi da segretario, il Partito democratico accetta finalmente di formare un inedito governo giallo-rosso col M5s. Ma gli astuti cervelloni dell’attico, dopo aver fatto bene i conti, propongono a Renzi di uscire dal Pd con una nutrita pattuglia di onorevoli, per creare un nuovo partito, Italia viva, in modo da rimuovere la certezza di una solida maggioranza al centrosinistra. Infatti, al momento opportuno, zacchete!: sottraendo i voti determinanti di Renzi, levano di mezzo Giuseppe Conte facendolo dimettere dalla carica di presidente del Consiglio, per mettere finalmente un proprio uomo a Palazzo Chigi, soprattutto per tre validi motivi: 1) ci sono da spendere i soldi del Pnrr: meglio non lasciarli in mano a Giuseppe Conte; 2) nel 2022 sarebbe stato necessario guidare da una posizione di forza le elezioni per la sostituzione di Sergio Mattarella; 3) per averlo pronto per il Quirinale, è necessario lanciare nella mischia politica Mario Draghi, un tecnico bene a conoscenza nei meccanismi del sistema. La conferma di Mattarella di voler lasciare subito la carica di presidente della Repubblica equivale a sostenere che il predestinato sia stato già scelto: Mario Draghi, proprio da lui incaricato e messo in pista un anno prima per dargli l'abbrivio necessario. Il vero problema, a questo punto, è quello della sostituzione del banchiere alla carica di presidente del Consiglio dei ministri, mantenendo immutata la composizione partitica governativa. Non sembra percorribile la strada del recupero di Giuseppe Conte per guidare una maggioranza eterogenea: il suo riposizionamento a portavoce dei 5 stelle lo ha fatto diventare di parte. Visto che i "partiti" hanno dato chiara sensazione di sapere ingoiare di tutto, fra i nomi che circolano quello più neutro e contemporaneamente affidabile dal punto di vista dei poteri dominanti, che guardano dall’alto con "occhio" vigile, potrebbe essere proprio quello dell'immarcescibile Giuliano Amato, un socialista di sinistra gradito anche ai poteri di destra. Non avendo esigenze elettoralistiche da coltivare, a lui verrebbe affidato il compito di riaprire la ferita dei debiti con l'Agenzia delle entrate a carico di quegli italiani operosi, colpevoli di aver mantenuto sulle proprie spalle il peso delle incontrollabili spese pubbliche negli anni del disastro economico berlusconiano. Debiti provvisoriamente freezati da Draghi forse solo per agevolare la sua scalata presidenziale, visto che non ha frenato contestualmente gli interessi da strozzino pretesi dallo Stato. Dal canto suo Renzi, grazie ad interviste e consulenze, sta già raccogliendo all’estero, soprattutto nel mondo arabo, ciò che ha seminato. Quel che invece non è ancora chiaro è cosa gli sia stato promesso per le elezioni politiche del 2023: i piani alti non si sono ancora scoperti al riguardo. Ma lo faranno a breve.
di Giovanni Corrao - 07/01/2022
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