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medico, professore di chirurgia e d’umanità |
Conversando nei giorni scorsi, con Lello Puddu, di certe icone del repubblicanesimo storico cagliaritano, il discorso è caduto su Angelo Garau – straordinario medico e professore insieme di chirurgia e di umanità – il cui busto in bronzo, opera di Franco d’Aspro, ho ricordato di recente, in occasione del centenario del grande scultore originario di Mondovì ma sardo elettivo e riconosciuto, nella elencazione dei suoi manufatti d’arte presenti in siti pubblici del capoluogo – fra piazze e viali, chiese e musei, banche e cimiteri, conservatori musicali e facoltà universitarie, biblioteche ed uffici, e anche municipio e casa massonica. Nel mezzo le cliniche e gli ospedali. Il busto di Garau accoglie, ogni giorno malati e visitatori ed operatori sanitari, giusto all’ingresso dell’ospedale civile di Cagliari. Un’opera del 1955, inaugurata nel primo anniversario della scomparsa (27 marzo 1954) e collocata di lato all’erma di Gaetano Cima, in marmo, risalente al 1889, e cui si sarebbe poi accompagnato anche il busto del prof. Ligas (anch’esso opera di d’Aspro). Pochi anni fa l’amministrazione Floris – scombinata come poche altre rispetto al servizio civico cui anche la toponomastica dovrebbe riferirsi – intitolò a Garau una strada nella periferia di Pirri, a pochi metri dalla strada 554. Più uno scarico di coscienza per quella giunta ignorantissima della storia democratica della città e del pari insensibile alle sue ragioni, che non un adempimento di obbligo etico e civico. Dacché lo stesso Lello Puddu me la presentò, con poche efficaci pennellate, saranno ormai quasi quarant’anni!, alla biografia umana, professionale, politica e anche massonica di Angelo Garau mi sono applicato più volte: cominciando da L’Edera sui bastioni per finire a La Catena s’è rotta, la Parola smarrita… (guida massonica ai camposanti), passando per l’Almanacco di Cagliari e per Professione ideologica e militanza civile ecc, per Diario di loggia e per Dei circoli anticlericali e del monumento a Giordano Bruno, con rapide citazioni anche in qualche decina di articoli o in relazioni sulla nostra storia municipale, o democratica, o latomistica, che ho seminato qua e là. Per me è stato quasi un assillo, parlarne e scriverne sempre, perché l’uomo è stato un gigante autentico della Cagliari del primo cinquantennio del Novecento. Giusto pochi mesi fa lo ricordavo anche nel centenario del suo esordio come consigliere comunale di Cagliari, quale rimase per tre anni, sostenitore della giunta Bacaredda. Con lui altri due repubblicani, avvocati entrambi: Raffaello Meloni, originario di San Gavino (dove fu pure sindaco), ed Enrico Nonnoi, nativo di Monserrato (e con una presenza azionista fra 1943 e 1946 prima come sub commissario della frazione di Selargius, per delega – poi polemicamente revocata – del sindaco Dessì Deliperi, quindi come assessore ai Vigili urbani, cimiteri, giardini e frazioni nell’amministrazione Pintus: così fino alla morte che ne interruppe improvvisamente il generoso impegno politico). E dunque, cogliendo l’occasione che il calendario ne offre, segnando il centenario del suo esordio municipale – ancora nel Palazzo di città, a Castello, ma a fine consigliatura, nel 1914, l’Assemblea civica prese a riunirsi nella nuova e solenne sede di via Roma – mi pare giusto riproporre alcuni tratti della biografia del clinico e insieme del democratico impegnato in una militanza e in un servizio all’interesse generale, recuperandoli dalle pagine offerte all’Almanacco. «Se una persona abbiente ricorreva a lui per una visita, non permetteva gli venisse ricompensata: egli era dipendente dell’Ospedale Civile per il servizio dei poveri e lo stipendio era comprensivo per tutta l’attività che vi svolgeva. “Gli abbienti trovano, col loro denaro, chi li visita e li cura anche meglio di me che sono stato messo qui per i poveri”: così egli spesso ci diceva quando gli accompagnavamo qualche cliente esterno». Sono parole di Didaco Cossu, clinico anch’egli illustre oltre che amico devoto del prof. Angelo Garau: parole pronunciate il 2 agosto 1955, poco più d’un anno dopo la sua morte, per onorare la memoria del medico chirurgo fedele come pochi altri al giuramento di Ippocrate. Ad offrirne l’occasione è lo scoprimento d’un busto in bronzo, opera dello scultore Franco d’Aspro, esito di una colletta promossa fra i sanitari del “San Giovanni di Dio” e che, saggiamente, l’Amministrazione ospedaliera ha voluto fosse collocato a lato di quello marmoreo ritraente l’architetto che progettò, verso la metà dell’Ottocento, il monumentale nosocomio: Gaetano Cima cioè. In fondo pure lui, Angelo Garau, fu un “costruttore”: protagonista di quella vita morale che, lungo i decenni, si è intessuta nelle corsie della sofferenza, in quella sestupla raggera sorta sulla mezza collina di Stampace. Umana partecipazione all’altrui dolore, forte impegno professionale per restituire la salute a chi l’ha perduta. Ecco l’edificio “immateriale”, ma certo reale, cui il prof. Garau si è applicato nel corso dell’intera sua vita. «In questo ospedale visse completamente dedito al malato, sacrificandosi fino all’inverosimile al servizio preminente del sofferente povero. E povero egli stesso fu e volle essere». E’ ancora Didaco Cossu a proporre al suo uditorio i tratti salienti della biografia umana e professionale, civile ed accademica, dello scomparso. Lo vuole ricordare soprattutto quale egli fu, ormai quasi alla vigilia del suo pensionamento: un medico carico di anni, che ancora non si risparmia ad alleviare il dolore di chi venga affidato alla sua straordinaria perizia di chirurgo, mentre fuori è l’inferno dei bombardamenti anglo-americani. «26 febbraio: nuova e più disastrosa incursione su Cagliari con numerose vittime; impressionante sfollamento di feriti in reparto. Operò fino a tarda notte, con una illuminazione improvvisata e insufficiente. Da diverso tempo era fisso in reparto dove consumava i frugalissimi pasti e riposava qualche ora su un lettino alla buona senza togliersi gli abiti di dosso. Si alzava quattro o cinque volte la notte per sorvegliare gli operati e i feriti dell’incursione. «28 febbraio: altra incursione nemica su Cagliari. Ci lasciò addossati su un muro della sua direzione e corse fuori fra i malati terrorizzati dal fracasso delle bombe che cadevano nei pressi dell’ospedale, a richiamare il personale infermieristico perché stesse al suo posto, onde tener compagnia agli infermi immobilizzati dal male. “Persuadetevi – diceva – che non capiterà nulla all’ospedale; c’è tanto di Croce Rossa”». (Ai primi di marzo, poi, il reparto dovette sfollare anch’esso in quel di Villamassargia, là dove era il laboratorio d’arte e la fonderia di d’Aspro). Dello stesso tenore il “pezzo” di commento dedicato dall’ “Unione Sarda” all’indomani della scomparsa, il 28 marzo 1954: «Incurante delle bombe che cadevano nello stesso edificio del nosocomio, rimase al suo posto, operando, medicando, con una seguenza incredibile, gli innumeri feriti che ivi affluivano. E ciò nelle più impensate condizioni: senza medicinali, senza bende, un minimo aiuto e solo quei geniali ripieghi che la sua eletta mente sapeva trovare». E’ evidente il senso di ammirazione nelle parole cronista così come in quelle del prof. Cossu il quale dichiara di aver voluto «strappare al naturale oblio della morte chi ha diritto di sopravvivere per entrare in quell’intima comunione di spirito che vincola i superstiti ai trapassati». Figlio di un sarto-negoziante di fede cavallottiana ed abitazione in via Azuni – Angelo anche lui – e di una modesta casalinga – Marianna Dessì –, Angelo Giuseppe Vincenzo Garau (com’è registrano nel libro dei battesimi di Sant’Anna) nasce in città il 6 maggio 1877. Ha quattro tra fratelli e sorelle; Giuseppina, Giulio, Francesco e Gaetano. Dettorino, consegue la licenza liceale, nel vetusto ex convento gesuitico della Marina, nel 1898 e si iscrive a Medicina dove, per merito, verrà presto dispensato dal pagamento delle tasse d’iscrizione. Studia sodo, e regolarissimo negli esami, ma non si estranea dalla vita civile del suo tempo. Intanto, per due anni interi, svolge il servizio militare in fanteria (inizia come allievo ufficiale e finisce con le mostrine di sottotenente), e nella primavera del 1901 assume la segreteria del primo congresso universitario, inter-ateneo fra Cagliari e Sassari, programmato a Nuoro (al tempo paesello di 6.000 abitanti) e cantato da Sebastiano Satta con la sua famosa ode “Saluto ai goliardi di Sardegna”. Si laurea il 27 giugno 1904, essendo stato – da studente – per tre anni pro-assistente della Clinica chirurgica. La tesi scritta da lui presentata, risultato delle ricerche di tutto un anno, riguarda «i tumori teratoidi dal punto di vista clinico, anatomo-patologico, istologico e la loro genesi». Quelle orali trattano, invece, una l’eziologia delle congiuntiviti, l’altra i parti cesarei. Per dire della varietà degli argomenti su cui deve mostrarsi compente ... Per un anno fa esperienza, come assistente volontario, presso il reparto di Chirurgia del nosocomio cagliaritano, dove è poi confermato in quanto vincitore di concorso. Saranno, in successione, quattro bienni, che si concluderanno, nel 1912, con la sostituzione interinale del primario prof. Desogus, ed il passaggio quindi, in pianta stabile, all’Istituto di Patologia Speciale Chirurgica (di cui era già aggregato come commissario per gli esami di clinica dermosifilopatica). E nel 1915 acquisirà la libera docenza proprio in Patologia Speciale Chirurgica. Intanto ha anche messo su famiglia. Sposata nel 1908 la francese alsaziana Marie Brett Munch, la sua casa è stata presto allietata da due figli: Roberto, che diverrà alto funzionario della Azienda telefonica di Stato, e Bruno, futuro medico che eserciterà la professione fuori Sardegna. E’ di questi stessi anni la sua partecipazione alla politica cittadina. Di sentimenti mazziniani, è iscritto al PRI (risulta anche nell’elenco riprodotto dall’originale carta con tanto di edera mazziniana pubblicato in appendice al libro di memorie di Enrico Endrich “Cinquant’anni dopo”). Nell’autunno 1911 prende parte alla campagna amministrativa che lo vede eletto al Consiglio comunale di Cagliari, e per tre anni partecipa – insieme con i compagni dell’Edera Enrico Nonnoi e Raffaele Meloni – alla maggioranza politica che sostiene la giunta Bacaredda, particolarmente tesa a seguire un indirizzo laico, quasi di muro contro muro rispetto ai clericali di obbedienza sanjustiana. Il numero delle preferenze raccolte nelle urne – 787, risultando così il primo dei repubblicani – dà la misura della simpatia da lui riscossa in città. Consigliere d’amministrazione, per conto del Municipio, dell’Istituto Autonomo delle Case Popolari (allora impegnato in un importante piano di costruzioni abitative destinate ai ceti poveri della città), marca la sua “diversità” ideologica rispetto alla stessa maggioranza politica bacareddiana contestando, nel maggio1914, le spese deliberate dall’Amministrazione civica per accogliere “degnamente” il Duca degli Abruzzi. La giunta rischia la crisi. Sarà infine il buon senso di Garau e dei suoi compagni repubblicani ad attenuare le tensioni, riconducendo la protesta in un ambito di semplice valutazione delle opportunità. Il 17 febbraio 1911 – data anche simbolica, trattandosi dell’anniversario del rogo bruniano a Campo de’ Fiori – egli è stato iniziato alla massoneria, entrando nel piedilista della loggia Sigismondo Arquer affidata al maglietto del cav. Romolo Enrico Pernis, anch’egli consigliere comunale e assessore dell’esecutivo civico. Nell’arco di un biennio raggiungerà il grado di maestro, per procedere poi nella carriera liberomuratoria all’interno del Rito Scozzese Antico e Accettato fino al XVIII grado Rosa+Croce. Nel maggio 1915 Garau è tra i firmatari di un manifesto di tono interventista che i docenti dell’ateneo di Cagliari inviano al premier Salandra: «Lieti che conforme volontà di popolo le sorti della patria siano nuovamente affidata a chi della lotta ha saputo nobilmente interpretare le più alte idealità – si legge nel documento – (essi) invocano inflessibile perseveranza nel civile proposito conseguimento aspirazioni nazionali e difesa supremi interessi della civiltà e della libertà». Per Garau l’opzione interventista non è una forzatura: è noto che sia i repubblicani che i massoni intendono il conflitto bellico come “quarta guerra d’indipendenza”, volta a portare nei confini della patria i territori italiani di Trento e Trieste ... Egli stesso partecipa al conflitto mondiale come ufficiale medico assegnato agli ospedali da campo, rimanendo ferito e permanentemente invalido. Sarà compensato con la croce di guerra (e diverse altre decorazioni riceverà negli anni, insieme con le insegne di Cavaliere della Corona d’Italia). Nel 1915 ottiene la libera docenza in Patologia Speciale Chirurgica dimostrativa a Cagliari. Con i galloni di tenente colonnello è nominato, nel 1919, direttore dell’Ospedale militare di riserva di Sassari. Nel giugno 1922, quando partecipa – vincendolo – al concorso per il primariato di Chirurgia, ha già pubblicato una quindicina di importanti lavori scientifici. Dirigerà il reparto per 24 lunghi anni, mettendo a frutto – secondo le parole, già richiamate, del prof. Cossu – «quella seria preparazione maturata nella lunga esperienza del suo assistentato sia dal lato scientifico che pratico», ed offrendo costantemente a un’intera generazione di medici «insegnamento, appoggio, incoraggiamento». Vive, si può dire, “in” ospedale e “di” ospedale. Dai collaboratori è chiamato il “Burbero Benefico”; all’apparenza intimorisce; zoppica un po’, porta il bastone; fuma il mezzo toscano; ha la battuta salace, frequentemente in sardo. Impedisce, con tono d’autorità, che giunga alla redazione del quotidiano locale – come qualcuno vorrebbe – la notizia di un intervento particolarmente difficile da lui felicemente portato a termine; dispone – senza eccezione alcuna – che quelle piccole regalie che i pazienti di tanto in tanto gli fanno arrivare per ringraziarlo della sua opera (sono più spesso prodotti della campagna che vengono dalla provincia) finiscano nella cucina dell’ospedale, non a casa sua ... I due decenni della dittatura gli tolgono la possibilità di occuparsi liberamente d’altro, oltre la famiglia e la professione. Non più la loggia, non più la sezione politica. All’una e all’altra rimarrà idealmente fedele (ad esempio riprendendo, a fascismo caduto, le sottoscrizioni a favore della “Voce Repubblicana”, già sostenuta all’atto della sua fondazione, nel 1921). Il PRI lo designerà anche nella prima terna dei consultori regionali, nel 1945. Al di là dell’adesione ideale agli schieramenti, però, egli non si sentirà – data anche l’età ormai avanzata – di impegnarsi attivamente. Del fascismo non può che essere, per l’ideologia stessa che lo ispira, un avversario. Manifesta la sua ostilità nei modi che più si confanno alla sua personalità. Valga a darne un’idea l’episodio narrato dal dottor Manca – a lungo suo assistente – ad Antonio Serra, appassionato biografo del prof. Garau, conosciuto e frequentato nell’intimità familiare negli anni ’30 e ’40: «Un giorno, durante la guerra, il segretario del fascio gli annunciò che il duce, in visita a Cagliari, avrebbe fatto tappa anche al “San Giovanni” e che perciò egli aveva dato ordine che i medici e gli infermieri indossassero tutti la divisa fascista. “La mia divisa è il camice bianco” fu la risposta all’imbarazzato gerarca... Così fu. Il professore, l’indomani, si presentò, con il suo bel camice bianco. Per ragioni pratiche, però, Mussolini visitò soltanto l’ospedale della Croce Rossa, diretto dai professori Corda e Cardia». Il pensionamento avviene nel 1945. Si ritira a vita privata. Sono otto anni che trascorre nell’intimità domestica, dialogando con il suo ... famosissimo pappagallo, passeggiando per la città. Rifiuta anche l’offerta della direzione sanitaria dell’ospedale. Spiega anche il perché: avrebbe dovuto imporre il bisturi nelle non poche storture che aveva visto e sopportato, e non se la sentiva di inimicarsi vecchi colleghi od impiegati dell’amministrazione. Si ammalò anche lui di tumore. Fu ricoverato ed operato dal prof. Ligas. Dimesso dopo l’intervento che non poteva far altro se non ritardare la sua fine, «rientrando a casa disse alla moglie – anche questo episodio è testimoniato dal dottor Manca – di vendere l’argenteria per pagare la degenza. Venutolo a sapere, il direttore Lullo Loi riunì il Consiglio d’amministrazione dell’ospedale, facendo notare come il professore per tantissimi anni curò tutti senza chiedere onorari, e proponendo che gli venissero abbuonate le spese. Il sì degli amministratori fu unanime». Certo, l’elenco dei “medici dei poveri” nella Cagliari della prima parte del secolo scorso comprende diversi nomi. Ma se il primo pensiero corre, al riguardo, al dottor Mondino De Magistris, va riconosciuto che non minor diritto al titolo ha il prof. Angelo Garau. Ed è bello vedere i due – che pure furono avversari politici nella contesa ideologico-amministrativa – associati nella più alta qualifica di “servitori” della Cagliari più umile. E’ da credere che la cosa non gli costò grande fatica: fu scelta di vita. «La professione e la competenza gli avrebbero potuto consentire una vecchiaia piena di prosperità economica. Non volle. Preferì essere povero, modesto, ma soprattutto probo, integerrimo», scrive l’“Unione Sarda” di cinquant’anni fa. Onorando la bella personalità e la testimonianza democratica di Angelo Garau il pensiero va naturalmente a quegli altri molti – ma pur sempre infima minoranza – di repubblicani che hanno servito l’Ideale anche nelle città e nei paesi della Sardegna. Sarebbe bello che chi può si dedicasse, anche soltanto sul filo della memoria, e meglio ancora naturalmente con i documenti, a ricostruire alcuni dei passaggi della vicenda delle sezioni o gruppi repubblicani magari partendo dalla caduta della dittatura e dal referendum istituzionale, arrivando all’esordio della Autonomia speciale, alla lunga stagione centrista e all’alleanza con il Partito Sardo d’Azione. Lo potrebbero certo, in prima battuta, Lello Puddu e Gian Giorgio Saba, né soltanto loro. Volendo potrebbero seguire, e rimpolpare, alcune linee di quel canovaccio che ho proposto io anni addietro in Cesare Pintus e l’Azionismo lussiano (“Rispunta l’edera… sui bastioni”, pp. 313/361) e in Bastianina, il sardoAzionismo / Berlinguer, Saba e Mastino (“L’edera, la memoria e il progetto”, pp. 273/322). Umili militanti e dirigenti, apostoli di una minoranza generosa.
Gianfranco Murtas - 26/03/2012
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