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I venticelli polemici sollevatisi anche nelle ultime settimane a proposito di candidature di massoni nelle varie liste presenti alla competizione elettorale ora alle viste hanno riproposto, un’altra volta ancora, la questione della dignità riconosciuta o negata agli appartenenti alle logge, al loro diritto o meno di vivere al pari degli altri connazionali dello status pieno di cittadinanza, con le guarentigie alla privatezza là dove l’ordinamento le riconosce a tutti e i doveri di adempimento là dove lo stesso ordinamento non concede deroghe ad alcuno. E certo mi fa sorridere e insieme dolere – a veder la scena da dove sono, dalla luna cioè – che il dibattito si sia aperto e sempre si apra sui temi miserabili delle conte e delle crocifissioni di chi (è da ritenere) abbia amato e inteso condividere, nel tempo che gli è toccato vivere, e secondo le sue possibilità e capacità, le idealità di alcuni grandi di ieri, da Quasimodo a Pascoli, da Mozart a De Amicis, da Fermi a Totò, da Washington e Bolivar a Salvador Allende, e altri diecimila di questo spessore, ed altri centomila o un milione e molti più di un milione, in Italia e in Europa e nel mondo, di spessore intellettuale, artistico o politico certo meno rilevante ma comunque di coscienza incorrotta e sentimento aperto e solidale. Succede in quest’Italia che pur ha avuto ministri come il massone Michele Coppino, cui si deve l’obbligo scolastico (gratuito e aconfessionale), presidenti del Consiglio come il massone Giuseppe Zanardelli, il quale abolì la pena capitale, e gran maestri rinchiusi al confino fascista fino quasi alla morte come Domizio Torrigiani (così come nelle segrete pontificie dell’Ottocento era toccato al suo predecessore Giuseppe Petroni), martiri dell’antifascismo come il massone Giovanni Amendola e combattenti in patria e in esilio come il massone Francesco Fausto Nitti che fu tra i fondatori di Giustizia e Libertà, costituenti d’area mazziniana, liberaldemocratica e socialista e perfino il presidente della Commissione dei 75 – quella che ha redatto il testo base della costituzione repubblicana – di professione massonica. Intendo Meuccio Ruini, radicaldemocratico in forza ai demolaburisti del CLN e già, negli anni precedenti alla dittatura, amendoliano (al pari di quanti altri esponenti della Libera Muratoria giustinianea, compreso il futuro gran maestro d’origini cagliaritane, dettorino di formazione, Guido Laj, e diversi altri sardi militanti nelle logge dell’Isola, da Ezio Mereu a Mario Berlinguer). A lui, a Ruini, non chiesero, i partiti del tempo – eppure c’erano, numerosi, i comunisti e i socialisti stalinisti così come c’erano, numerosi anch’essi, i democristiani sì degasperiani ma anche obbedienti a papa Pacelli, e in forza c’erano pure i qualunquisti nostalgici di Giannini – se aveva o aveva avuto la tessera massonica in tasca. L’avrebbe mostrata Ruini: gliela aveva rilasciata nel 1901 la romana Rienzi (invece fu dal 1915 che la stessa loggia accolse Tomaso Smith, eccellente futuro direttore di Paese Sera, per dire dell’area politica più avanzata). Nessuno osò chiedere (e giudicare) la tessera massonica neppure al mazziniano Giovanni Conti, che dell’Assemblea costituente fu il vice presidente: la sua era della fermana loggia Tenna. Non la chiesero, la tessera, neppure a Ugo Della Seta, giurista di prima grandezza anch’egli con i repubblicani nel palazzo costituente, e ben si sapeva, a Montecitorio, che proprio dal 1946 egli era stato fatto gran maestro aggiunto dei giustinianei (e sarebbe divenuto gran maestro onorario ad vitam successivamente). Non la chiesero la tessera, se massonica o no, agli altri deputati costituenti e agli altri parlamentari delle due camere nelle prime legislature della vita repubblicana. Neppure a Mario Berlinguer, massone e aventiniano dal 1924, mentre infuriavano gli assedi alle logge e gli squadristi bruciavano le biblioteche massoniche e a Firenze uccidevano anche, e cantavano vittoria. Era stato, Berlinguer, forte del suo credo politico azionista che bene associava alle tavole valoriali della Libera Muratoria, alto commissario aggiunto per l’epurazione, era stato consultore, era stato costituente, si apprestava a diventare senatore di diritto, perché forzatamente dimissionato dal parlamento nel 1925 nientemeno – sembra… incredibile – che da una legge di Mussolini. Con l’eleganza e la sobrietà loro propria i fascisti, anche i fasciomori de Il Giornale di Sardegna, dedicavano lunghe “articolesse” – come si chiamavano – a «Certo sor Rovasio, noto capoccione della Loggia Massonica di Sassari, il quale da qualche tempo a questa parte si è baldanzosamente collocato capintesta dell’antifascismo sassarese… travasando ora su La Voce Repubblicana ora su La Nuova Sardegna il sugo di certe sue trovate filosofiche… che levati!»: poteva, Rovasio – medico psichiatra nella sua attività professionale, sardista mazziniano di forte fede (sarebbe stato anche il biografo di Lussu nel 1943, nel quaderno stampato nel nuovo inizio dal PSd’A) – «queste cose… contentarsi di contarle ai Venerabili fratelli nel segreto del Tempio, chissà che a quei maestri del ben vivere non finiscano per crederci davvero! A noi no!». Oltre ai fascisti del 1923 e del 1924 non ci avrebbero creduto neppure i movimentisti delle 5 stelle del 2018, né Matteo Renzi né gli altri ripetenti di destra e sinistra, o di sedicente destra e sedicente sinistra. Anche in Sardegna. Certo è che a guastare l’aria e a dar corpo alle ombre con molta fantasia e la leggerezza dell’irresponsabilità e la propensione crescente a spettacolarizzare la loro missione civile, hanno anche concorso, nel tempo, i giornalisti, o un qualche modo di fare giornalismo, ovunque e anche in Sardegna. Nel 1993, mentre talune quote dei palazzi politici e altre dei bar frequentati dai quidam soloni eran prese dalla febbre trasparentista, a proposito delle liste degli iscritti alle logge, i giornali bisticciavano fra di loro. Bisticciavano e si disputavano le edicole perché la versione de L’Unione Sarda non corrispondeva a quella de La Nuova Sardegna e viceversa, né nella composizione dei piedilista ostesi per svariati giorni (le fonti compulsate erano quelle della Commissione antimafia e della Procura di Palmi), né su altro. Dico “su altro”, perfino quando la fonte era la stessa: il cronista di una testata scriveva infatti, a riguardo del Consiglio regionale e della crisi della giunta Rais che si assumeva essere stata figlia di una trama complottista ordita dalle logge, che «il 90 per cento dei consiglieri di quei partiti di maggioranza appartenevano alla massoneria», l’inviato dell’altra scriveva invece che «il 90 per cento dei consiglieri regionali massoni appartenevano ai partiti di quella maggioranza. E anche di quella attuale». Il che non era proprio un dettaglio: in un caso sarebbero stati, i massoni, 35 su 80, nell’altro 3 su 80. E intanto dal PDS (ex PCI) si scatenava una indagine sotterranea per incastrare nell’organico di una qualche loggia il nome inesistente di un compagno (assolutamente da sanzionare) che era stato assessore alla sanità e poi presidente dell’Assemblea, gravemente indiziato per essere amico personale dei Corona, mentre i sardisti costringevano Eliseo Spiga a dimettersi da segretario del sindacato e, vestendosi da Torquemada, dimenticavano che fra i grandi nomi del sardismo della prim’ora e dell’antifascismo sardista figuravano quelli di Efisio Mameli Cubeddu (zio di Italo Calvino che peraltro era anche figlio di massone) e, appunto, Annibale Rovasio assieme ad almeno altri dieci o venti nell’eccellenza scozzese – Pietro Mastino compreso – e altri cento nelle logge, e che intere compagini liberomuratorie, come quella bosana di Melkiorre Melis, godevano ad associare alla bandiera tricolore quella sarda dei quattro mori… Ignoranza pura. E strafottenza. Ci fu allora, ad Arzachena come a Quartucciu e a Magomadas, e addirittura a Carbonia la caccia al massone, ci fu la rottura degli equilibri politici locali e lo scarico dagli incarichi assessoriali di galantuomini (mi viene ora alla memoria, a proposito di Carbonia, quello dello stimatissimo preside Murgia, già responsabile della Pubblica Istruzione). Così anche nell’Amministrazione provinciale di Cagliari. Vedere le cronache per sincerarsene: un’assurdità democratica passata per rivitalizzazione istituzionale. A Villasor, giusto centovent’anni prima, il sindaco massone Michele Vaquer, insieme con i consiglieri comunali (pure massoni) e il sostegno del deputato Francesco Salaris (anche lui massone), aveva promosso il ricovero di mendicità del circondario (presso l’ex convento dei padri osservanti) e la società operaia di mutuo soccorso – attrezzata anche come scuola serale per la disponibilità offerta dal segretario comunale abilitato maestro –, dopo averne anche discusso, con tutta libertà, nel privato associativo della loggia Sivilleri, caratterizzato dalla sensibilità sociale, o chiamala filantropica, di un certo umanitarismo postrisorgimentale. E aveva firmato, quel sindaco con i suoi consiglieri per caso massoni, una petizione alla Camera dei deputati per la abolizione della pena capitale: «Considerando che fin dallo scorso secolo fu protestato contro la pena di morte e chiaramente dimostrato che essa è inutile sotto ogni rapporto, giacché né moralizza né educa; Che per moralizzare ed educare la Società occorrono scuole popolari, non già forche e mannaie; Che la mantenuta pena di morte è un patente insulto al progresso e alla civiltà dei tempi attuali…». Grandi valori e buona ordinaria amministrazione. Avrebbero chiesto, le 5 stelle e Renzi e i sovranisti, le dimissioni di quel sindaco e di quei consiglieri, tutti rei di “massonismo”? Ma certamente – lo capisco bene – uno potrebbe anche opporre a tanta libera difesa, quella che sto argomentando, altre motivazioni: riconoscendo la nobiltà di una storia passata, egli potrebbe porre domande sulla coerenza a quella storia del vissuto presente, nell’ordinario quotidiano. Sicché potrei a mia volta dar qualche ragione ai critici e agli ipercritici, non nascondendomi che l’abbassamento terribile di tensione morale presente nella società d’oggi rispetto ad alcuni riferimenti o paradigmi che un tempo contavano nel sentire personale e nello spirito pubblico – quello politico in primis, non quello sociale –, abbia intaccato anche parti della complessa compagine liberomuratoria. Lo dico dal mio punto di vista, che è eccentrico (ed indipendente, perché non ho in tasca altra tessera che quella dell’Avis) ma pure non improvvisato: faticherei anch’io, repubblicano azionista con mille radicate cointeressenze ideali, sedimentate nel tempo eppure sempre vivide, con liberali moderati e riformisti di radice socialista, con autonomisti e libertari radicali, con cattolici manzoniani e luterani, a comprendere come possa capitare che la formazione intellettuale e civile d’un massone, tutta impostata su un approccio critico dell’esistente, possa incrociare e dirsi compatibile con i ciarpami correnti: dal sovranismo autoreferenziale al populismo demagogico al semplicismo chiacchierone delle destre partitiche e di certo assemblearismo ora cibernetico ora di piazza. Lo dico in termini più chiari: come possa, o come potrebbe oggi, un massone italiano che conosca la storia della Obbedienza cui ha aderito, e che abbia per familiari le testimonianze docenti dei gran maestri risorgimentali come di quelli novecentisti, antifascisti e ricostruttori in repubblica, intessere compatibilità con i piazzaioli ed i quaquaraqua, con le 5 stelle e con forza italia (pagana per statuto, paralizzata ancora dal culto della personalità del gran leader evasore fiscale), o con i mameliani rovesciati di fratelli d’italia (davvero povero, povero Goffredo nostro abbattuto 22enne dal fuoco dei soldati chiamati dal papa-re e ora evocato dai parafascisti senza religione e senza ritegno!) o con i conformisti riciclati di cui Renzi s’è fatto ammaestratore, o con i leghisti giuratori “sul popolo e sul Vangelo” applauditi dagli alleati d’un sardismo penosamente svuotato di sapienza? E allora? Tutto negativo? Sola salvezza – o speranza, o illusione di salvezza – l’estraneazione dalla gara? Non ho risposta, benché sappia che, in talune fasi storiche, ben può farsi politica anche fuori dai partiti e dalle rappresentanze, come gli indimenticati “amici del Mondo” fecero per lungo tempo arricchendo di riflessioni e competenze il dibattito della politica nazionale oltretutto in una fase cruciale per la vita della Repubblica che s’avviava a passare dalla lunga stagione centrista a quella riformatrice del centro-sinistra. Scomparsa dalla grande scena sociale la cultura politica e civile che rimanda ai grandi padri, è mai possibile che quella cultura politica e civile, pur di minoranza ma anche così vitalmente articolata, sia scomparsa anche dalle logge che dovrebbero essere, pur nella trasversalità delle interpretazioni e degli apporti, le sentinelle della tradizione patria? Sentinelle non mummificate, s’intende. Io credo, ho sempre creduto, che seppure, in quanto società ecumenica, la Massoneria goda di un largo raggio aideologico ed aconfessionale, essa, data la particolarità della situazione storica in cui è germinata, non possa negarsi a fedeltà particolari e alte: il che significa, in Italia e in Sardegna, non negarsi a un militante riferimento ai valori di democrazia liberale e sociale quali furono codificati o strutturati nel corso di quasi duecento anni, dalla stagione delle costituzioni europee, e soltanto attendono una piena e rinnovata attualizzazione nel contesto dei nuovi tempi che ci tocca vivere. Elaborando teoriche aperte dei diritti civili, spingendosi nelle riflessioni più avanzate lungo i campi, ad esempio, della bioetica. Ma invero le logge non sono accademie, non sono e non possono essere assemblee di pura intellettualità, o di un professionismo eletto, e naturalmente mai e poi mai finalizzate a obiettivi venali; sono e debbono essere, al contrario, in logica attrattiva e non banalmente proselitistica, incontro di umanità e di esperienze “di servizio” maturate nel vivo della società. Sicché può ben dirsi, in Sardegna come generalmente in Italia, che innumerevoli attività profilate dalla storia remota in termini paternalistici e poi di patronato – la fondazione del mutualismo operaio ad esempio (cui prima alludevo), il varo di una legislazione sociale in seguito – oggi incrocino le migliori energie delle logge impegnate in modalità nuove e originali, così soprattutto nel volontariato che coinvolge non soltanto portafogli finanziatori (ora pro Croce Rossa ora pro sistema comunitario e riabilitativo, ecc.) ma persone in carne ed ossa – i massoni come sono – negli ambulatori medici o nei dormitori, nella distribuzione dei pacchi viveri, nell’animazione dei centri di socializzazione, nell’assistenza degli studi legali… Nessuna propaganda, soltanto qualche volta, quando la cosa pare inevitabile. A questo penso. E so però che l’impegno sociale non annulla o non sostituisce quello civile e politico, che a mio avviso deve sempre tenere un libero muratore lontano dal semplicismo di destri e sinistri, non dalla destra (da intendersi quella critica liberale, ovviamente, non quella grezza degli intruppati dai sodali del maggior evasore fiscale sulla scena) e non dalla sinistra (anch’essa da cogliersi liberata da ipoteche dottrinarie e scombinati giacobinismi). Le logge cagliaritane hanno avuto nel secondo dopoguerra e fino agli anni ’80-90, nei propri piedilista, anche alcune decine di militanti e/o elettori fedeli del PCI così come del MSI. Gli altri trecento e più che figuravano nei piedilista guardavano meglio ai lasciti mazziniani e cavouriani, conoscevano Bovio, Carducci e Battisti, e con i loro Fratelli sassaresi o nuoresi intitolavano le proprie officine o i capitoli scozzesi a Garibaldi e Gio.Maria Angioy, a Giorgio Asproni e Francesco Ciusa, sentivano l’universalità morale di Lando Conti così come di Kipling e Mozart e Fermi… a cui pure riferivano i loro titoli distintivi. Ma quei venti o trenta massoni iscritti o votanti il PCI e, al polo opposto, i partiti monarchici od il MSI, ancora erano uniti – tanto più nei lunghi e laboriosi anni ’50 e ’60 – da un valore più alto di quello dei partiti di preferenza: dall’amore di patria, dal senso della continuità nazionale e dalla devozione alle istituzioni pubbliche assunte per la rappresentanza e la regolazione della vita sociale. Un gran pensiero che non allontanava, se non per scaramucce, gli uni dagli altri. E la vita obbedienziale si faceva utile, tale si rendeva ai partecipanti, per le proprie maggiori consapevolezze, così come a quel tanto di società civile e professionale da essi intercettata. Si tratterebbe di avere oggi – tempo di un pragmatismo senza anima – la libertà per compiere una analisi larga delle coerenze ideali con i protagonisti della scena pubblica quale, nuda e cruda, si presenta al giudizio, alla adesione o al contrasto; non inficierebbe una tale prova il dogma secondo cui in Massoneria – proprio per rispetto alla sua natura ecumenica o trasversale – “non si discute di politica e di religione”, che è cosa valida e insuperabile nelle trattazioni formali o chiamale rituali: perché l’analisi, che molto impegnerebbe la coscienza morale e quella civile dei singoli, dovrebbe potersi condurre nelle opportune sedi laiche e di cultura. Le pretese trasparentiste rinnovate, in questi ultimi mesi, dalla Commissione parlamentare antimafia negli interrogatori ai diversi gran maestri delle varie Obbedienze nazionali e, in questi ultimi giorni, dall’estemporaneità gigiona di chi vuol dimostrare d’esserci o, per la storia, d’esserci stato ed aver lasciato il segno – i piazzaioli –, mi hanno ricordato alcuni precedenti. Il primo è del 1924, e riguarda il periodico cagliaritano Battaglia. Nei nn. 11 e 12 datati rispettivamente 15 e 22 settembre e titolati “Massoni, Massoni fascisti” e “Fascisti massoni”, così si esprimeva il salutare foglio: In tutta Italia la stampa onesta, seguita e confortata dall’appoggio delle libere e rette coscienze dei buoni italiani, ha avuto inizio una gagliarda campagna contro la “congrega verde” che deve portare al troncamento definitivo della torbida setta che per tanti anni, attraverso i mezzi più turpi ed infami, ha dominato la cosa pubblica. Nella nostra provincia, Il Giornale di Sardegna, non secondo agli altri confratelli d’Italia, combatte vigorosamente la sua battaglia contro la Massoneria. Noi, per conto nostro, non ce la sentiamo di stare con le mani in mano. Abbiamo pronto un primo elenco di affiliati alle varie logge (via Barcellona, Corso Vittorio Emanuele, palazzo Brusa), di Cagliari, che pubblicheremo a suo tempo. Ma poiché un giornale popolare ha detto «che sarebbe utile ricercare i massoni anche nelle file del fascismo» dichiariamo: che i pochi fascisti appartenenti alla Massoneria ci sono noti; che attendiamo da costoro una esplicita dichiarazione pubblica; che se le dichiarazioni non verranno, e subito, pubblicheremo i nomi di coloro che ritengono di poter impunemente e comodamente tenere il piede in due staffe. Un po’ di pazienza, signor popolari, ché sapremo servire a dovere i vostri fratelli di anime trepuntini. E ancora: I pochi fascisti appartenenti alla Massoneria ci sono noti, attendiamo da costoro una esplicita dichiarazione pubblica che potrà essere inviata a Battaglia come ha già fatto taluno. Se le dichiarazioni non verranno, e subito, pubblicheremo i nomi di coloro che ritengono di poter impunemente e comodamente tenere il piede in due staffe: s’intende che considereremo come tali anche i cosiddetti “dormienti”, i quali non procurino di “farsi bruciare fra le Colonne!”. Ricordo che quando, alla fine del 1949, confluì nel Partito Socialista Italiano insieme con i suoi compagni del Partito Sardo d’Azione socialista, Emilio Lussu ricevette da Pietro Nenni la tessera (Falce e martello sopra il libro) retrodatata al 1919, come a voler dire che il sardismo era nato socialista (il che, invero, non era). Si potrebbe oggi donare ai 5 stelle (e ad altri destri e sinistri che rilasciano sapute dichiarazioni) la tessera fascista del 1924. Nel suo numero del 5 marzo 1978 fu L’Espresso a fare, o tentare, lo scoop con la pubblicazione dei nominativi dei Maestri Venerabili di tutte le logge giustinianee d’Italia. I sardi compresi. Sarebbe stata veramente una provocazione forte per l’Obbedienza anche in sede regionale, mentre giungevano dal continente notizie sempre più frequenti di contenziosi sotterranei fra gli organi collegiali del Grande Oriente d’Italia e la loggia segreta e “di potere” infeudata a Licio Gelli (ma rivelatasi clamorosamente soltanto nel 1981, dunque tre anni dopo). Si sarebbe messa in esame la nozione profonda di segretezza in rapporto a quella più pertinente (e garantita dalla costituzione) della riservatezza, suscitando il confronto fra la storia e l’attualità, le esigenze di copertura di un tempo e quelle dell’oggi, ma si sarebbero ridiscussi anche i codici comportamentali della Fratellanza al suo interno (sui limiti o più ancora sulla natura della solidarietà intra moenia o del mutualismo) e anzitutto la duplicità dell’impegno volto, da una parte allo studio iniziatico e rituale, dall’altra all’offerta civile. Fu in quel contesto che, il 6 marzo 1978, L’Informatore del lunedì – edizione settimanale de L’Unione Sarda – pubblicò con grande rilievo, in prima pagina, un reportage, in verità senza corrispondenza tra fragore del titolo e contenuti dell’articolo, sulla organizzazione delle logge e l’organigramma dei vertici delle stesse, ricavandone il più da quanto apparso nel lungo ed “esplosivo” servizio di Roberto Fabiani appena uscito su L’Espresso. “Nome per nome, città per città. Tutti i massoni d’Italia”, aveva titolato il magazine di Caracciolo e Scalfari in copertina. La tabella della Sardegna era in ultima pagina: «Cagliari – L. Sigismondo Arquer: Eliseo Spiga, L. Hiram: Armando Corona, L. Nuova Cavour: Vincenzo Delitala, L. Risorgimento: Salvatore Gusmeri, L. Alberto Silicani [per un refuso segnalata “Siciliani”]: Placido La Valle; Cala di Volpe – L. Caprera: Emilio Acciaro; Carbonia – L. Giovanni Mori: Luciano Massenti, L. Risorgimento: Franz Bianchi; Nuoro – L. Giuseppe Garibaldi: Giuseppe Mesina; Oristano – L. Ovidio Addis: Stefano Mura; Sassari – L. G.Maria Angioy: Achille Cubeddu». Giorgio Pisano, cronista di punta de L’Unione Sarda (ora a direzione Gianni Filippini) e de L’Informatore del lunedì (a direzione Vittorino Fiori), ci ricamò sopra, da par suo. Titolo di spalla su tre colonne “Massoneria in Sardegna” con occhiello “Chi c’è, che fanno”, ed incipit alla romanzesca o all’immaginato verosimile: «Avant’ieri il venerabile maestro Armando Corona, leader repubblicano e assessore regionale, ha annullato tutti gli appuntamenti. E qualche minuto prima di mezzogiorno si è incontrato con i fratelli delle quattro [recte: cinque] logge cagliaritane. La riunione, avvenuta in una misteriosa località dell’Isola, si è svolta in via riservata… Un “vertice”, insomma, durato più di due ore per trovare una risposta ad una sola, pressante domanda: che fare per proteggere i mille nomi dei “liberi muratori” in Sardegna». E giù a replicare i nomi apparsi su L’Espresso, o ad elencare quelli passati all’Oriente Eterno e celebrati nei necrologi pubblicati sullo stesso giornale: Francesco Bussalai, Anton Francesco Branca, Giuseppe Borio, Bruno Mura, Mario Sebastiani, «il padre del ministro Cossiga e quello di Enrico Berlinguer». «Uomini illustri, intellettuali di sinistra, rappresentanti della borghesia illuminata: sembrano essere questi gli ingredienti della massoneria in Sardegna… Mancano, e non solo nell’isola, i democristiani. L’unico di cui si sappia con certezza l’adesione al Grande Oriente d’Italia è il presidente della Montedison Giuseppe Medici: 12 anni fa a Bologna andò in Consiglio comunale dimenticando di togliersi il grembiulino massonico…». E poi variazioni sulla etimologia della parola “massone”, e anche però un passaggio interessante che si sarebbe rivelato, anni dopo, illuminante: «Tutte le logge sono riservate. Una sola fa eccezione: la P2, segreta nello stesso ambiente della massoneria. Mentre nelle altre logge l’elenco dei fratelli è trascritto su un registro, nella P2 i nomi sono in codice, su carta perforata. La ragione è molto semplice: istituita più di un secolo fa, questa loggia raccoglie esclusivamente personaggi d’alto bordo che ricoprono delicati incarichi nella vita pubblica. Stando alle indiscrezioni, vi aderiscono tra gli altri…». E giù nomi, altri nomi che nel 1981 la nota operazione di Castiglion Fibocchi avrebbe confermato o smentito. A seguire ancora riferimenti alle tensioni interne al GOI proprio riguardo a questa loggia speciale, un riferimento alla Lega dei diritti dell’uomo, ai Lions e al Rotary club, un riferimento altresì alle voci di tanto in tanto correnti anche nell’Isola riguardo ad interventi per tentare la liberazione di persone sequestrate dai banditi… E ancora generici accenni ai rapporti con la Chiesa cattolica, ai patimenti sotto il fascismo con anche qualche ulteriore invenzione storica per… asseverare leggende metropolitane: «In Sardegna i “liberi muratori” su esplicita richiesta fecero aderire al partito [fascista], i fratelli della loggia di Tempio. Oggi, a distanza di molti anni, si sostiene che fosse uno stratagemma per coprire le altre logge. A riunire le fila della “Famiglia” nel secondo dopoguerra partecipò in prima persona Giuseppe Tocco assieme a numerosi intellettuali e operai, tra i quali spicca quell’Alberto Silicani a cui è stata intitolata una loggia a Cagliari». Per concludere così: «Nell’Isola comunque la tradizione laica è sempre stata rispettata. Non ci sono mai stati scandali, processi, espulsioni. La leadership è in mano ad Armando Corona. Pare che dopo le grosse polemiche nazionali, d’accordo con Palazzo Giustiniani, la massoneria voglia uscire allo scoperto per dimostrare – attraverso i nomi dei suoi aderenti – la moralità dei “liberi muratori” italiani. Verranno così a galla anche i mille massoni sardi? Domenica a Roma, quando sarà ufficializzata la scissione con la P2, si deciderà». Se ne potrebbe dire, anche per smitizzare o appannare l’aureola: che nel 1978 i Figli della Vedova sardi non erano mille ma soltanto trecento o poco più, che non il padre ma il nonno materno dell’on. Cossiga era massone (il Ven. Antonio Zanfarino), che il ruolo di Giuseppe Tocco nella ricostruzione postbellica fu invero marginale anche per la prevalente residenza toscana dell’allora giovane professore, ecc. Certo è comunque che l’articolo di Pisano aprì un filone tematico e d’interesse – o forse di curiosità – nella pubblica opinione isolana, che avrebbe avuto in seguito numerose e non tutte commendevoli repliche. Quello di Armando Corona – Maestro Venerabile per il secondo anno, nel 1978, della loggia Hiram e ancora presidente del Collegio massonico regionale – era, all’indomani del rimbalzo dello scoop giornalistico nella redazione di Terrapieno, il nome attorno al quale di più ci si sbizzarrì a dire e commentare, per il rilievo politico dell’uomo. Egli, al momento assessore regionale e delegato del presidente nel coordinamento della Giunta, presentò all’on. Soddu le sue dimissioni, peraltro non accolte dal presidente che gli confermò la sua piena fiducia. Fiducia, o comunque rispetto, egli ricevette – in forme espresse o in forme tacite – da tutti i partiti, compreso il PCI (coinvolto nella politica della Unità autonomistica e con il suo on. Raggio chiamato alla presidenza dell’Assemblea regionale), con molti dei cui esponenti egli aveva intessuto negli anni una trama di positive relazioni personali e politiche. Con intelligenza ed abilità, l’on. (e Fr.) Corona riuscì a trasformare in breve tempo quella che poteva essere una situazione di imbarazzo e difficoltà in un’opportunità favorevole sia alle sue fortune che a quelle della Istituzione liberomuratoria. Non mancò infatti di aderire all’invito rivoltogli dalla stampa per approfondire la realtà latomistica locale e, senza poter naturalmente evadere dai vincoli che impedivano a tutti tranne che al gran maestro di rilasciare interviste, informalmente concesse spazi di interlocuzione riservata che, all’apparenza generosi, erano in verità – letti alla distanza – molto avari. E invece facilitò i giornalisti – come capitò ancora con quelli de L’Unione Sarda/L’Informatore del lunedì quasi all’indomani delle rivelazioni de L’Espresso – nel soddisfare le loro richieste a latere: ad esempio facendo incontrare (mediatore/accompagnatore il sottoscritto, allora giovanissimo) il cronista con la signora Silicani. L’articolo (“Un massone sardo amico di Mitterand”) uscì, a firma di Pisano, sulla terza pagina del settimanale cagliaritano il 3 aprile 1978, peraltro con molte imprecisioni (forse non tutte dovute alla penna, brillante e immaginifica, dell’amico cronista: così per lo scambio dei Mitterand, tra Jacques gran maestro del GOF e Francois leader socialista e presidente della Repubblica francese; così per l’alto grado scozzese attribuito e mai documentato né in alcun modo credibile di Ottone Bacaredda, da taluno ipotizzato come massone iniziato in qualche loggia del continente nei suoi anni giovanili, quando seguì il padre nelle peregrinazioni del suo pubblico ufficio, e ritenuto “dormiente” negli anni della sua sindacatura). Quindici anni dopo venne, in tutt’altro contesto, la pubblicazione delle liste complete da parte dei due quotidiani sardi (seguì, con proprie lenzuolate, Sassari Sera). Da alcuni mesi s’era dimesso e aveva promosso addirittura una scissione dal Grande Oriente d’Italia lo stesso gran maestro Giuliano Di Bernardo, successore di Armando Corona al vertice della Comunione giustinianea. Erano in corso diverse inchieste giudiziarie tanto più centrate sulle regioni meridionali d’Italia e la Procura di Palmi era in prima linea negli accertamenti e nei sequestri di documenti da esaminare. In parallelo si muoveva la Commissione antimafia presieduta dall’on. Luciano Violante. In Sardegna il Consiglio regionale aveva registrato dibattiti e richieste alla presidenza dell’Assemblea, così come una richiesta era pervenuta alla presidenza della giunta, riferite alle autocertificazioni di “non appartenenza” alla Massoneria, magari nella formulazione positiva della “appartenenza a quali generi di associazioni”: così dunque per gli assessori ed i consiglieri, ma anche per i funzionari ed impiegati del Consiglio. In uno studio commissionatomi ora sono diversi anni fa riordinai i cospicui materiali, d’archivio e giornalistici, che riguardarono anche questa vicenda che destò clamore nel capoluogo e nell’Isola. Eccone qui di seguito soltanto alcuni stralci limitati ai primi giorni dello scoop. Tanto per evocare le misere atmosfere d’un quarto di secolo fa e il voyerismo ex 1924 scambiato per amore alla democrazia. E l’operazione trasparenza alla Regione? Passano le settimane e i mesi, e le risposte attese non vengono. Così a fine luglio, l’on. Scano bussa nuovamente alla porta del presidente Floris, cui recapita una lettera di preoccupazione e allarme: chiede «se i consiglieri interessati abbiano ottemperato all’invito di dichiarare l’eventuale appartenenza alla massoneria» e se, in caso affermativo, non ritenga opportuno, il presidente, di «rendere pubbliche le dichiarazioni stesse», nonché di riferire su quanto compiuto dal capo dell’esecutivo Antonello Cabras. Per quanto riguarda l’Amministrazione si saprà presto della nota inviata dal titolare degli Affari generali e personale, Ugo Collu, ai diversi servizi dipendenti dalla presidenza, nonché agli assessorati e agli enti di emanazione regionale, con cui chiedeva ai responsabili degli uffici di acquisire «la dichiarazione attestante l’iscrizione ad associazioni…»: «la dichiarazione dovrà essere rilasciata dagli impiegati di ruolo appartenenti alle qualifiche funzionali dirigenziale e ottava, e dal personale in servizio non di ruolo a qualunque titolo, avente corrispondenti o analoghe funzioni». Alle perplessità emerse, magari a mezza bocca, qua e là nella megastruttura burocratica di viale Trento e palazzi associati, si sono combinate le proteste dei sindacati del personale in servizio nell’altro megapalazzo dell’Autonomia speciale, quello parlamentare di via Roma. Qui, le varie sigle di rappresentanza hanno denunciato come inaccettabile la «schedatura poliziesca» vagheggiata dagli onorevoli dell’aula. A tutti gli scontenti prova a rispondere, con l’abituale educazione, l’assessore Collu: nessun intento «di schedatura o discriminazione politica», soltanto la volontà «di dare concretezza e credibilità alla domanda di trasparenza dell’azione amministrativa». Un civis quidam – tale Alessandro Lampis (ma il nome potrebbe essere un prestito) – scrive a L’Unione Sarda che il 29 settembre dà spazio ad alcune sue osservazioni: «L’iniziativa assunta dagli organi regionali è davvero assurda e degna del migliore Stato di polizia. Vorrei ricordare che l’art. 8 dello Statuto dei lavoratori vieta in modo assoluto a qualsiasi datore di lavoro di “effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché sui fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”. Ma evidentemente in questi tempi così cupi dove in nome della lotta contro la corruzione sembra lecito calpestare anche i più sacrosanti diritti di libertà sanciti dalla nostra Carta costituzionale nessun giudice oserà mai promuovere qualche azione contro il politico che, tentando di rifarsi una verginità, dia prova di così grande attaccamento alla nuova “trasparenza”. Mi auguro soltanto di poter leggere sul giornale la notizia che qualche funzionario coraggioso si è premurato di buttare nel cestino della carta straccia questo vergognoso ed ignobile questionario, sicuro che nessuna autorità giudiziaria lo potrà perseguire per una siffatta disubbidienza». Anticipata da una mossa de la Repubblica ancora a direzione Scalfari, una mezza rivoluzione mediatica, con riverberi però immediati sull’opinione pubblica si scatena in Sardegna con la pubblicazione da parte de La Nuova Sardegna, venerdì 15 ottobre 1993, delle liste degli effettivi giustinianei di Cagliari e Carbonia. In verità con svariate imprecisioni (che diventeranno un’abnormità nella replica che si farà, stavolta veramente soltanto per volgare prurigine, nel 2004, se è vero che un numero considerevole di nominativi risulteranno allora o passati… all’Oriente Eterno perfino da svariati anni, o assonnati pure da lungo tempo, mentre fanno capolino qua e là nominativi forse appartenenti ad altra Obbedienza e perfino il nome di qualche donna…, evidentemente appartenente a Comunioni diverse dal Grande Oriente d’Italia del quale però, con pressapochismo, si tratta). La stampa cavalca lo scoop, perché dopo quelle de La Nuova Sardegna vengono le lenzuolate de L’Unione Sarda, che mentre ricama il pettegolezzo non si perita di occultare i nomi che possono imbarazzare questa o quella testata o area politica… “Il chi è dei massoni sardi”, titola di taglio centrale il quotidiano sassarese con occhiello “Sono 542 gli affiliati ‘ufficiali’ al Grande Oriente d’Italia”, con sottotitolo “L’elenco dei ‘fratelli’ di Cagliari e provincia” e sommario: “Forse altri iscritti si sono rifugiati in ‘ordini’ più riservati. Pochi politici e giornalisti. Molti medici, ingegneri e avvocati”. La prima spalmatura prende integralmente le pagine 4 e 5. E’ Filippo Peretti, capo della redazione di Cagliari (con Giorgio Melis ancora, come nel 1986, vice direttore in sede) a presentare i cagliaritani ed i sulcitani in rigoroso ordine alfabetico, con qualche estremo anagrafico e la compagine di appartenenza. Titoli, occhielli e sommari mirati: “L’ora della trasparenza, ecco i ‘fratelli massoni’”, “Gli elenchi delle logge nella provincia di Cagliari”, “Nell’‘impero’ di Corona ci sono pochi politici ma molti medici, avvocati, funzionari, ingegneri, e qualche giornalista”. Nel testo alcune allusioni agli scozzesi di Piazza del Gesù («il loro numero dovrebbe essere nettamente inferiore») e «di un altro numero di fratelli (i pezzi grossi, si vocifera) che per prudenza hanno preferito rifugiarsi in logge più sicure e riservate, forse addirittura all’estero (Inghilterra e Malta, soprattutto) o in altri “ordini”». La conclusione è però soltanto per un uomo: «E’ il “regno”, tutto sardo, dell’ex gran maestro Armandino Corona. L’uomo che dopo essere stato protagonista della vita politica regionale e dopo l’esperienza di Palazzo Giustiniani, si è rituffato in grande stile nel mondo degli affari, tanto da essere considerato una vera potenza per ricchezza ed influenza». Gli elenchi sono riesposti in ordine alfabetico nel superaggregato delle 13 logge cagliaritane – vale a dire Nuova Cavour, Hiram, Sigismondo Arquer, Risorgimento, Alberto Silicani, Sardegna, Francesco Ciusa, Giorgio Asproni Lando Conti, Hur, De Molay, Enrico Fermi, Concordia, mentre manca ancora l’organico della Vittoria, istallatasi da pochi mesi soltanto – e per le 2 di Carbonia, e cioè la Giovanni Mori e la Risorgimento. Per ciascuna d’esse è specificata la data di innalzamento delle Colonne, con qualche imprecisione (che per il giornalismo corrente, o forse di sempre, non è però un problema). Può interessare la parte iniziale di un riquadrato illustrativo (“Due novità: un altro ‘tempio’ e una miniscissione”): «Negli ultimi mesi nella massoneria cagliaritana si sono verificate due novità. 1) In aggiunta a quelle contenute nell’elenco che pubblichiamo e che risale alla scorsa primavera è nata una nuova loggia, si chiama Vittoria, come la prima della storia del capoluogo isolano (era il 1861): vi si sono trasferiti “fratelli” di altri “templi”. 2) Sulla scia della vicenda Di Bernardo, si è provocata una miniscissione: alcuni massoni (i nomi sono però ancora contenuti negli elenchi che pubblichiamo) hanno lasciato Palazzo Giustiniani per trasferirsi nel neonato Grande Oriente regolare d’Italia e avrebbero in mente di aprire una loro loggia». Anche qui, imprecisioni a parte, conta l’illusione di poter chiudere il discorso dando soddisfazione ad una pur legittima curiosità della opinione pubblica, senza comprendere veramente fini e modalità della Comunione massonica come società essenzialmente umanistica. Prosegue nella sua missione, La Nuova Sardegna, i giorni successivi… Sabato 16 c’è di più, molto di più ancora. Intanto perché, alle pagine 32 e 33, viene riproposto l’impaginato del giorno prima, con una spiegazione: «Per motivi tecnici ieri la tiratura della Nuova in provincia di Cagliari è stata ridotta e l’edizione è andata presto esaurita nelle edicole. Per soddisfare le richieste di numerosi lettori che si sono rivolti alla redazione, abbiamo ritenuto opportuno ripubblicare…». In secondo luogo c’è il riflusso più o meno umorale che la prima pubblicazione ha provocato negli ambienti colpiti. Titolo ecc. della prima pagina: “Massoni, un terremoto” con occhiello “Rischiano l’espulsione dal partito i ‘fratelli’ democristiani e pidiessini”. Con Corona che “contrattacca: ‘Non siamo criminali’” e Giorgio Melis che racconta in un editoriale “Armandino e i suoi fratelli” (così il titolo). Il “Terremoto per DC e PDS” è spiegato nelle pagine 4 e 5, il cui riquadrato in alto è lo stesso del giorno prima. L’intero staff dei redattori è mobilitato: Peretti, Mauro Lissia, Alfredo Franchini, ancora Lissia (con Mario Frongia e Stefano Lai) a pagina 23, per la cronaca di Cagliari (“Il grembiulino sotto il camice bianco: negli ospedali la massoneria spopola”), con il corredo delle fotografie della sede – il fianco di via Canelles – e la specifica per una quarantina di professionisti non soltanto della sanità ma anche del foro, dell’università, ecc. Roberto Paracchini firma un resoconto di viaggio fra le attività professionali: “All’avvocato piace il cappuccio. La maggior parte hanno rapporti di affari con le banche e le assicurazioni. C’è anche chi nelle aule patrocina la Cgil” e nell’occhiello “Nell’elenco degli iscritti figurano anche difensori dello Stato e affermati civilisti”; Giuseppe Corongiu guarda all’hinterland: “Quartu, gli ingegneri fratelli. Abbondano anche i medici, i ragionieri e i geometri. Il dubbio che le liste siano incomplete”. E ancora, nella pagina della cronaca del Sulcis-Iglesiente, tocca a Marco Bittau – “Ecco la razza massona: molti, noti e ‘padroni’”, e “Iglesias, clamore e dubbi. Pochi muratori oppure cappucci ben nascosti” – ed a Gianfranco Nurra: “Grande scalpore a Carbonia. E ora i politici si inter rogano e si nascondono”. Nella pagina “in Sardegna”, a parte altre più generali e generiche riprese di dichiarazioni di Giorgio Macciotta, Massimo Dadea, Pietro Soddu, Piero Tamponi, Franco Mannoni, Ugo Collu, Pier Sandro Scano, ecco un tentativo di fotografare “Carriere folgoranti nel nome di un ideale” con spiegazione nel distico assertivo (“Ospedali unità sanitarie enti pubblici e assessorati ‘occupati’ dalle logge massoniche”) e la specifica con i richiami in neretto per 52 Fratelli. Una breve intervista all’ex Gran Maestro è titolata “Ci vogliono criminalizzare” e anche “Per i dipendenti pubblici non esiste un doppio giuramento”, mentre l’occhiello recita “Corona critica lo Stato che non ha predisposto la legge sulla trasparenza”. Un riquadro è dedicato dal giornale ai colleghi giornalisti “col grembiulino” (“Ecco la pattuglia”): ne sono estrapolati una decina. Mentre un redazionale da Sassari riferisce: “Preoccupata attesa tra i fratelli sassaresi mentre qualcuno spera ancora nel silenzio” con occhiello “La politica degli affari ha trascinato le logge del nord in una crisi profonda”. Domenica 17 ottobre è necessario far sedimentare lo stupore. Una pagina, la 5 della foliazione regionale, non aggiunge novità ma semmai qualche nuova pretesa: “Dopo la tempesta è finalmente l’ora di svelare tutti i nomi sommersi”, come recita l’occhietto sotto cui il titolo è un capolavoro: “No al partito in maschera” con sottotitolo “Politica senza segreti. Spuntano i dissociati”. Firma Giorgio Melis. Un riquadrato spiega quel che succede “Quando il fratello è colto dal sonno” e che “Si è radiati dopo dieci anni di assenze e di mancato pagamento delle quote”. A scendere ecco “Il pasticcio del Businco”: “L’oncologico di Cagliari è davvero nelle mani del Grande Oriente?” con un focus su “La storia di un primariato conteso tra ricorsi e processi”, ed annessa intervista al protagonista: “E un medico accusa: ‘La massoneria ha portato quest’ospedale nel caos’”. Firma Mauro Lissa. Di taglio basso: “Il presidente dell’Ordine dei giornalisti: Comportamento poco corretto”. Dove la “poca correttezza” non sta nella pubblicazione scandalistica degli elenchi ma nella appartenenza alle logge. Cinque professionisti e nove pubblicisti! Ecco la pronuncia del presidente Mauro Manunza: «Precisando doverosamente che la massoneria è una confraternita legale e che ha una ricca storia alle spalle, devo dire che per principio sono del tutto contrario all’associazionismo segreto. Chiunque compie atti non nel segreto privato ma nell’ambito di un’organizzazione segreta è evidente che ha l’esigenza di nascondere qualcosa che altri non debbano conoscere. Tutto ciò che non ha trasparenza è torbido: in senso letterale e non meno morale. Essere massoni per definizione degli iscritti, significa essere uomini liberi con diritti e doveri particolari. Non ritengo invece che la Massoneria renda liberi. Abbiamo visto tutti la gravità delle deviazioni che la massoneria è in grado di produrre a danno delle istituzioni. Ne discende che un giornalista al quale è richiesto un comportamento quanto più trasparente possibile, non dovrebbe, e a mio giudizio non può, appartenere a un’associazione massonica. Si tratta di una scelta di natura personale che può essere criticata ma non contestata sul piano della legalità. Comunque, al di là di ogni aspetto giuridico, sotto il profilo deontologico, non ritengo corretta l’appartenenza di un giornalista alla massoneria, specie se il giornalista è un professionista». (Ma chissà se davvero – verrebbe da chiedersi – il galantomismo e la perfetta deontologia, nel fare concreto, di uomini come Fabio Maria Crivelli, o Vindice Ribichesu, o altri di pari esperienza, meritano un range inferiore a quello del presidente dell’Ordine…). Come il giornalismo puro e non deviato da appartenenze improprie tratti la materia è ben dimostrato da Giorgio Melis e dalla sua analisi… anglosassone: «Di che loggia sei? Può diventare il gioco di questo amaro autunno sardo. Ma oggi non diverte più. Necessario il distacco, no a liste di proscrizione o al maccartismo antilogge. Ma la questione resta seria. Ha valenza politica e influirà nel dibattito fra i partiti (si avvicinano le elezioni), nelle istituzioni e nella società. Tanto più che la pentola massonica è scoperchiata solo a metà. All’appello mancano i fratelli di Sassari, numerosi e potenti, di Nuoro ed Oristano. Gli elenchi di Cagliari e del Sulcis hanno disvelato una densità incappucciata inquietante nella vita regionale. Specie nel Consiglio un parlamentino nel quale abbondano i fratelli anche in ruoli nati per la glasnost e la difesa del cittadino. E poi nei partiti, nelle amministrazioni, nella salute, fra i professionisti in simbiosi con la politica e gli affari. Quale sarà lo scenario se e quando si conosceranno i nomi e il ruolo di tutti (o almeno gran parte: non ci illudiamo…) i massoni sardi? «Una grande ombra continua a pesare sulla vita regionale, con gli effetti tossici di una telenovela senza fine e poco salutare. Una domanda per tutte: senza il segreto, lo scempio della Banca Popolare di Sassari si sarebbe consumato? La trasparenza non avrebbe bloccato l’autofagia predatoria dei fratelli che hanno dissipato un patrimonio della città e di tanti soci anch’essi massoni, ma piccoli e indifesi?». Fa osservare, Melis, che si sta giocando pesante nelle attribuzioni di appartenenza a chi appartenenza non ha (per squalificarlo), e coprendo quelli che l’appartenenza invece ce l’hanno per davvero. «Serve una ventata di chiarezza e di aria pulita… Anche con qualche strappo normativo, basta col “partito in maschera”. Fuori tutte le liste e i nomi. Non per demonizzare le persone che vanno comunque rispettate e giudicate per i loro atti. E nemmeno la massoneria. Ma per uscire da un clima ambiguo… nessuno chiede abiure o altro. Solo il ritorno nella riconoscibilità, che sarà salutato con rispetto… «E’ tempo che vengano a galla i sommersi e i salvati. Non bastano i febbrili chiacchiericci e gli stupori ipocriti. Meglio le reazioni come a Carbonia, dove si invoca un chiarimento sui due assessori pescati nelle liste. Spuntano dissociati un poco penosi». […]. La nuova puntata viene martedì 19. Un piccolo strillo in prima (“Massoni, ora il PDS dà battaglia in consiglio regionale” perché ritiene “Violate le norme sulla trasparenza”) e a pagina 6 ecco la lettera del capogruppo Dadea al presidente dell’Assemblea regionale Mariolino Floris. Contesta, Dadea, l’incomprensibile (a suo tempo) rigetto da parte dei sindacati del personale del Consiglio di un preteso obbligo alla sottoscrizione circa eventuali appartenenze associative: le rivelazioni spiegano oggi che… Neppure sembra accettabile che un consigliere regionale abbia firmato una dichiarazione di non appartenenza, mentre ora appare… elencato. A compensare lo sdegno del capogruppo trasparentista il giornale correttamente riporta la pronuncia del Consiglio di Stato che considera «non aderente ai principi generali dell’ordinamento giuridico» la sollecitazione confessoria; e le dichiarazioni del Difensore civico della Sardegna, il cattolicissimo Giovanni Viarengo: «Non chiederò la testa di nessuno», «Sono convinto che in ogni piccola o grande società esistano buoni e cattivi. Chi può dire per esempio: tutti i cardinali andranno in paradiso? O chi può giurare su tutti i settemila magistrati della Repubblica? Nessuno. Attenti alle generalizzazioni. Ho conosciuto molte brave persone e alcune erano iscritte alla massoneria. Il vero problema è la coscienza dei singoli e sui singoli sono tranquillo». Alle pagine 9 e 10 della cronaca di Cagliari La Nuova Sardegna raccoglie, fra l’altro, alcune dichiarazioni del sindaco Giua. Titolo “Ci sono e si fanno sentire” con complemento rotariano: “Noi viviamo alla luce del sole”. Confida il primo cittadino: «Sono contrario a ogni attività associativa che non operi apertamente e riconoscibilmente. Ma poi, che senso ha questa riservatezza? Dove sono i rischi di persecuzioni o ritorsioni di altri tempi? Non vedo tiranni o regimi dispotici che vogliano conculcare una libera associazione». E ancora: «Personalmente non credo di aver subito pressioni. Però è vero che da presidente della USL 20 ho avuto sensazioni precise, ho avvertito influssi per i quali si adoperava il fioretto e non la clava: penetranti ma sfuggenti. Ho creduto di avvertire queste ambigue influenze che mi infastidivano molto e non era facile contrastare nei concorsi, in certe selezioni, in non poche carriere. Nessuna sorpresa, dunque, per il numero impressionante di medici fra i massoni. Dirò di più: penso che manchino parecchi nomi rispetto a quelli che figurano negli elenchi». Nel taglio centrale una intervista di Emanuele Zirone “ex presidente del collegio della Sardegna del GOI”. Fra titoli ed occhielli e catenacci: “L’orgoglio di essere fratello massone”, “L’unico nostro segreto è il segreto interiore, che fa parte del privato”, “Renderemo pubbliche tutte le liste nazionali”. Di taglio basso un’altra minaccia (o un monito) degli ex comunisti: “I grembiulini lascino la Provincia” –, mentre nella pagina seguente un gran titolo ridà voce al PDS cittadino: “Rompere con il passato” e “La città non deve essere succube dei costruttori”. Nella opinione di Milesi e Meloni, esponenti di primo piano del partito, lo sviluppo urbanistico di Cagliari «è bloccato per lo scontro in atto» tra Corona per l’area dell’ex cementeria e la Cogefar/Fiat relativamente a Tuvixeddu. Titolone ancora nella pagina del Sulcis-Iglesiente: “La massoneria scuote l’asse PDS-PSI. In bilico la santa alleanza di Carbonia”. Lunghissimo sommario: “Dimissionare gli assessori iscritti alle logge: per Casula è quasi una via obbligata dopo le dichiarazioni di incompatibilità. E’ un terremoto. Il sindaco rischia di trovarsi da solo. Monta la contestazione in attesa del Consiglio”. I colpevoli, per i pidiessini (mai sfiorati dal dubbio), sono gli assessori massoni Salvatore Lombardo e Salvatore Murgia. Un riquadrato raccoglie le dichiarazioni del Fr. Giampaolo Calabrò, medico analista: «Se qualcuno mi vuole accusare per un mio comportamento scorretto lo faccia pure, ma non mi accusi perché sono massone. In questo momento si sta attentando alla libertà delle persone. Capisco che un partito vieti l’appartenenza dei suoi iscritti alla massoneria e li discrimini. Ma non trovo giusto che uno venga discriminato nella vita sociale e civile perché è massone. Gli assessori comunali, i consiglieri, stanno semplicemente esercitando un loro diritto di cittadini. Gli impedimenti sono solo quelli precisati nella legge. Chi innesca altri meccanismi sbaglia, perché sta utilizzando metodi che non sono degni di una società civile». Martedì 19 ottobre apre le sue pagine “di grande formato” anche il quotidiano di Cagliari. Tutto è presentato in un taglio centrale della prima: “Ecco la mappa aggiornata della massoneria in Sardegna”. Una simpatica vignetta di Franco Putzolu commenta lo strillo: sono sei moretti, con tanto di grembiule massonico e benda sugli occhi, che si scappucciano… Si andrà a puntate con la pubblicazione delle liste, annuncia il giornale che cerca di riparare al “buco” preso nei confronti della concorrenza. Si inizia con i sassaresi, olbiesi, nuoresi ed oristanesi, che ancora non sono stati esplorati da La Nuova Sardegna. Toccherà poi ai cagliaritani, proposti non però in un unico quadro, ma in classifica per loggia, con uno spazio autonomo riservato agli scissionisti passati con l’ex Gran Maestro Di Bernardo. La pagina 5 reca un titolo a tutte colonne: “Sardi col grembiulino”. Un fondino anonimo fa il riassunto: “I soliti noti e tanti signor nessuno”, e di spalla – alla destra di un’altra vignetta di Putzolu che ripropone il gonfalone della Regione con i quattro mori tutto labbra e benda sotto un cappuccio isoscele – la lamentela, in ennesimo replay, dell’on. Dadea: “In Consiglio negata la trasparenza”. Sotto, ecco poi gli elenchi finora non rivelati dalla concorrenza: “Nuoro: un ex sindaco in compagnia di un ex sequestrato” (e la foto del repubblicano on. Annico Pau); il riferimento è alla “Reale” (sic! invece di «Rispettabile») loggia Giuseppe Garibaldi n. 731 portante 22 nominativi. “E c’è anche una loggia in formato Gallura”: qui il riferimento è alla Caprera n. 893 all’Or. di Cala di Volpe (ma il giornale pasticcione scrive «di Oristano e Cala di Volpe», perché scambia l’«Or.» di «Oriente» per la sigla di… «Oristano»!): 25 unità. In coda il piedilista della Bruno Mura n. 1081 all’Or. di Sassari («nota anche – spiega il giornale con supplemento di virtù immaginifica – come Sassari-02»). Il taglio basso è riservato al vecchio e al nuovo presente nel residuo territorio extracagliaritano: “Oristano: molti i camici bianchi, gli avvocati e gli ingegneri”: si tratta della Ovidio Addis n. 769, con 35 Artieri in organico; “Tra Olbia e Tempio con puntate a Palau”: è l’altro comparto gallurese che il giornale ridenomina un impossibile (o dì pure inesistente) «Giovanni Maria Angioy n. 3555», trattandosi invece di una Gallura n. 1060 con domicilio ad Olbia: 27 elementi; “Sassari: ecco nomi e residenza”, qui con corretto riferimento alla Gio.Maria Angioy n. 355 ovviamente all’Or. di Sassari (ma tradotto dal giornale ancora con un «di Oristano e Sassari»): 46 Fratelli. Mercoledì 20 c’è bella concorrenza fra i giornali dei due capoluoghi. L’Unione Sarda, intanto, mantiene la promessa e passa a completare il quadro. In prima pagina il giusto richiamo agli approfondimenti della foliazione interna: “La massoneria a Cagliari tra sorprese e conferme” e il corredo della solita vignetta di Putzolu: la statua di Carlo Felice in grembiulata, e con un cappuccio retto dalla destra e una squadra retta dalla sinistra. A pagina 5 ecco “La carica dei cinquecento”, con le foto di Corona e del sindaco di Tortolì (ed esponente sardista) Giorgio Ladu. In alto, un fondino di presentazione spiega essere 13 le logge con sede in Castello. Qui «Ogni lunedì – precisa arditamente il giornale – i maestri venerabili, cioè i capiloggia, convocano i “fratelli” per discutere su un argomento fissato in precedenza. I temi, che non possono riguardare religione o politica, dovrebbero affrontare i grandi dilemmi dell’esistenza». In un palazzo Sanjust occupato, ogni lunedì – secondo il giornale nel suo affondo semplicista – da cinquecento, o anche soltanto da duecento o trecento FF., mancano gli sportivi. E’ un’osservazione che ha una sua fondatezza, anche se l’interpretazione de L’Unione Sarda è sottilmente maliziosa: «non si può fare a meno di notare l’assenza dei grembiulini in un ambiente dove si vince esclusivamente per meriti personali». La conclusione è un giudizio proposto con leggerezza: «A sentire l’ex Gran Maestro Armando Corona la vita di Loggia può offrire ben poco. Sarà, ma non devono essere moltissimi a crederci. Tanto è vero che si parla di lobby, gruppi di pressione. Ovvero forze, più o meno occulte, capaci di garantire un aiuto che non è esattamente quella che si chiama solidarietà». Un colonnino anticipa intanto la “dissociazione” del PDS dal Fr. Enrico Montaldo: il quale, per non aver pagato l’ultimo bollino, non risulta neppure più iscritto al partito, come si precisa dalla centrale di via Emilia. La conclusione del giornale è scherzosa: «Nel pomeriggio si era diffusa la voce che Montaldo fosse stato espulso dal partito. Non era vero. Non aveva pagato il bollino. Il PDS è salvo». E giù, finalmente, gli elenchi: i cagliaritani occupano due terzi del “grande formato”: “Nome per nome gli iscritti per confraternita”, intendendosi per “confraternita” la loggia. Così in sequenza: la Sardegna: 43 Fratelli di cui 6 segnalati «in sonno»); la Hiram: 54 (di cui 7 in sonno); la Enrico Fermi: 14 la Giorgio Asproni: 23 (di cui 5 in sonno); la Risorgimento: 52 (di cui 3 in sonno e uno mai iniziato); la Nuova Cavour: 46 (di cui 2 in sonno); la Lando Conti: 60 (di cui 5 in sonno); la Sigismondo Arquer: 34 (di cui uno in sonno); la Concordia: 13; la Hur: 19 (di cui 11 in sonno e 3 passati alla GLRI); la Francesco Ciusa: 25 (di cui 5 in sonno); la Alberto Silicani: 38 (di cui 4 in sonno); la De Molay: 14 (di cui 4 in sonno). Il paginone tutto cagliaritano è immediatamente preceduto da un altro speciale che, all’insegna di “Giù il cappuccio”, dà conto delle reazioni, nelle varie città della Sardegna, alla complessa pubblicazione del giorno prima: “A Carbonia c’è aria di dimissioni”, “E per Radio Barbagia ‘no alla caccia alle streghe’”, “Sapore d’antico nella loggia d’Eleonora”, “Il sindaco di Olbia: ora serve la massima trasparenza”, “Sassari: molti i banchieri ma nessun leader politico”. Qua e là la foto di Fratelli, con la nuova vignetta di Putzolu – un muratore incappucciato che innalza una parete in cui i mattoni sono costituiti da fasci di banconote –, aggiunge gradevolezza al menabò. E La Nuova nello stesso giorno? Il quotidiano sassarese ci dà sotto aprendo anch’esso con una vignetta: sotto il titolo “E anche le donne portano il cappuccio” la sagoma intima d’una signora il cui slip è un cappuccio rovesciato con due buchetti a mo’ di occhi… Nel taglio centrale un titolone: “Voglia di trasparenza” con occhiello “Massoni, Di Bernardo attacca Corona: Segretezza? E’ anacronistica”. Due sottotitoli: “Nuove reazioni in Sardegna” e “Una loggia ribelle a Cagliari”. Nel sommario: “L’ex Gran maestro non è d’accordo col suo predecessore sulla necessità di coprire i ‘fratelli’. Altra serie di accuse a chi vuol fare solo affari o carriera”. Sequenza di titoli sulle reazioni: “‘Tifo per la trasparenza’. Il sindaco di Sassari non ha cappuccio, Simon dà l’indirizzo della loggia. Nessuno crede alle liste segrete ma la parola d’ordine è il silenzio”. E di taglio centrale: “Sono due le logge galluresi. La più antica è ad Arzachena, l’ultima arrivata è a Olbia. I Maestri venerabili sono Antonello Bulciolu e Lucio Ragnedda”. Di taglio basso: “Oristano, i fratelli protestano per la violazione della privacy: un atteggiamento persecutorio nei nostri riguardi” e “A Nuoro, a metà Anni 70, una folta colonia di piduisti” con occhiello “Ma oggi che spessore ha la massoneria barbaricina?”. La pagina seguente è dedicata agli “altri”, ai non giustinianei cioè. Apre Giorgio Melis che dà spazio al leader scissionista: “E Di Bernardo sfida Corona: la gente vuol sapere chi siamo e non c’è nulla da nascondere” con occhiello “Il capo della Gran loggia regolare replica seccamente ad Armandino”. Segue una lunga intervista concessa dal leader «della prima loggia trasparente» – così nella didascalia alla foto – a Vito Biolchini… A completare il quadro – insieme con il preannuncio di una querela dell’on. Merella a L’Unione Sarda che lo ha scambiato per un imprenditore sassarese lui sì effettivamente appartenente alla Gio.Maria Angioy (500 milioni da devolvere alla lotta contro l’Aids) –, ecco “Grembiule, gonna e squadra: l’altra metà del cielo massonico. Parla il venerabile della loggia femminile Libertà”. L’articolo a firma di Felice Testa si concentra a delineare la vivace ed intraprendente personalità di Fides Pilo Bussalai, sassarese 84enne: «Siamo quasi tutte casalinghe, abbiamo dei figli e quando ci riuniamo parliamo soprattutto dei nostri ragazzi, del futuro che li aspetta e che vorremmo fosse migliore, e ci occupiamo di attività umanitarie». Un supplemento di cronache e commenti copre le due intere pagine cagliaritane. Così anche nella pagina del Sulcis-Iglesiente: “Massoneria a Carbonia, sindaco in un ‘cul de sac’. Rinviata la riunione della giunta comunale”, con sommario “Il PDS chiede trasparenza a Casula ma il primo cittadino non sa che fare. Gli assessori incappucciati non vogliono abbandonare il campo. E’ lo stallo”. Cagliari dunque. Apre un incorniciato anonimo e, all’inizio almeno, sentenzioso: “Negli elenchi vicende di straordinaria massoneria”. «Fuori i nomi, si invocava con atteggiamento di sfida ogni volta che si parlava dei poteri occulti, dell’influenza delle logge. Ora che i nomi, o almeno gran parte, sono davvero venuti fuori, onde sismiche continuano a scuotere tanti palazzi e salotti, uffici e ospedali, Comuni e anche la Regione. Siamo solo agli inizi. Il trambusto è al massimo. Oltre il momento iniziale di curiosità frenetica o disperata, gli effetti continuano a farsi sentire. Sugli elenchi pubblicati dalla Nuova (e sulle migliaia di fotocopie che ne sono state fatte…) si discute, si litiga, si analizza. Con atteggiamenti innocenti[sti] o colpevolisti, entrambi arbitrari. Tra tante, abbiamo scelto due storie di non ordinaria ma anzi a straordinaria massoneria. Proprio perché riguardano personaggi che per cultura fede e scelte politiche erano lontanissime e si sono ritrovate negli stessi elenchi. Nei quali, a lume di coerenza, non avrebbero dovuto figurare. E’ accaduto il contrario. Per questo meritano una riflessione serena». Così l’introduzione ad una intervista ad un Artiere – medico cattolico – assonnatosi per intervenuta crisi di coscienza e passato poi fra i cavalieri del Santo Sepolcro. E introduzione anche ad un commento di stupore – come da copione –, più che di analisi, alla militanza massonica di iscritti al PDS: «quel fratello è anche compagno: partito con Pintor arriva da Corona».
di Gianfranco Murtas - 01/03/2018
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