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Il premier Giuseppe Conte lo scorso tre giugno, durante una conferenza stampa, ha esternato le sue preoccupazioni per lo scollamento tra i due partiti della attuale maggioranza parlamentare, Lega e 5 Stelle, intervenuto all’indomani delle elezioni europee del 26 maggio u.s.. Alla sostanziale tenuta del Pd rispetto alle politiche del 2018 (22,74%) presentatosi insieme a Leu e Campo progressista, ha fatto riscontro un notevole balzo in avanti della Lega (34,26%), contrapposto al balzo indietro dei 5 Stelle (17,06%). Ce n’è abbastanza per mandare in fibrillazione il governo nazionale. Il tutto nasce dalla bravura di Matteo Salvini che è riuscito nella non facile impresa di stare al governo del paese, mentre in contemporanea svolgeva l’opposizione a quel governo di cui fa parte. Quel suo ostentare chiarezza di idee, al di là dei contenuti, ha ancora una volta convinto il popolo italiano di aver trovato un nuovo salvatore della patria, dopo che l’altro, il Cavaliere, è riuscito a lasciare macerie economiche dappertutto, senza neanche dichiarare una guerra. Al fondo della questione vi è la contrapposizione tra le due parti in cui si riconoscono sostanzialmente i cittadini italiani, gli unici che ancora credono negli ideali politici: sinistra e destra. Chi si sente di animo mancino, continuerà vita natural durante a votare sinistra, mentre chi sente di avere l’animo destrimane senza dubbio voterà partiti di destra. Di questo paradosso, in un periodo politico dove le differenze tra le politiche progressiste o conservatrici sembrano più di facciata che di sostanza, se ne giovano alcuni partiti ai quali sono tradizionalmente legati fasce di elettori. Ma veniamo al dunque. Salvini ha fatto il pieno di voti soprattutto per aver illuso gli italiani su argomenti molto presenti nei loro pensieri: come la diminuzione delle tasse, l’abbassamento della soglia pensionistica, e lo sblocco dei cantieri per creare occupazione. Il tutto senza sapere come far fronte all’enorme debito pubblico che continua a crescere anche sotto i suoi piedi, con l’aumento dell’IVA che incombe, e con l’Europa che minaccia ritorsioni economiche. Siamo alle solite irrealistiche promesse del centrodestra, purtroppo. In questa situazione instabile, nella quale si iniziano ad intravedere sullo sfondo elezioni politiche anticipate, ci sembra sia giunto il momento di sollecitare il rientro in campo del Partito democratico, sperando nella nuova segreteria Zingaretti. Questo perché questa formazione, in caso di crisi di governo, potrebbe avere un ruolo importante, ove fosse disponibile ad un avvicinamento al Movimento 5 stelle, una combinazione che appare molto più naturale di quella attuale tra Di Maio e Salvini. Già in un articolo precedente "Una difficile decisione" avevamo lanciato l’idea, in previsione di un deterioramento ulteriore dei rapporti tra gialli e verdi. Come sopra detto, solo gli elettori rimangono ancorati agli ideali storici della politica. Ma val la pena ricordare che al momento delle trattative per la formazione di un governo nazionale, si era intorno a maggio del 2018, ci aveva lasciati perplessi la propensione di Matteo Renzi, allora alla guida della più grande formazione di centrosinistra, ad un governo comprendente il liberale Berlusconi. E che ha preferito vedere la Lega al governo della nazione senza neanche tentare un approccio con i grillini. Una posizione così incomprensibile che, se mantenuta nel tempo, ci potrebbe far sorgere spontanea una domanda: ma il Pd da che parte sta e, soprattutto, da chi prende ordini?
Giovanni Corrao - 10/06/2019
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