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Mazzini e i repubblicani
la questione della cessione della Sardegna alla Francia nella tesi di laurea di Antonio Romagnino
sul giornalismo politico isolano di metà Ottocento

     Il titolo della tesi di laurea di Antonio Romagnino, discussa nell’anno accademico 1938-39 presso la facoltà di Filosofia e Lettere dell’università di Cagliari è “Lineamenti storici del giornalismo politico sardo dal 1848 al 1870”, vale a dire dal rilascio dello statuto albertino alla presa di Roma.
     Il quarto dei cinque capitoli di cui si compone il testo s’intitola “Le voci di cessione della Sardegna, nelle ripercussioni, nei commenti, nelle polemiche della stampa”. Affronta dunque una delle questioni che più animarono il dibattito pubblico, tanto più nella parte democratica della politica parlamentare e del giornalismo, coinvolgendo fra gli altri Giorgio Asproni, Giovanni Battista Tuveri e lo stesso Giuseppe Mazzini.
     Ecco quanto scrive il giovanissimo (ventunenne) Antonio Romagnino.


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La Sardegna, una questione internazionale

     La questione senza dubbio più importante, di cui maggiormente si occupò il giornalismo sardo del periodo da me studiato, è quella nata dalle voci assai diffuse nell’isola, nel Continente e all’estero, di un’eventuale cessione dell’isola di Sardegna alla Francia, che avrebbe compensato questa nazione per nuovi aiuti da prestare al governo piemontese nell’opera dell’unificazione dell’Italia.
     Il primo giornale a dare notizia della cosa fu un giornale inglese, il Morning Post di Londra, che nel marzo del 1860 riferiva un detto del Conte di Cavour, che secondo la gazzetta inglese avrebbe affermato che il Piemonte aveva le sue tre Irlande, la Savoia, la Liguria, la Sardegna, la prima già venduta, la seconda in parte venduta, la terza ancora da vendere (cf. A. Levi, “Sardi del Risorgimento”, p. 237).
     Il Cavour aveva voluto fugare le apprensioni nate con quelle voci quando il 26 maggio 1860, difendendo la cessione di Nizza e Savoia, voluta da imperiose necessità politiche, alla fine del lungo discorso aveva detto: “Dio sa quanto a noi incresca la sorte di Venezia, Dio sa quanto dolore abbiamo provato quando ci fu forza rinunciare alla speranza di rompere le sue catene. Ebbene, o signori, io lo dichiaro altamente al vostro sospetto e quindi al cospetto dell’Europa, se per aver Venezia bisognasse cedere un palmo di terra italiana nella Liguria o nella Sardegna, io respingerei, senza esitare, le proposte” (cf. Cavour, “Discorsi parlamentari”, vol. XI, p. 130).
     Ma i dubbi sicuramente non scomparvero, se l’8 giugno parlando al Senato il Sen. Musio, riprendendo le parole riportate dal Morning Post, diceva: “ecco altri giornali riferenti un detto del nostro Governo che aveva tre Irlande da vendere, la Savoia già venduta, la Liguria già venduta in parte, e la Sardegna vendibile tutta senza molta ripugnanza” (cf. “Atti del Parlamento Italiano – Discussione del Senato – Tornata dell’8 giugno 1860”, p. 283). In quel medesimo tempo e precisamente tra il 24 maggio e il 12 luglio 1860 veniva svolta un’attiva azione diplomatica da parte dell’Inghilterra, rivolta a salvaguardare i suoi interessi nel Mediterraneo ed ad impedire un accrescimento della potenza francese che ne sarebbe derivato con ulteriori cessioni da parte italiana.
     I documenti ufficiali relativi a quell’azione e consistenti in una serie di note inviate da Lord John Russel all’ambasciatore inglese presso il Governo piemontese Sir James Hudson, furono presentati alla Camera inglese più tardi, nel febbraio 1861, e pubblicati integralmente dal Diritto nel numero del 17 febbraio 1861. In quelle note il governo inglese affermava di sapere che nel caso che il Governo piemontese avesse fatto ulteriori acquisti, la Francia avrebbe chiesto, sicura di ottenerlo, un compenso per la sua neutralità, consistente o nella città di Genova o nella Sardegna. Il Governo inglese, vi si affermava, era del parere che la cessione di Genova avrebbe fatto cadere qualunque progetto di indipendenza italiana, mentre la cessione della Sardegna avrebbe sensibilmente scosso l’equilibrio del Mediterraneo. Doveva quindi il Governo piemontese formalmente impegnarsi a non fare ulteriori concessioni alla Francia oltre quelle che già erano state fissate nel Trattato di Torino del 24 Marzo 1860 (cf. Saverio Cilibrizzi, op. cit. vol. I, cap. IX, par. 1).
     A rilevare le voci prima della stampa isolana fu quella del Continente e soprattutto il giornale mazziniano l’Unità Italiana che l’11 maggio dava per sicura la cosa e citava come prova il fatto sintomatico della candidatura di Napoleone a deputato sardo, ritornando con più insistenza e più largamente sull’argomento con l’articolo “Grido d’allarme” contro le annessioni nel numero del 15 maggio.
     Ma sulla questione e sulla prova addotta dal giornale c’era stato un evidente equivoco se il 12 luglio 1860 in un colloquio con il ministro francese Thouvenel, l’ambasciatore inglese Cowley, a nome di Lord Russel, dichiarava la convinzione del governo inglese dell’infondatezza delle voci, originate forse da un caso bizzarro: l’elezione a deputato fatta a Sassari di Pasquale Stanislao Mancini, al quale sarebbe stato dato l’avvertimento che non accettando al suo posto sarebbe stato eletto l’imperatore Napoleone (cf. Unità Italiana di Milano, 11 maggio 1860). Sull’opinione inglese si appoggiò la risposta del Thouvenel che affermò non essere conveniente per la Francia creare dissensi internazionali per un’isola, il cui valore era veramente scarso e le cui condizioni tornavano a disonore del governo piemontese. Nonostante queste ufficiali smentite l’Unità Italiana riprendeva a scrivere della questione che offriva a lei, come a tutti i giornali democratici, un nuovo motivo per criticare l’operato del governo e principalmente scagliarsi contro il Conte di Cavour. Nell’agosto (numeri del 4 e del 26) il giornale del Mazzini dava per certe notizie pervenutegli circa un’attiva propaganda svolta da emissari francesi a Sassari e a Cagliari per preparare il campo alla cessione, e nel numero de 21 settembre riportandola da un altro giornale del Continente, l’Armonia, pubblicava la notizia di un accordo concluso tra Napoleone III e il Piemonte, per la cessione dell’isola alla Francia in cambio dell’appoggio che avrebbe dato Napoleone quando si fosse fatta l’annessione della Sicilia e di Napoli, con l’impedire qualunque intervento straniero in Italia.
     Tra i numerosi articoli che l’Unità Italiana pubblicò in questo periodo e relativi a questa questione particolarmente interessante e importante è la corrispondenza datata da Macomer il 28 luglio e apparsa nel numero del 3-4 agosto, che insieme con un altro articolo dal titolo “L’isola di Sardegna” preparato a Cagliari e apparso nel numero del 28 novembre, offrì larghezza di materiale al Mazzini per la preparazione del suo scritto sulla Sardegna. Altro articolo in favore della Sardegna è quello pubblicato nel numero del 7 dicembre 1860 dal titolo “Uno per tutti e tutti per uno”, apparso dapprima in un altro giornale mazziniano, Il Popolo d’Italia di Napoli. Questo ritorno frequente nella stampa democratica italiana della voce della cessione dell’isola insieme col quadro che veniva fatto delle sue tristi condizioni e dei mali che l’affliggevano, dovuti al malvolere e all’incuria di un governo completamente estraneo ai bisogni delle genti sarde, servì a dare una nuova fisionomia al problema che da regionale divenne nazionale.
     Sino a quel momento le voci erano giunte nell’isola, si erano rapidamente diffuse, ma non si era levata nessuna pubblica voce di risposta che riflettesse lo sdegno di tutti per l’infame mercato. L’azione dell’avv. Gavino Soro che portava la questione al Consiglio Provinciale di Sassari, ove veniva votato un ordine del giorno col quale si proclamava “impossibile l’annessione della Sardegna a uno Stato straniero perché lesiva della sua nazionalità, contraria alla civiltà e al diritto delle genti”, e la smentita fatta per calmare gli animi a nome del Governo dal governatore sono episodi isolati e del tutto sporadici.
      (L’avvocato Gavino Soro interpretando i sentimenti della maggioranza della pubblica opinione aveva fatto la seguente nobile dichiarazione, che aveva poi provocato l’ordine del giorno riportato: “Il consiglio ha udito con vivissimo dolore correre voci di annessione della Sardegna alla Francia. Un tale avvenimento sarebbe riguardato come la massima delle sventure che potesse toccare all’isola nostra. Il consiglio non può che protestare preventivamente con tutta l’anima contro l’infame politica che volesse far mercimonio della Sardegna segregandola dalla madre patria l’Italia” (cf. G. Solari, “Per la vita e i tempi di G.B.Tuveri”, p. 90).
     Solo nel numero del 5 dicembre la Gazzetta Popolare prima fra tutti i giornali dell’isola pubblicava un articolo di fiera protesta contro “le pretese vendite della Sardegna”. L’articolo non è firmato ma è forse del direttore del giornale, Giuseppe Sanna-Sanna, candidato democratico nel collegio di Ozieri, osteggiato dal governo di Cavour.
     In quel periodo si svolgeva pure violenta la lotta elettorale e gli avversari del Cavour trovarono nella questione sarda un nuovo motivo per schierarsi contro di lui.
     L’articolo che riflette lo stato generale di incredibilità rispetto alle voci di cessione appariva nel momento in cui la polemica era più vivace e le notizie più diverse e contraddittorie circolavano per l’isola e per il Continente.
     Ma ecco a dare la stura ai sentimenti di ribellione mal repressi sopraggiungere un articolo d’un noto giornalista d’allora, Aurelio Bianchi-Giovini, apparso nell’Unione di Milano.
     Questo giornale aveva iniziato le sue pubblicazioni il 20 novembre 1853 sotto la direzione del Bianchi-Giovini. Nel 1859, passato a Milano, fu ceduto al conte Ferdinando Triulzi e decisamente si pose a sostenere la politica del Cavour.
     L’articolo scritto da un noto cantore del Cavour e pubblicato da un giornale che non celava la sua devozione al ministero, doveva acquistare agli occhi di tutti un carattere di ufficiosità e faceva pensare che forse lo avesse dettato o ispirato lo stesso ministro per preparare gli animi degli italiani alla dura necessità della cessione della Sardegna, tanto più che all’articolo non seguì nessuna smentita ufficiale che tranquillizzasse gli animi. Nell’articolo tra l’altro il Giovini scriveva: “Ora si va bucinando che Cavour abbia ceduto alla Francia la Sardegna, a patto che quella riconosca l’annessione dell’Italia meridionale. Noi la crediamo una impostura ma quand’anche fosse vero, se la Francia a prezzo della Sardegna si obbligasse a riconoscere l’integrità e l’unità d’Italia e a porgerci mano alla liberazione di Venezia, confessiamo che questa decisone non l’avremo comperata troppo cara. La Sardegna fu costantemente un’appendice molto incerta dell’Italia… i duchi di Savoia appena si sovvennero che fosse una provincia dei loro stati…”.
     La crudeltà di certe frasi di quest’articolo, la fonte ufficiosa che l’aveva ispirata, la smentita che non venne in forma ufficiale, ma assai più tardi nella persona d’un redattore dell’officiosa Opinione che nel numero del 30 gennaio 1861 dichiarò prive di fondamento le affermazioni del Giovini, valsero ad aumentare e a far esplodere quel malumore che da tempo covava negli animi per il malgoverno piemontese, che dimentico dei generosi contributi delle genti sarde alla causa della comune indipendenza, pensava di liberarsi dell’isola con un turpe contratto. E la Gazzetta Popolare trovava un nuovo motivo per scagliarsi contro il conte Cavour, da tutti ritenuto il massimo motore della questione.
     E se anche prima la sua figura non aveva riscosso le simpatie di molti, mai come allora egli fu impopolare.
     Proprio alla vigilia delle elezioni politiche, che cadevano il 27 gennaio appariva nel numero del 25 gennaio della Gazzetta Popolare un articolo del direttore dal titolo. “Il mercato della Sardegna”, in cui tesi prevalente è questa: la Sardegna sarà o italiana, o sarda, o inglese, ma francese mai.
     Un altro articolo appariva nel numero del 2 febbraio dal titolo. “Il dispaccio dell’Opinione sulla cessione della Sardegna”, in cui chiaramente vi si diceva che non potevano soddisfare la opinione pubblica le smentite officiose sino ad allora apparse.
     Un più violento articolo: “Il baratto della Sardegna e il Sig. Bianchi-Giovini”, compariva nel numero del 4 febbraio, assai più vivace e più violento.
     Le parole del Bianchi-Giovini non erano state rilevate per essere respinte soltanto dalla Gazzetta Popolare, ma la stampa isolana era stata unanime a scagliarsi contro l’articolista. Così l’Eco dei Comuni del 25 gennaio lo chiamava “un vero barattiere” e la Costituzione di Sassari del febbraio lo copriva di improperi. Dopo la smentita dell’Opinione, a cui ho accennato e che per gli argomenti addotti (tra l’altro aveva insinuato che la diceria era stata sparsa ad arte in Sardegna per creare motivi di disordini contro il Governo) non era riuscita a calmare gli animi dei cittadini, che già avevano sperimentato che nonostante analoghe smentite si era compiuta la cessione di Nizza e Savoia, giunse la risposta del Bianchi-Giovini ai giornali dell’isola e al mazziniano Popolo d’Italia. La Gazzetta Popolare la riportava nel numero del 63 febbraio giudicandola “ben curiosa e singolare”.
     Il Bianchi-Giovini affermava che le voci della cessione della Sardegna e della Liguria dal Varo alla Spezia, apparse a Londra nella Primavera, erano state diffuse dall’Austria, allo scopo di far nascere tumulti contro il Piemonte. Convinto della falsità di queste voci, aveva però ugualmente pensato che se per ipotesi la notizia fosse stata vera, il male non sarebbe stato così grande come si pretendeva di farlo apparire, e concludeva: “Con l’unione degli animi manterremo l’unione geografica dell’Italia; ma se lasciate fare ai mazziniani non tarderemo ad avere gli austriaci di nuovo e tutte le conseguenze d’una restaurazione fatta alla maniera austriaca. Che cosa i mazziniani sappiano fare l’ha dimostrato il 1848; che cosa sappia fare l’Italia senza di loro l’ha dimostrato il 1860”.
     Con questo finale anti-mazziniano era chiaro che il Bianchi-Giovini aveva pienamente capito che se un ostacolo, difficile a superarsi, ci fosse stato nell’eventualità della cessione questo sarebbe stato rappresentato dai mazziniani che già allora cominciavano ad essere in buon numero in Sardegna specialmente nel Capo di Sopra.
     E non soltanto la voce del Mazzini doveva levarsi in quel periodo così tormentato per la storia dell’isola, ma anche quella di Garibaldi che il 18 febbraio 1861 ricevendo i Sassaresi che gli offrivano la cittadinanza di Sassari, quando di ritorno da Napoli si recava a Caprera così parlò: “Alcuni giornali parlano, è vero, d’un indecoroso baratto dell’Isola di Sardegna allo straniero, non altrimenti che toccò alla Savoia ed all’amata e sventurata mia Nizza. Non posso credere a tanta disgrazia; non è possibile che una nuova sventura si aggravi sull’Italia; e questa sarebbe la massima, poiché a mio credere la Sardegna è il punto più importante e strategico del Mediterraneo, e guai all’Italia se se ne lasciasse privare! Ho fiducia in Vittorio Emanuele, il quale non usurpa certo il titolo di galantuomo, e credo che non acconsentirà giammai a nuove cessioni, a nuovi smembramenti di questa Italia che tutti vogliamo una… Io che ho consacrato la mia vita nell’altare della patria, farei volentieri qualunque sacrificio a pro specialmente di quest’Isola, di cui mi dico cittadino per vocazione ed elezione, e credo che i sardi non mi lascierebbero solo in tale emergenza, giacché tutto dipende principalmente dalla loro volontà e risolutezza” (Queste parole sono riportate in E. Costa, Sassari , vol. I, p. 662-663. Più in breve furono riferite nel suppl. al n. 7 del 27 febbraio 1861 del giornale La Costituzione di Sassari e nel n. del 5 marzo della Gazzetta Popolare di Cagliari. Vennero inoltre pubblicate dal Diritto di Torino che le prese dal Popolano di Sassari dal quale il Costa ha tolto la sua versione).
     La questione trovava una nuova eco al Senato, ove il 9 aprile 1861 il senatore sardo Musio (cf. “Atti del Parlamento Italiano – Discussione del Senato – Tornata del 9.4.1861, p. 93) invitava il Conte di Cavour a dissipare le inquietudini che erano derivate dalle incessanti voci della cessione dell’isola in cambio di Roma, della quale città in quella tornata proprio si discuteva. Il Cavour rispose (cf. Cavour – Discorsi Parlamentari – vol. XI) in principio al Musio che non gli sembrava opportuno che venisse sollevata una questione certamente importante ma non paragonabile alla questione romana il cui interesse non era solamente nazionale ma universale. Ciò non ostante smentì le voci, affermando che esse erano state diffuse ad arte dai suoi nemici politici e concludendo: “Dichiarando io che non cederei mai un palmo di terra italiana, ho creduto impegnarmi non per dieci mesi, o dieci anni, ma per l’intiera mia vita”.
     Della scarsa fiducia che si riponeva nelle parole del Cavour, che aveva ugualmente smentito e poi compiuto la cessione di Nizza e Savoia, è indice sicuro la Gazzetta Popolare, che continuando nella sua campagna anticavouriana pubblicava un articolo dal titolo “La Stampa Italiana e l’Isola di Sardegna” nel numero del 29 maggio 1861 in cui si rilevavano i biasimi che l’interpellanza del Musio aveva sollevato nella stampa cavouriana e il favore con cui era stata accolta in Sardegna con l’approvazione di tutta l’opinione pubblica. E i dubbi erano rimasti non solamente nell’opinione pubblica dell’isola, ma anche in quella del Continente e soprattutto la democrazia italiana, non dubitando più dei tristi piani della politica del Cavour, intensificò la sua campagna.
     E’ dell’11 maggio 1861 un manifesto di protesta lanciato in tutta Italia dalla Società umanitaria di Palermo contro l’eventuale cessione della Sardegna. E’ del giugno la rinnovata protesta dell’Unità Italiana, questa volta rappresentata dal Mazzini stesso che vi pubblicava i suoi tre celebri articoli sulla Sardegna. Altri articoli in precedenza erano apparsi sulla questione ma non scritti dal Mazzini: “La Vendita della Sardegna” (19 gennaio 1861), “La voce della Sardegna” (30-31 gennaio), “Lettera di Sardegna” (21 marzo), “All’erta” (3 maggio); tutti ugualmente importanti come quello apparso nel giornale Il Diritto del 17 febbraio 1861 dal titolo “L’eventuale cessione della Sardegna alla Francia”, autore il direttore del giornale stesso. E non soltanto i giornali mazziniani si levarono a protestare, ma tutta la stampa italiana fu unanime nel criticare l’operato del governo specialmente quando un’altra voce straniera si levò a complicare le cose.
     Questa volta era un opuscolo pubblicato a Parigi dal Bonneau, redattore dell’ Opinion Nationale, organo del principe Napoleone, nel quale veniva prospettato con la cessione al Papa dell’isola d’Elba e alla Francia della Sardegna. Il clamore che si levò fu grande e tutti i giornali del Continente, dal Pungolo alla Gazzetta di Torino, dalla Monarchia Nazionale alla Gazzetta del Popolo, dal Diritto all’Unità Italiana, si occuparono dell’opuscolo del Bonneau come di una nuova prova della fondatezza delle voci.
     Nello stesso giorno in cui la Gazzetta dava l’annunzio di misure del governo contro quella campagna di stampa (cf. n. del 6 giugno), moriva il Cavour (6 giugno). Contemporaneamente l’Unità Italiana pubblicava gli articoli del Mazzini “La Sardegna”. La Gazzetta Popolare aveva annunziato lo scritto del Mazzini fin dall’11 aprile 1861.
     L’Unità Italiana lo pubblicava nei numeri del 1°, 5, 11 giugno 1861, e la Gazzetta Popolare ne riproduceva la prima parte il 12 giugno 1861. Ma la riproduzione veniva interrotta col pretesto della morte del Cavour e del mutamento avvenuto per opera del successore, il Ricasoli, nel campo della politica governativa (cf. Gazzetta Popolare 15 giugno 1861). Lo scritto del Mazzini doveva apparire più tardi, dopo la sua morte, nella forma integrale in un altro giornale di Cagliari, il Corriere di Sardegna, ad opera di G.B. Tuveri che lo faceva inserire nei numeri del 23, 24, 25, 26 aprile 1872 , notando che “per la viltà della stampa periodica di quei tempi non fu riprodotto per intero” ed esortando gli isolani alla sua lettura con le parole “Leggano e dicano i sardi se mai vi sia stato un nostro concittadino, che parlasse con più esattezza delle cose nostre e che con maggior affetto patrocinasse la nostra causa. Veniva ristampato a pag. 1-24 del vol. XIII degli scritti editi ed inediti, Roma per cura della commissione editrice 1884. Le fonti a cui attinse il Mazzini per la stesura di questo scritto sono citate dall’autore stesso nella prima parte di esso.
     Delle citate le più importanti sono i viaggi di Alberto Lamarmora, la collezione degli Editti e Pregoni, l’opuscolo di Salvatore Manca-Leoni “Le nuove leggi e la Sardegna” e quello di G.B. Tuveri “Il Governo e i Comuni”. Ricordate sono la “Storia moderna della Sardegna” del Manno e il discorso parlamentare di G. Asproni pronunciato nel giugno del 1850. Non citati ma ugualmente importanti per il materiale che gli offrirono, le corrispondenze dalla Sardegna apparse nell’Unità Italiana il 3-4 agosto e il 28 novembre 1860 e l’articolo “La voce della Sardegna” pubblicato nello stesso giornale il 30-31 gennaio 1861.
     Il Mazzini in quello scritto dando come certo, mentre poteva essere semplicemente eventuale, l’accordo tra Luigi Bonaparte e il Cavour per la cessione, per il quale cita come prove dirette le note diplomatiche scambiate tra i governi di Londra, Parigi, Torino, che erano state rese pubbliche dal Governo inglese il 6 febbraio 1861, coglie l’occasione per offrire ai lettori un quadro completo delle tristi condizioni in cui versava l’Isola a causa della trascuranza del governo piemontese e in particolare della politica del Cavour. La Sardegna doveva sentirsi per la sua stessa storia dolorosa attratta non più verso il Piemonte che l’aveva obliata, ma verso il resto d’Italia. Il suo risveglio e la sua rinascita coincidevano col duro e faticoso travaglio che avrebbe condotto all’Unità della patria.
     Non solo quindi ai sardi sfiduciati per rianimarli ha rivolto lo scritto, ma anche e soprattutto agli altri italiani immemori o ignari perché imparassero a conoscere un’altra terra che aspettava la sua liberazione.
     C’è nello scritto del Mazzini visibile la preoccupazione che i Sardi stanchi della lunga tirannide piemontese si diano volontariamente ai Francesi. Ma il Mazzini non conosceva un lato dell’anima sarda (ed è questo l’unico difetto dello scritto): l’intimo e più feroce odio verso i Francesi. Fu forse questa una delle ragioni che impedì allo scritto di avere quell’eco in Sardegna che il suo valore e il suo autore meritavano. Ma la ragione più forte fu la morte improvvisa del Cavour che ne impedì la continuazione della pubblicazione nella Gazzetta Popolare di Cagliari.
     Il giornale di Cagliari aveva pubblicato la prima parte dello scritto nel numero del 12 giugno quando ancora non era arrivata la notizia della morte del ministro, facendolo precedere da un cappello di commento (cf. Gazzetta Popolare 12 giugno 1861).
     Nel numero del 15 giugno uniformandosi al lutto di tutti usciva listata a lutto e spiegava l’interruzione della pubblicazione dell’articolo scrivendo (cf. Gazzetta Popolare 15 giugno 1861) che la pubblicazione dei successivi articoli mazziniani avrebbe alterato “le simpatie, ridestatesi fra i popoli fratelli, e quel che più importa credendo ormai inutile l’occuparsi del doloroso argomento della cessione dell’Isola”.
     L’articolista concludeva: “colla morte del conte di Cavour cambia la politica che ci rendeva così perplessi e paurosi su tal fatto; e per conseguenza dovrà essere diversa la nostra condotta, pronti a ripigliarla se avesse a temersene anche da lungi il pericolo”.
     Unanime fu la partecipazione al cordoglio nazionale da parte della stampa isolana, anche di quella che per il suo carattere democratico era più lontana da una simpatia per la politica del Cavour. Così la Costituzione di Sassari uscendo anch’essa listata a lutto nel numero de 15 giugno commentava l’avvenimento tessendo l’elogio dello scomparso, di cui era necessario riconoscere i grandi meriti per le sorti della nazione italiana, e concludeva: “Anche i sardi, non ostante le funeste ma speriamo infondate voci sulla Sardegna, depongono un fiore nella tomba del grande Italiano”. Veniva in tal modo resa giustizia in maniera cavalleresca dai Sardi ad un uomo di indiscutibile valore, ma che aveva talvolta non agito bene nei riguardi della Sardegna sì da procurarsi una impopolarità della quale non aveva goduto nessun altro governatore della Sardegna prima di lui, se si esclude il Bogino.
     Tale impopolarità aveva un ben lontano punto d’origine e risaliva al 1848, quando da poco la Sardegna aveva chiesto ed ottenuto l’unione con gli Stati del Continente. Allora il Cavour non ancora ministro, nel n. 84 del 4 aprile 1848 del suo giornale Il Risorgimento aveva accolto una corrispondenza non firmata da Cagliari, nella quale si mettevano in cattiva luce le agitazioni dell’Università di Cagliari, togliendo loro ogni significato politico e presentandole come dirette a svincolare l’Università da ogni autorità superiore e soprattutto ad un abbandono perfetto degli studi”.
     Le proteste furono generali; tra le più veementi quelle dell’Indipendenza Italiana di Cagliari che rispondeva all’articolo nel n. 4 del 25 aprile 1848, e quella del Nazionale di Cagliari, che nel numero del 20 aprile 1848 attribuiva la corrispondenza ai Fratelli Martini dell’Indicatore Sardo. Si aveva una smentita dell’Indicatore apparsa nel numero del 22 aprile, e riprodotta poi il 29 aprile dal giornale di Cavour che declinava ogni responsabilità nei riguardi della corrispondenza pubblicata nel numero del 4 aprile.
     Questa l’origine dell’impopolarità d’un uomo, che poi divenne impopolarità d’una politica e d’un sistema.
     Se la morte del Cavour valse ad allontanare il maggior pericolo per la cessione, non riuscì però a dissipare del tutto le inquietudini. Dopo la breve parentesi, in cui si rese omaggio alla memoria del grande statista, si ritornò sull’argomento con una serie di opuscoli e di articoli isolani, continentali ed esteri, e una successione di interpellanze e di risposte alla Camera e al Senato. Tra gli opuscoli più notevoli quello del Vivanet “Gustavo Iourdan e la Sardegna” Cagliari 1861, di G. Siotto Pintor “Intorno alle voci di cessione dell’isola” Cagliari, Tip. Nazionale 1861, e del De Gioannis “Protesta dei Popoli Sardi” Vallardi, Milano 1861, autore anche di un importante articolo apparso nel numero del Tirreno di Cagliari del 31 ottobre 1861 dal titolo “Le sei smentite”.
     Dopo una interpellanza alla Camera del Guerrazzi nella seduta del 27 giugno (cf. “Atti del Parlamento Italiano – Camera dei deputati” ) che seguì alla interpellanza del Musio, a cui ho accennato, venne nella seduta del 1° luglio la risposta del Ricasoli: “Io ho udito parlare di cessione: permettetemi, o signori, ch’io respinga con animo sdegnoso le parole e il pensiero. Il governo del re, lo dico una volta per sempre, il Governo del Re non conosce un palmo di terra italiana da cedere; non lo vuol cedere, non lo cederà assolutamente. Il Governo del re vede un territorio nazionale da difendere, da ricuperare. Vede Roma! Vede Venezia! E alla città eterna e alla regina dell’Adriatico volge i dolori, i voti, le speranze ed i propositi della nazione” (cf. “Atti del Parlamento Italiano – Camera dei deputati” – Sessione 1861 1° periodo, p.1678).
     Le parole del ministro Ricasoli furono riportate nel numero del luglio dal giornale Il Tirreno di Cagliari e giudicate “degne di un concittadino di Pier Capponi”. Dopo le dichiarazioni del ministro Ricasoli, la stampa francese palesò un vivo malcontento e non nascose d’avere un tempo vagheggiato l’annessione dell’isola. Era diffusa in quella stampa l’opinione che al di là degli interessi, delle aspirazioni, dei sentimenti dei Sardi poteva esistere un campo in cui i due paesi, l’Italia e la Francia, potevano liberamente intendersi: si poteva insomma assegnare ugualmente la Sardegna alla Francia, senza tener conto delle resistenze degli isolani, solo se questo fosse stato nell’interesse e a vantaggio dell’Italia.
     Nel numero del 5 luglio 1861 la Patrie, giornale ufficioso legato alla Corte, si scagliava contro il barone Ricasoli, che aveva con le sue dichiarazioni creato un insuperabile ostacolo alle trattative che era nei desideri francesi concludere al più presto. E nella convinzione che dei Sardi, che in definitiva rappresentavano la maggior parte in causa, non si dovesse tener conto, affermava ”potere uno Stato fare volontariamente cessioni territoriali senza compromettere la propria indipendenza, senza mancare alla propria dignità e prendendo consiglio dai suoi soli interessi” (cf. G. Solari, op. cit. , p. 88).
     Analogamente si era agito in passato ed era questo il fondamento giuridico trovato da Napoleone e da Cavour per la precedente cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. Più esplicita nelle sue affermazioni la Revue Contemporaine, anch’essa fedele alla politica del Bonaparte, che nel fascicolo del 15 luglio a pag. 156 nella cronaca politica scriveva: “noi avevamo sperato di possedere un giorno l’Isola… Ed ecco che Ricasoli viene a disperdere i nostri sogni patriottici… E’ vero che possono sorgere tali circostanze da obbligare il governo italiano a modificare un poco il suo programma… Per conservare l’Isola di Sardegna, che non appartiene a Torino più di quanto la Corsica non appartenesse a Genova, gli italiani dovranno mettersi in grado di non avere ad offrircela”.
     Ci fu dopo l’attiva compagna giornalistica francese, sulla questione una nuova interpellanza alla Camera dei Comuni inglese il 18 luglio 1861: il deputato Kinglake appoggiato da Sir Robert Peel, chiese al Governo quale fosse il suo parere sulle voci della cessione della Sardegna, tutt’altro che scomparse come poteva dedursi dai frequenti articoli apparsi nei giornali francesi più vicini al Governo, notando che le parole del Ricasoli non potevano essere soddisfacenti se si pensava che il nuovo ministro italiano poteva essere all’oscuro di negoziati intercorsi tra Napoleone e Cavour.
     Rispondeva il premier inglese, Lord John Russel, che ancora soffermandosi sull’importanza della Sardegna nel Mediterraneo rilevata dal Kinglake, soggiungeva che sulla base della posizione privilegiata dell’isola in questo mare venivano a crearsi ed entrare in causa forti interessi britannici nell’eventualità d’una cessione.
     Tale atto non poteva essere quindi semplicemente una transazione tra i governi di Francia e di Sardegna, ma avrebbe potuto costituire un motivo per rompere l’alleanza esistente tra la Francia e l’Inghilterra. E riferendosi al Ricasoli concludeva: “Se egli dopo aver detto non intender cedere un palmo di terra, venisse a patti contrari con la Francia, sarebbe il più grande raggiratore del mondo. Una cosa siffatta non può entrare nel capo del barone Ricasoli, come la sua vita passata lo dimostra” (cf. A. Levi, op. cit., p. 251).
     Era quindi fermo proposito dell’Inghilterra non transigere su nuove concessioni e non farsi prendere più alla sprovvista come era avvenuto per Nizza e la Savoia. L’opinione pubblica dell’Isola si faceva forte della vigilante volontà del governo britannico e dell’energiche affermazioni del ministro Ricasoli e sembrava che tutto dovesse essere definitivamente messo a tacere. Ma non fu così.
     Ancora la stampa francese ritornava sull’argomento e nuovi giornali entravano nella polemica.
     Il Costitutionel, tra i più seri giornali francesi, ritenuto da tutti come il diretto portavoce dell’imperatore, smentiva le affermazioni diffuse che la Francia pretendesse la Sardegna come prezzo del riconoscimento del Regno d’Italia e si scagliava contro Lord Russel che vi aveva prestato fede (cf. A. Levi, op. cit., p. 251). Ancora la Patrie rimproverava a Lord Russel che mostrava il suo zelo per la Sardegna, che anche se ceduta alla Francia avrebbe costituito un ben piccolo compenso per i tanti aiuti da lei offerti alla realizzazione delle aspirazioni nazionali, mentre dimenticava che l’Inghilterra possedeva nel Mediterraneo Gibilterra, Malta, le isole Ionie (cf. A. Levi, op. cit., p. 251).
     A rispondere all’officiosa Patrie, che ancora insisteva nel dovere da parte dell’Italia di offrire alla Francia quale pegno della sua gratitudine la Sardegna, insorse tutta la stampa democratica, unanimi dianzi a queste nuove affermazioni francesi nel ritenere come certa un’opinione, alla quale prima si era semplicemente accennato, che cioè esistessero seri impegni anteriori contratti dal Cavour, ignoti al successore.
     Così l’Unità d’Italia, che sull’Isola aveva pubblicato due articoli nei numeri del 10 e del 25 luglio, nel numero del 17 settembre con un articolo non firmato ma sicuramente del Mazzini rispondeva alle provocazioni francesi e dava come certe quelle discussioni probabili passate tra Napoleone e Cavour in ordine alla Sardegna.
     Concludere dopo così alterne vicende, da una polemica così vivace, a fomentare la quale intervennero spesso passioni di parte quale sia la verità è assai difficile ed esula dal mio campo d’indagine. Può illuminarci e darci una più chiara visione della situazione la nota pubblicata da un’autorevole giornale inglese, il Daily News, alla fine del settembre del 1861, quando la polemica era entrata nella sua fase conclusiva.
     L’articolo, che non ricevette alcuna smentita ed è quindi maggiormente attendibile nelle sue informazioni, venne riprodotto dal Pungolo di Milano nel numero del 3 ottobre ed è del seguente tenore: “Il Conte di Cavour poco prima della sua morte fu informato che tanto l’Austria, come il partito il quale sotto la protezione delle armi francesi ha la sua sede in Roma, avevano deliberato di metter fuori la favola della cessione della Sardegna, con l‘intento di suscitare sdegno in Inghilterra contro la Francia e l’Italia. Il consigliere austriaco Brentano e un segretario del principe Carini, già ambasciatore del fu re di Napoli a Berlino, vennero a un tempo stesso in Londra con ordine di propagare la favola della cessione. Non fa bisogno di credere che fossero strumenti volontari di una frode: forse eglino stessi erano ingannati.
     ”Certo è che furono forniti di un falso documento che fingevasi esser la copia di una convenzione sottoscritta dal corte di Cavour e dall’imperatore dei francesi per il trasferimento della Sardegna: la qual copia, aggiungevasi, era venuta a mano del governo austriaco per il tradimento di un impiegato del ministero italiano degli affari esteri. Questa favola fu fatta scaltramente pervenire agli orecchi di un intrinseco di Mazzini, il quale si diede premura di rivelarla al famoso triumviro. Ma nonostante tutti gli sforzi dei propagandisti, la novella non ebbe credito in quel tempo. Sennonché l’arciduca Massimiliano, venendo in Inghilterra, giudicò esser quella una buona occasione per ravvivare la vecchia favola. Il fervore con cui l’arciduca professò sempre i principi costituzionali, gli procacciò simpatia fra alcuni membri del parlamento inglese. Incoraggiato dalla buona accoglienza l’arciduca pose nelle mani di uno di quei membri (se Roebuck o Kinglake nol sappiamo) la famosa convenzione. La 4.a clausola di essa era che la Sardegna non può essere tenuta per italiana, perché i suoi abitatori in generale sono d’origine araba e spagnola”. Dicevansi poi esser conveniente cedere alla Francia l’isola in compenso di quanto la Francia avrebbe fatto a vantaggio dell’Italia, consentendo che Roma ne fosse la capitale e riaffermando l’alleanza tra le due nazioni: “Se questi fatti saranno contraddetti, i nomi e le date saranno fatte pubbliche”. Ma, come ho detto, la smentita non venne. Dopo queste rivelazioni retrospettive la campagna finì per languire, e tutto fu messo a tacere.
     Solo nel 1866 compariva in Francia un opuscolo di G. Lavigne, dal titolo “L’annexion de la Sardaigne”, Paris 1866, a cui rispondeva un giornalista sardo, Francesco Sequi, nella Gazzetta Popolare (cf. 16, 22-25 novembre e 1° dicembre 1866) con una serie di articoli sotto il titolo “Il corvo e la volpe”. Da altri e più urgenti bisogni la stampa isolana fu occupata, come della soluzione del problema economico, che in definitiva era la causa prima di tutti i malumori.
     Infine altri grandiosi avvenimenti come la II guerra d’indipendenza del ‘66 e la presa di Roma del ‘70, valsero a distogliere le popolazioni dell’isola dal grande incubo. Anzi quest’ultima tolse definitivamente, con la soluzione della questione romana dovuta all’iniziativa del governo italiano senza alcuna ingerenza francese, una delle cause che avevano fatto nascere la lunga polemica.
     Nella stampa isolana la cessione della Sardegna doveva più tardi trovare un’ultima eco nella voce di G.B.Tuveri, che nel Corriere di Sardegna del 28 aprile del 1872 ad esso di nuovo si riferiva riproducendo gli articoli del Mazzini, la cui pubblicazione nel 1861 la Gazzetta Popolare di Cagliari aveva interrotto. Già durante il periodo più acuto della polemica il Tuveri non era rimasto indifferente e si era associato al Mazzini nel criticare la politica dei baratti. A pag. 60 dei suoi “Sofismi Politici”si legge: “Nel 1859 il nostro Governo, partendo dalla grande idea che dalla Lombardia avrebbe potuto ritrarre più soldati e più denari che da Nizza e Savoia, barattava queste provincie con l’alleanza del Bonaparte; e partendo sempre dalla stessa idea, mulinava di cedergli la Sardegna e non so che parti di Piemonte e di Liguria, onde ne fosse aiutato ad unificare l’Italia”.
     E nel numero del 28 settembre 1861 nella Gazzetta Popolare con l’articolo che ha per titolo “Un processo di stampa e la cessione della Sardegna” firmato T… , ma sicuramente suo, prendendo lo spunto da un processo intento all’Unità Italiana incitava anch’egli in forma violenta gli isolani a ricorrere alle armi, se si fosse voluto mettere in pratica il progettato disegno di essere dati alla Francia. Nell’articolo del Corriere di Sardegna, a cui ho accennato, e che possiamo ritenere conclusivo della questione, scriveva commentando gli articoli che presentava: “Il Mazzini comincia dalle trattative passate tra il nostro governo e Bonaparte per la cessione dell’Isola alla Francia. Esse furono smentite. La sua voce non trovò eco che nel partito repubblicano. Possiamo tuttavia congetturare che malgrado l’indifferenza degli italiani la cosa non sarebbe passata sì liscia come a Nizza e Savoia.
      “Un cotale (e il Tuveri allude a se stesso) avrebbe pubblicato un opuscolo di circostanza da ripubblicarsi a Londra, tradotto in inglese e di cui si sarebbero impadroniti parecchi giornali di quella metropoli. Avremmo avuto denari, armi, qualche nucleo d’armati, per simulare una resistenza qualunque onde dare occasione ad un intervento. I sardi che respinsero da soli più invasioni francesi non sarebbero rimasti tutti indifferenti. Con tutta probabilità non saremmo stati né francesi, né italiani. E’ superfluo dire che il Mazzini temendo la soluzione che abbiamo accennato faceva di tutto per scongiurarla”.
     E’ questo un documento significativo, che seppure pubblicato a distanza di tempo dalla fase più acuta attraversata dalla questione, dà luce ad uomini e cose. Mostra un Tuveri tutto occupato a preparare, se le circostanze lo avessero richiesto, la cessione della Sardegna agli inglesi, ritenuto da lui un male minore in paragone a quello che ne sarebbe derivato se l’isola fosse stata data alla Francia. E a spiegare questa posizione particolare del Tuveri serve la fedeltà dell’ideale, in lui vivissimo, che quel che più conta nella storia d’un popolo è la libertà. Di questo la Sardegna, secondo il pensiero del Tuveri, avrebbe continuato a godere anche [stando sotto] gli inglesi, più rispettosi dei francesi della libertà dei popoli soggetti. Nel pensiero del Mazzini invece la causa della libertà della Sardegna poteva e doveva essere sacrificata al principio dell’unità italiana. Di qui il cozzo ideale tra il Tuveri e il Mazzini, di qui lo scritto del secondo mirante a far nascere nei Sardi il grande amore per la patria italiana, che distolse il Tuveri dal pubblicare l’opuscolo che era nelle sue intenzioni, e al quale accenna nell’articolo del Corriere, che ho riportato.

a cura di Gianfranco Murtas - 15/01/2013


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