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Avevo diciotto anni quando incontrai la prima volta Tonino Uras, e lui circa il doppio, neppure quaranta. Uno scarto anagrafico che allora contava più di oggi, benché la militanza in un partito insieme d’élite e popolare come era quello repubblicano portasse a ad approcci tendenzialmente paritari. Meno forse con quella quota di militanza e dirigenza referenziale la quale, proveniente dal Partito Sardo d’Azione, era allora confluita nell’Edera antica e nobile che aggiornava, nella fedeltà al simbolo, il programma della Giovine Europa. Ripenso a questo, nella tristezza dell’oggi per la scomparsa dell’amico politico e del fratello di idealità umanistiche, a quel giorno del primo ancorché fuggevole incontro – domenica 21 marzo 1971 –, al cine-teatro Ariston della via Grazia Deledda per il comizio di Ugo La Malfa e poi presso la vicina sede del PRI nella via Sonnino civico 128, per l’intervista che con somma sfrontatezza mi permisi di provocare e raccogliere, seduti noi tutti – capi e cadetti – a circolo, al leader, padre della patria, venuto a Cagliari per celebrare l’unificazione fra il Movimento Sardista Autonomista e la federazione sarda dei repubblicani. Gran giorno per le idealità politiche di noi, ancora adolescenti, e debuttanti sulla scena pubblica, che sarebbe diventata la scena elettorale, dei comizi, degli incontri con le altre federazioni giovanili, degli articoli sui giornali, per raccontare – direi con uno spirito critico che soltanto la giovane età orientava più sugli avversari che sui sodali (e si sarebbe invece dovuto puntare, per migliorare, prima sui sodali) – di quel sardismo passato ai repubblicani per protesta contro le deviazioni ancora non nazionalitarie, ma certo troppo spinte su un federalismo (“elementi di statualità” nella nostra autonomia speciale) che doveva essere ancora tutto da meditare, tanto più all’indomani dell’avvio del regionalismo ordinario in tardiva attuazione costituzionale. Gran giorno anche per i sardisti attendati giusto da mille giorni nelle capanne del MSA, fra Marmilla e Sulcis, Barbagia e Sassarese, i Campidani d’Oristano e Cagliari, il capoluogo e il suo hinterland: con noi dell’Edera prevalentemente impegnati nelle assemblee rappresentative con uomini dell’alleanza come erano Armandino Corona alla Regione e Razzu al Consiglio provinciale di Sassari, Pisanu e Marini in quelli rispettivamente di Nuoro e Cagliari (comprensivo, questo secondo, dell’area oristanese), con Saba al Consiglio comunale di Sassari, Marletta, Canu e Marcello in quello di Nuoro e Vincenzo Racugno in quello di Cagliari. Eletto ad Oristano Tonino Uras con 181 preferenze, pochi altri gli eletti ad Alghero, Sorso ed Olbia. Minoranza assoluta. E d’altra parte minoranza erano i repubblicani nazionali, con appena nove deputati e due senatori, undici parlamentari su 945. Giusto da venti giorni, a dire di quel 21 marzo, i repubblicani avevano lasciato il governo quadripartito di centro-sinistra presieduto da Emilio Colombo. S’erano dimessi il ministro Reale guardasigilli e il sottosegretario alla Pubblica Istruzione Oddo Biasini, che nella vita professionale era stato docente di scuola pubblica e preside e portava nelle istituzioni l’esperienza del suo lavoro. Tonino Uras era, dei sardisti passati ai repubblicani, uno dei più legati, affettivamente, a Titino Melis che, credo (ma potrei sbagliare), era stato addirittura suo testimone di nozze. Certamente era uno di quelli che più acutamente, eppure laicamente, aveva sentito il sardismo per quell’impasto magico che esso era stato e continuava ad essere nonostante tutte le baruffe interne: impasto di idealità e di sentimenti, amore alla ritualità di territorio e di bandiera, pulsione missionaria in partibus infidelium, apostolato di vita prima che di parola – valeva infatti il magistero esistenziale di un Ovidio Addis per dire soltanto di Oristano. Era una quercia di cultura sardista e politico-amministrativa, e prima ancora giuridica, Piero Soggiu, ad Oristano, nelle stagioni dell’esordio autonomistico e in quelle del radicamento istituzionale della Regione autonoma, con la sua legislazione e le rapsodiche difficoltà del rapporto con l’Amministrazione centrale dello Stato, oltre a quelle più immediate e imbarazzanti per l’inadeguatezza dell’apparato burocratico interno ereditato proprio dallo Stato. Sul piano ideale l’alleanza dei sardisti con i repubblicani datava dal 1921, dallo stesso anno di fondazione del PSd’A (candidato repubblicano Agostino Senes e secondo dei non eletti nella lista sardista alle politiche di quell’anno), e prima ancora – nella preparazione del movimento dei combattenti – i rimandi a Mazzini e Cattaneo erano stati continui. Poi ancora nel 1924, con Lussu intervistato in prima pagina da La Voce Repubblicana. Poi nell’antifascismo clandestino e galeotto, in prigione insieme Michele Saba e Anselmo Contu (e già nel 1928 Ugo La Malfa venticinquenne e Titino Melis ventitreenne), in Spagna con gli Angeloni e i Viezzoli erano Zuddas e Giacobbe. Nella ripresa democratica i repubblicani sardi avevano sostenuto la lista del PSd’A alla Costituente e così nel 1949, quando addirittura Ferruccio Parri aveva animato molti comizi fra lo sventolio dei Quattro Mori… così alle regionali del 1953 e del 1957, così alle amministrative del 1960 e alle precedenti e alle successive, così alle regionali del 1961 e del 1965, così alle politiche del 1963, le prime orientate al centro-sinistra riformatore, con Giovanni Battista – Titino – Melis deputato nel gruppo repubblicano ed esponenti sardisti inseriti nelle commissioni di lavoro nazionali del PRI, e le strutture direttive o sezionali dei due partiti fratelli coabitanti le stesse sedi… Tonino Uras era vissuto così, giovane dirigente locale che da giovanissimo – allora ancora studente universitario – aveva partecipato ai primi nuclei sardi del Movimento Federalista Europeo, da sempre vicino alle formazioni di scuola democratica. La scuola democratica – autonoma da quella socialista e da quella liberale – che nel dato civile e istituzionale, prima ancora che in quello economico poneva il centro della libertà del cittadino e della società, in questo ancora una volta, ideologicamente, associando repubblicani e sardisti. Salvatore Cubeddu ha dato ampio spazio, nel secondo volume del suo “Sardisti. Viaggio nel Partito Sardo d’Azione tra cronaca e storia” (Cagliari, Edes, 1995), alla parte avuta anche da Tonino Uras nelle vicende approdate alla scissione del 1968 e al graduale passaggio in forze dell’ala “italianista” (o chiamala “autonomista” in dialettica con la maggioranza in marcia accelerata verso un indipendentismo e un nazionalitarismo a suo parere, e a mio, senza sbocco il primo e senza orizzonti il secondo) nel Partito Repubblicano di composito assetto, fra mazzinianesimo (o aspronismo-tuverismo) storico ed azionismo modernizzatore. Partecipai a tutti i congressi regionali repubblicani di quei primi anni ’70, e sempre incontrai Tonino Uras signore gentile, sorridente per nativa disposizione d’animo, positivo e concreto; così a molte direzioni regionali che spesso erano convocate proprio ad Oristano – piazza baricentrica nell’Isola – e appunto, per risparmiare l’affitto di una sala, nel suo studio legale. Intanto, consigliatura dopo consigliatura, era elemento di permanente rappresentanza dei repubblicani nel Comune di Oristano, e uomo forte elettoralmente anche nelle competizioni politiche per il Parlamento o il Consiglio regionale. Uomo forte ma non opprimente, mai, ogni nuovo talento al primo affaccio, anzi generoso e intelligente valorizzatore delle risorse offertesi alla collaborazione con la nostra minoranza. Per questo, tanto più per questo, riconosciuto per carisma di leader e mediatore.
di Gianfranco Murtas per Fondazione Sardinia - 23/01/2016
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