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Sul numero 2 del 2002 di “Sardegna Economica”, la prestigiosa rivista della Camera di Commercio di Cagliari diretta da Paolo Fadda, pubblicai un articolo rievocante la visita compiuta in Sardegna, giusto cinquant’anni prima, dal ministro Ugo La Malfa, titolare del Commercio con l’estero nel bicolore DC-PRI a presidenza De Gasperi e vicepresidenza Piccioni. La rappresentanza repubblicana includeva, oltreché La Malfa, Randolfo Pacciardi come ministro della Difesa, e Ludovico Camangi come sottosegretario ai Lavori Pubblici. Fino alla morte, intervenuta nel settembre 1952, vi partecipava anche, come ministro senza portafoglio, il sen. Carlo Sforza, già titolare degli Esteri in precedenti ministeri De Gasperi (ma che in ultimo rinunciò alla conferma dell’incarico data l’insorta malattia). Quel governo bicolore fu uno dei più longevi (giusto due anni) e produttivi dell’intera stagione centrista: entrò in carica nel luglio 1951 e arrivò alla fine della prima legislatura (quella che si concluse con le elezioni all’insegna del maggioritario, infine non scattato). A ricevere il ministro furono in primo luogo i tre enti camerali di Cagliari, Nuoro e Sassari, nelle cui affollate sedi provinciali egli illustrò al mondo imprenditoriale sardo l’importanza dell’abbandono delle “protezioni” all’industria nazionale, proprio in chiave di modernizzazione dell’intera economia, non esclusa quella meridionale e regionale. Le cronache di stampa rivelano la speciale vicinanza, già in quella occasione, fra i sardisti – e in primis l’on. Giovanni Battista Melis, deputato e direttore del PSd’A – e il leader repubblicano. Era allora segretario del PRI (e tale sarebbe rimasto fino al 1963) l’on. Oronzo Reale. Sono trascorsi, da quella pur rapida rievocazione sulla rivista della CCIAA di Cagliari, altri dieci anni, ma evidentemente il racconto merita di essere riproposto. Ripassare, sia pure in velocità, la cronaca della visita sarda di Ugo La Malfa nel 1952 può aiutare a misurare il progresso da allora compiuto, pur fra tante difficoltà e contraddizioni, per sviluppare la economia del territorio, nel maggior contesto regionale e del meridione nazionale. Era allora – febbraio 1952 – in carica il settimo governo De Gasperi, un bicolore fra DC e PRI ed il leader repubblicano ricopriva il delicato incarico di titolare di un dicastero al quale era commessa la responsabilità della liberalizzazione degli scambi. Dopo la lunga fase autarchica (legata alla vicenda fascista) e quella protezionistica dell’industria (ma più in generale dell’economia) italiana – che doveva fronteggiare, nel quadro della ricostruzione postbellica, gli assalti della concorrenza estera – la politica governativa puntava la prua in direzione della decisa modernizzazione del sistema produttivo, per il che era richiesto il coraggio di affrontare le sfide imposte dal mercato internazionale, e cioè dai maggiori produttori di beni e valori, sia continentali che d’oltre oceano. Fu una scelta illuminata – tale sarebbe stata poi riconosciuta da tutti – che dovette tuttavia scontrarsi con le resistenze del capitalismo nazionale e, soprattutto, con gli interessi organizzati e rappresentati dalla Confindustria, per non dire della opposizione politica e dell’area sindacale, impegnate a difendere le posizioni di nicchia “protetta” e quindi anche di lavoro “protetto”. L’“azzardo” governativo in materia di liberalizzazione degli scambi, che creava le sane premesse per i successivi passi in vista della integrazione europea, doveva servire anche a “sferzare” positivamente le produzioni meridionali, prevalentemente agricole, ché quello del Mezzogiorno era l’altro filone programmatico del governo De Gasperi-La Malfa (nascita della Cassa per il Mezzogiorno per il finanziamento delle grandi infrastrutture produttive e civili). Dopo brevi parole di saluto del presidente Pasolini, parla l’assessore Carta, che ricorda come la bilancia commerciale isolana registri un notevole attivo (l’import ammonta a mezzo milione di tonnellate di merci, l’export a tre volte tanto) e chiede al ministro, fra l’altro, l’apertura di un ufficio distaccato dell’istituto del commercio estero con compiti di studio e proposta operativa, nonché il sostegno all’esportazione di prodotti tipici della Sardegna (dal sughero alla lana al formaggio, dai refrattari ai minerali metalliferi al carbone). La volontà dell’esecutivo – risponde press’a poco La Malfa – è di contemperare gli interessi dei singoli territori con quello generale del Paese. Riferisce quindi come il governo stia progressivamente realizzando una politica di liberalizzazione, nonostante che altri stati vicini come la Francia e la Gran Bretagna vadano seguendo politiche opposte. Si tratta di una manovra estremamente delicata, complessa anche tecnicamente, ma lungimirante. «La bilancia dei pagamenti – avverte – è attiva, tanto che l’Italia ha raggiunto il limite della quota massima di credito riconosciuta dall’Unione europea dei pagamenti. In questa situazione si potevano seguire diverse vie: la revisione del tasso di cambio, che però avrebbe finito per penalizzare l’economia meridionale, oppure la limitazione dell’export, allargando le possibilità di importazione mediante un contenimento dei dazi e un contestuale aumento delle concessioni di permessi di importazione di prodotti industriali. Il governo ha preferito adottare la linea più prossima alla completa liberalizzazione, la più favorevole all’economia del Mezzogiorno perché, per il gioco della concorrenza, essa determina il ribasso dei prezzi dei prodotti industriali». In un tale contesto egli pone le esigenze dell’Isola: «Ormai non si concedono più permessi di importazione di alimentari, si sta studiando il modo di facilitare l’acquisizione di impiantistica dall’estero (e per Carbonia si è già operato in questo senso); sono in corso trattative per l’esportazione in vari paesi del formaggio sardo non più gradito al mercato americano: per il periodo agosto 1951- giugno 1952 gli USA hanno contingentato a 62.000 quintali l’import del prodotto (sono notizie giuntemi oggi qui a Cagliari da parte del consigliere commerciale dell’ambasciata italiana a Washington)». Infondata – sostiene - appare la preoccupazione circa una eccessiva importazione di sughero, mentre per quanto riguarda lana e sale il governo conferma l’impegno di esaminare le modalità di liberalizzazione del comparto, autorizzando i pagamenti in sterline. La Malfa replica contestando quella che gli sembra una impostazione assolutamente miope di porre i problemi, il che finisce – è questa la sostanza del suo ragionamento – per isolare ancor di più la debole economia regionale: «Né a Cagliari, né a Nuoro, né a Milano, né a Genova, la politica della liberalizzazione seguita dal governo è stata così criticata. Nell’intervento del segretario dell’Associazione industriali ho rilevato una certa sproporzione fra gli argomenti illustrati e dibattuti e la portata degli interessi in gioco. La politica di liberalizzazione del governo italiano risponde ad un reale interesse che ha come primo presupposto il rientro in Italia dei crediti accumulatisi all’estero: 250 milioni di dollari e 44 milioni di sterline, ai quali corrisponde all’interno una uguale emissione di carta-moneta ... «Il Paese alle importazioni di materie prime non ha da opporre altro che generi voluttuari (mandorle, frutta, formaggi, tessuti), disgraziatamente posti alla mercé delle restrizioni tutte le volte che all’estero vogliono economizzare. Altro che autolesionismo! Quando a Cagliari mi si parla di grandi trasformazioni agrarie non ancora compiute ma appena iniziate, i problemi dell’esportazione sono di là da venire. Il crine non tocca la FIAT né la Montecatini... «Il governo si è estremamente preoccupato del problema del formaggio ed ha condotto una vivace azione diplomatica per conservare l’esportazione di questo tipico prodotto. Il congresso americano ancora una volta ha condannato l’importazione del pecorino magari sollecitato dai gruppi interessati al blocco... Circa poi la necessità di reperire altri mercati di sbocco, va detto che sono stati intavolati contatti con la Grecia, per quanto le razioni dei produttori locali si siano già fatte sentire». E ancora sul pecorino: «All’azione diplomatica, che continuerà ad essere svolta, dovrà però corrispondere un maggiore impegno dei produttori, per meglio affrontare la concorrenza che è dura, mediante l’ammodernamento degli impianti e la osservanza delle disposizioni sanitarie». Sul sughero: «Il ministero ha cercato di tenere aperti tutti i mercati di esportazione. Vedremo di aggiungere al greggio il lavorato». Sul crine vegetale: «La situazione s’è fatta più grave. Non è facile fare qualcosa nel campo della liberalizzazione multilaterale: studierò meglio la questione. Cercherò intanto di togliere i vincoli all’esportazione della lana. Nella politica generale qualche settore può uscirne sacrificato. Certo è che il governo vuole difendere gli interessi esportativi del sud. Se noi dovessimo sospendere la liberalizzazione, lo squallore si impadronirebbe di alcuni settori fondamentali dell’industria meccanica e chimica, che assai direttamente interessa il nord». A chiudere l’agitata riunione è l’assessore Carta: «La Sardegna importa manufatti non liberalizzati perché di provenienza nazionale; di contro la liberalizzazione influisce direttamente o indirettamente sulle esportazioni dell’Isola ed è di evidente danno non in linea assoluta, ma relativa. Il crine vegetale che l’Italia introduce dall’Africa settentrionale, a tutto danno del crine sardo, non genera alcun vantaggio perché la stessa Africa settentrionale, non trovandolo conveniente, non accorda all’Italia contingenti di minerali. Ciò significa che qualche ritocco negli accordi di liberalizzazione è possibile. Intanto, oltre ai mercati tradizionali in gran parte turbati, e quindi diventati difficili, altri mercati dovrebbero reperirsi per i nostri prodotti. Il mondo orientale potrebbe rivelarsi come un nuovo luogo di esportazioni». Insomma, l’assessore sardista non contesta, con sano realismo, l’indirizzo liberista imboccato dal governo, ma pone un problema di modalità attuative, proprio per contemperare – secondo lo schema proposto dal ministro stesso – gli interessi locali e regionali con quelli della Nazione. Perché la Sardegna potrà svilupparsi soltanto se l’economia nazionale si modernizzerà e, affrontando i rischi del mercato aperto, saprà sfidare i grandi produttori dell’occidente ed offrire le sue merci ai nuovi mercati dell’est europeo ed asiatico.
Gianfranco Murtas - 22/01/2012
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