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Un “liber amicorum” per Gianfranco Contu, federalista tuveriano

     Martedì 19 giugno 2012 nel Palazzo Regio di Cagliari si è svolta una cerimonia bella e, nella sia modalità ispiratrice, certamente inconsueta: l’incontro di numerosi amici di Gianfranco Contu con lui che festeggiava gli 80 anni.
     La cosa è andata così: ad iniziativa di Alberto Contu, il figlio primogenito che col padre ha condiviso tante energie nello studio delle maggiori tematiche nazionalitario-federaliste dell’Isola, una ventina di amici, variamente anch’essi impegnati nella complessa esplorazione delle sensibilità identitarie della Sardegna e delle dottrine politiche di guida agli indirizzi legislativo-amministrativi della Regione e dell’istituto autonomistico tout court, erano stati impegnati ad offrire, con tutta riservatezza – ché il festeggiato non doveva saperne nulla, onde fargli gustare la sorpresa! – un saggio riguardante una delle materie di propria specializzazione da inserire in un libro collettaneo, all’insegna proprio del “liber amicorum”, che s’affacciasse sugli scenari della “questione sarda”, terreno condiviso di studio e confronto, analisi e discussione.
     Il libro “Questione sarda e dintorni”, curato da Alberto – uno dei cervelli più fini della giovane generazione sul ponte di raccordo fra intellettualità e politica civile della Sardegna d’oggi (io lo associo intimamente a Bellieni, cento anni dopo) – ed introdotto da una nota postuma di Giovanni Lilliu, è stampato dalla Condaghes per conto degli amici del Circolo “G.B. Tuveri” di Cagliari . Esso contiene scritti, nel rango delle testimonianze, di Giacomo Meloni, Michele Pinna, Vindice Ribichesu e Nicola Terracciano, ed interventi o saggi brevi di Bachisio Bandinu, Giuseppe Caboni, Barbara Fois, Salvatore Cubeddu, Mario Cugusi, Massimo Falchi Delitala, Federico Francioni, Giuseppe Lorini, Maria Dolores Picciau, Elisabetta Randaccio, Gianfranco Sabattini, Francesco Tassone, Patrizia Tuveri.
     Interessato anch’io all’impresa, ho modestamente partecipato con uno scritto dal titolo “La bandiera, lo scudo e l’aspersorio” e il sottotitolo, fra parentesi, “Dalla parte dei Quattro Mori”: fuor di metafora, una cronaca dei cinque anni di duro conflitto fra Chiesa cattolica (o meglio: clero cattolico) e Partito Sardo d’Azione negli anni, tremendi e insieme esaltanti, 1944-1948. Una cronaca, va aggiunto, attenta al documento, ma filtrata da una soggettiva simpatia dell’autore per una delle parti in gioco, naturalmente la più debole: collettivamente i sardisti mossi da un forte sentimento patriottico (italiano naturalmente) e democratico-repubblicano.
     E nella sala consiliare della Provincia ecco ad un certo punto apparire – dovevano essere le 18,15 in punto, il festeggiato del tutto ignaro di quel che l’aspettava e convinto per sé di dover assistere alla presentazione di un libro storico segnalatogli come intrigante i suoi migliori interessi... Certo, poteva essere un caso, quel suono remoto di launeddas che s’alzava nel momento stesso in cui egli entrava a palazzo inoltrandosi per lo scalone… E ancora poteva essere un caso – una simpatica coincidenza – che un applauso corale si levasse in sala quando egli vi metteva piede… Un caso…, ma poi, a guardare i volti già dei primi più vicini all’ingresso e poi degli altri nell’ideale grand’angolo… le identità di ciascuno parevano senza eccezione incasellabili nella grande bibbia delle sue conoscenze ed amicizie personali, quelle professionali ed associative, quelle politiche ed umanistiche, quelle di studio e convegnistiche… Fino a realizzare, per l’abbraccio dei primi e di Alberto gran regista, che tutto era proprio per lui, per il medico di valore, il professore della scuola di specializzazione, lo studioso tuveriano e federalista, il militante socialista lussiano, il giustinianeo dal parlare pacato e profondo, il clinico ed il saggista, l’uomo e il democratico…
     La parola era poi andata a questo o quello, che avevano voluto pubblicamente rendergli la lode civica ben meritata …


La bandiera, lo scudo e l’aspersorio. Dalla parte dei Quattro Mori

     Di fianco alla colleganza umanistica, ad unirmi a Gianfranco Contu lungo molti decenni – una vita quasi! – è stata la militanza ideale e civile all’interno di formazioni che variamente si ricollegavano alla democrazia repubblicana, socialmente progressista ed autonomista sul piano delle opzioni istituzionali: lui nel sardoAzionismo d’impronta lussiana e socialista, io nel mazzinianesimo attraversato e impreziosito dalle esperienze azioniste e sardiste (nell’albero italiano non etnicista, s’intende). Nel nome di Asproni e Tuveri ci siamo mossi entrambi, entrambi sforzandoci, per quanto era dato alle nostre responsabilità tanto più di studio e scrittura, anche di attualizzarne l’insegnamento che è stato prima di tutto etico-morale.
     Alle vicende sardiste colte specialmente nel nesso con l’azionismo italiano negli anni di fondazione della Repubblica – anzi, della Repubblica delle autonomie – abbiamo dedicato entrambi molte ricerche e saggi, articoli e comunicazioni a convegni. Per questo credo possa essere pertinente onore alla sua libera militanza di studioso e democratico questo elaborato che tende a richiamare “quasi come un diario” le tribolate fasi della relazione fra Partito Sardo d’Azione e clero isolano nel quinquennio 1944-1948: anticipazione di un più compiuto studio che spero di poter esitare quanto prima.


La passione dello scontro (quasi un diario)
     «Noi Vescovi e i cattolici abbiamo il diritto di domandare un'altra esplicita dichiarazione: che il partito sardo non ha nulla da vedere con al¬cun partito nazionale che, ben lungi dall'essere d'ispirazione cristiana, ha nelle sue dichiarazioni programmatiche opposizione netta alla attività e alle direttive della Chiesa. E ciò si rende necessario per il fatto che tra i propugnatori e i propagandisti del partito ci sono elementi tutt'altro che cristiani, ai quali nulla importa degli interessi spirituali del nostro popolo, che sono i suoi interessi vitali».
     Così gli arcivescovi e vescovi della Sardegna nella lettera collettiva che diffondono nella domenica di Sessagesima del 1946, quasi alla vigilia delle elezioni per l’Assemblea Costituente. Il punto è lì: il rapporto fra Partito Sardo e Partito d’Azione. Perché ad unire le due formazioni è un nome – quello di Emilio Lussu – che evoca nei presuli sgradevoli sensazioni: come di un avversario ideologico, ostile e nemico, ben più che nella polemica, nelle scelte legislative considerate all’opposto dirimenti dalla gerarchia cattolica e dagli esponenti del mondo politico laico.
     L’intero lustro 1944-1948, quello che va dalla ripresa del libero esercizio democratico dell’associazionismo politico, dopo l’armistizio badogliano, alle elezioni del primo parlamento repubblicano (con il grosso successo del biancofiore democristiano) è contrassegnato nell’Isola – nel bel mezzo degli scontri dialettici fra partiti ed organizzazioni collaterali – dal contrasto fra clero e sardisti, accusati questi ultimi di equivoca compromissione dottrinaria con i ranghi più ghibellini ch’era dato di immaginare in quel preciso contesto storico: gli azionisti anticoncordatari, separatisti (in fatto di relazioni Stato-Chiesa), magari anche divorzisti.
     Certo è che lo sguardo incrociato fra le due rive dell’ideale Tevere isolano era stato interessato e problematico fin dall’avvio della esperienza del movimento dei combattenti, pressoché coincidente con la nascita anche del Partito Popolare di don Luigi Sturzo. Il lungo sonno democratico imposto dalla dittatura fascista aveva ovviamente sopito ogni motivo di frizione fra il mondo cattolico organizzato (il solo tollerato con la sua organizzazione territoriale) e le formazioni politiche della democrazia ridotte a pratiche catacombali, con rapsodiche espressioni di opposizione, sovente represse con interventi di polizia, processi e dure carcerazioni. L’arrivo nell’Isola di alcuni sacerdoti spagnoli sfuggiti alle violenze della guerra civile e il loro riparo nel seminario regionale di Cuglieri, con le successive missioni di propaganda contro il fronte repubblicano – quello stesso dei sardisti Dino Giacobbe o Giuseppe Zuddas – considerato (in verità spesso non a torto) anticlericale e perfino irreligioso, avevano rinsaldato il “consenso” di massa e segnatamente quello cattolico attorno al regime di Mussolini… Poi era venuto il secondo conflitto mondiale, che ben altri problemi che quelli dell’articolazione dell’auspicata futura risorta democrazia italiana aveva posto nella considerazione di tutti. Dopo l’8 settembre però…
     La storia delle relazioni, più spesso tribolate, fra clero e Quattro Mori può ricostruirsi sfogliando la stampa di prima e soprattutto di dopo la lunga cattività fascista… (sul fronte sardista in particolare Il Solco, ma anche Il Sardo sbendato e Battaglia Sardista, su quello cattolico-clericale e anche democristiano La Sardegna Cattolica, il Corriere dei Sardegna, il nuorese L’Ortobene e l’oristanese Arborea, ed infine Il Quotidiano Sardo, nonché Il Monitore Ufficiale dell’Episcopato Sardo, e altro ancora). Valorizzando, per ragioni connesse all’osservatorio del ricercatore, quella sardista, con fugaci incursioni in archivi talvolta inesplorati diocesani e di partito…

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     1919, 1920. Pur con la sua dichiarata aconfessionalità, ma già per la propria stessa esistenza, il Partito Popolare Italiano si propone come gran collettore delle idealità e degli interessi politici del mondo cattolico nazionale. Le elezioni parlamentari del novembre 1919 - indette a distanza di sei anni dalle ultime svoltesi all'insegna del Patto Gentiloni, e soprattutto dopo il tragico quadriennio bellico che ha finito per mutare radicalmente lo spirito pubblico e rinnovare lo scenario politico, assorbendo anche, di necessità, le ultime resistenze della gerarchia ecclesiastica circa il diretto impegno dei cattolici nelle istituzioni dello stato - hanno realizzato la svolta. A quasi mezzo secolo da Porta Pia, la Camera che giura fedeltà allo statuto emanato da una dinastia già sanzionata con la scomunica del papa-re, ha accolto nel suo seno, grazie al proporzionale (e nonostante il suffragio semiuniversale, per il perdurante diniego dell'elettorato attivo alle donne), ben cento deputati rappresentanti gli oltre 1.176.000 votanti "libertas", pari al 20,6 per cento del corpo elettorale validamente presentatosi alle urne.
     Pressoché totale e, quel che più conta, spontanea, è stata l'adesione delle organizzazioni cattoliche, una galassia vasta e variegata che l'Opera dei congressi ha cercato, per molti anni, di collegare e raccordare nelle innumerevoli Italie degli anni che cavalcano i due secoli. Si è posto, conseguentemente, il problema della esclusività della rappresentanza. La diffidenza caratteristica di un ambiente ideologicamente roccioso come è quello clericale verso ogni elaborazione od esperienza laica, autonoma da input vescovili, prende progressivamente corpo e si consolida, dopo che nella fase di formazione, nella stessa vicenda in divenire del PPI. Quest'ultimo, a sua volta, se pure non può godersi la fiducia piena della gerarchia, in quanto soggetto politico offerto al giudizio della cittadinanza, deve anche difendere interessi elettorali la cui gestione impone enfatizzazioni dottrinarie che funzionano da collante nella propria larga area di simpatia. E, insieme, opera distinzioni di valore rispetto ad una concorrenza che pure ben può accogliere nelle proprie sezioni e perfino negli organi dirigenti, assieme a personalità agnostiche o scettiche di varia matrice, anche militanti di salda educazione religiosa che saggiamente sanno separare, come in ogni altro paese a regime democratico maturo, il piano della fede (intimamente vissuta) da quello della politica.      Anche il movimento isolano dei reduci della guerra che si organizzeranno, nel tempo, attorno ad un ideale e a un programma sardista, si deve porre da subito il problema del suo rapporto non tanto con il depositum delle verità cristiane, ma più correttamente con il livello pubblico di una tradizione teologica ed una sensibilità spirituale largamente diffusa nella società contemporanea.
     Il suo dichiararsi estraneo alle antiche contrapposizioni ideologiche, il suo proporsi come novità assoluta così nella rappresentanza di valori come nella rivendicazione politica tutta tesa lungo un filo programmatico e problemista, questo induce la dirigenza presardista a definire per il movimento degli ex combattenti una identità, per così dire, ecumenica.
     Sì, Bellieni - il maggior teorico - è stato, in gioventù, esponente e anzi fondatore della sezione sassarese del Libero Pensiero (un circolo denominato "Avanguardia") ed ha, ancora liceale, addirittura pubblicato un manifesto di invito ai cittadini "senza religione" a formalizzare tale loro posizione. E con lui sono, ancora adesso, numerosi i non credenti o i tiepidi, quelli magari iscritti ad una loggia massonica. Ma appare evidente non possa esserci automatismo alcuno fra scelte di coscienza del singolo e programma politico in cui le grandi opzioni che toccano gli indirizzi economici o quelli di organizzazione sociale sfuggono a premesse dottrinarie o di fede e rimandano invece a bisogni reali, a necessità tutte terrene . Insomma, la militanza ed il voto debbono e vogliono riferirsi a soluzioni da cercarsi esclusivamente nel campo del possibile e dell'adattabile, all’interno della categoria magna nella concretezza storica e sociale del territorio, non nelle astrattezze delle classificazioni metafisiche, benché la “questione religiosa” costituisca essa stessa, fin dall’inizio, giusta materia di riflessione.
     Due articoli - "I Preti sardi debbono essere con noi" e "Il nostro movimento è anticattolico?" - sono, nel repertorio de La Voce dei Combattenti (il periodico sassarese che precede Il Solco, il quale invece uscirà a Cagliari), particolarmente significativi di pulsioni ed interrogativi che emergono all'interno del movimento dell'Elmetto. Dovuti entrambi alla penna di Camillo Bellieni (benché soltanto il secondo sia firmato), compaiono rispettivamente l'11 maggio 1919 ed il 7 novembre 1920.

“I preti sardi debbono essere con noi”
“Il nostro movimento è anticattolico?”

     Già dal suo esordio il Partito Sardo d'Azione pone nel cuore della sua riflessione collettiva, che pure ha più marcati contenuti economico-sociali e politico-istituzionali, la questione religiosa o almeno la linea di politica religiosa che si ritiene esso debba esprimere, anche come diffuso sentire dei suoi militanti.
     Negli stessi "lineamenti di programma politico" approvati dal congresso costituente di Oristano del 16 e 17 aprile 1921 si legge: «Convinzioni religiose di esso [popolo sardo], attaccamento alle virtù familiari, esaltazione delle caratteristiche di energia e di fierezza della stirpe, saranno da noi rispettati profondamente» (cfr. Il Solco, 1? maggio 1921).
     Nella primavera 1922, quando ormai si lavora per l'attuazione di un'alleanza tra formazioni regionaliste presenti anche sul continente (il cosiddetto "partito italiano d'azione"), Francesco Fancello e Camillo Bellieni affrontano l'argomento in un pubblico scambio epistolare ospitato dal giornale sardista di Cagliari il 12 e 22 marzo (titoli, rispettivamente: "Unità e federalismo nell'organizzazione del P.I.d'A." e "Unità e federalismo del Partito Italiano d'Azione"). Lo fanno per contestare, intanto, il valore politico del popolarismo rurale sturziano, collegato a certo mondo di chiesa «politicante e faccendiere mascherato», come lo definisce l'esponente sassarese, e per affermare - un'altra volta ancora - un principio di netta distinzione fra la sfera della ricerca spirituale e quella dell'impegno temporale.
     A Fancello che ha richiamato uno dei punti qualificanti la costituenda intesa azionista - «Lo Stato deve realizzarsi come volontà operante nello spirito di tutti i suoi cittadini, deve garantire la libertà di coscienza e non può quindi tollerare una interpretazione della Chiesa nelle sue specifiche attribuzioni» -, Bellieni risponde confermando il significato di quei capisaldi che dovranno essere «rigidamente rispettati dai partiti regionali che accettano il patto. L'esaltazione del sentimento religioso - aggiunge poi - non può essere mai, nel caso nostro, asservimento dello Stato alla Chiesa e tanto meno ad un partito politico come il Popolare; deve essere giustificazione interiore dell'azione collettiva, che non può essere data se non da questo fattore religioso, l'unico sinora capace di condurre il solidarismo sino al sacrificio individuale».
     Ecco, le aree di "agnosticismo politico" che, in una super-formazione come questa che si sta progettando per ottenere la riforma dello Stato in senso autonomistico, non possono che essere larghe ed estese (perché si tratta di combinare esperienze ideali e culturali fra loro tanto diverse), comprendono in via assoluta l'aconfessionalismo dell'ordinamento civile, principio fondante ogni vera democrazia. Lo stato moderno è laico per definizione. Ciò che, comunque, non esclude si possa e debba riconoscere la vitale fertilità sociale e pregnanza dei valori spirituali nella direzione della solidarietà civica della popolazione.
     E' una lettera inedita, salvo errore, questa di Marianna Bussalai a Gonario Usala datata febbraio 1929 e rinvenuta, in versione dattiloscritta, fra le carte del senatore Pietro Mastino. All'indomani della stipula dei Patti Lateranensi fra il cardinal Pietro Gasparri, segretario di Stato di S.S. Pio XI, ed il cavalier Benito Mussolini, capo del governo di S. M. il re Vittorio Emanuele III, in quel di Orani - estrema periferia del regno - una coscienza libera fissa sulla carta riflessioni di forte impatto spirituale e politico.
     L'autrice dei muttos sardisti (e sempre fieramente antifascisti) confida al giovane amico il suo sconcerto di credente: sì, credente nel Vangelo del Cristo di certo non meno che nella religione della libertà. E' una lettura "sardista", politica e teologica ad un tempo, di un evento - quello concordatario - che è amaramente bollato come mancante «di religiosità, di misticismo, di cristianesimo». Ancorché benedetto dal pontefice in persona.
     «Hai visto i clamori e le feste per il concordato fra cattolicesimo e fascismo? A me non ha causato nessuna sorpresa. Sono “due assolutismi ferrei” che si uniscono, due imperialismi che confluiscono nell’alveo comune: la romanità. Dio non v’è in quell’accordo, e Cristo molto meno […]. Romanità, romanità, null’altro. E ”romanità” tu lo sai – è l’opposto di Cristianesimo. Il duce infatti, ci rivela pure in un altro discorso – 26 settembre 1922 – il suo pensiero intorno al cristianesimo. A Roma – questi sette colli così carichi di storia, si è operato uno dei più grandi prodigi che la storia ricordi, cioè si è tramutata una ”religione orientale da noi non compresa” in una religione universale “che ha ripreso sotto altra forma quell’imperio che le legioni consolari di Roma avevano spinto fino all‘estremo limite della terra!” […]. Il duce capisce il “papa” perché è “Romano” ma Cristo che è Divino (egli lo chiama “orientale”) non può capirlo, e lo dichiara candidamente! L’“unico” valore e merito che secondo lui ha il Cristianesimo è quello di avere – quando diventò cattolicesimo – continuato l’opera delle legioni consolari – “tenendo genuflesso il mondo davanti a Roma!”. Ha forse altro merito Cristo? […]. Quanto più illuminato, quanto più infallibile in quest’ora, il nostro Lussu, di Achille Ratti!».
     E' il 1945, mancano poche settimane alla Liberazione definitiva della patria dall'assedio burgundo e dalle residue complicità dei collaborazionisti di Salò. Da un mese ha ripreso le sue pubblicazioni Il Solco ed è appena stato celebrato, ad Oristano, il secondo congresso del dopoguerra (il settimo della serie storica) del PSd'A.
     Luigi Battista Puggioni, che incarna l'indirizzo più laico e libertario (oltreché, in economia, liberista) della dirigenza sassarese educata alla scuola di Bellieni e regge, fin dalla ripresa dell'attività post-armistizio, la guida politica e quella del giornale, scrive per Il Solco un articolo - "Sardismo e religione" - che mette efficacemente a fuoco le problematiche di quel rapporto confermando, su un piano che continua ad essere di buon senso laico, le posizioni tradizionali del partito: assoluta separazione fra temporale e spirituale, rispetto dei valori di coscienza di ciascun cittadino, apprezzamento dei valori umanitari scaturenti dal dogma.

Sardismo e religione (8 aprile 1945)
     Fin dalla sua costituzione, avvenuta nel congresso di Oristano nell'aprile 1921, il Partito Sardo di Azione ha dichiarato di volersi riallacciare direttamente alle tradizioni spirituali del popolo sardo, e di rispettare profondamente le convinzioni religiose di esso, l'attaccamento alle virtù familiari, e le caratteristiche di fierezza e di energia della stirpe. Queste dichiarazioni furono testualmente riprodotte nel programma formulato nel settembre 1943, nel quale, inoltre, fra le libertà fondamentali del cittadino, è esplicitamente consacrata quella di fede religiosa e di culto.
     Nel recente congresso di Oristano i medesimi principi sono stati riaffermati dalle parole dei nostri più autorevoli rappresentanti, e fra questi dal Direttore del partito; e mai, né in passato né al presente, si è fatta da parte nostra una campagna antireligiosa e anticlericale.
     Non l'abbiamo fatta perché siamo anzitutto sinceramente e profondamente rispettosi del sentimento religioso del nostro popolo, e poi perché - se inconsideratamente l'avessimo voluta - avremmo offeso le opinioni dei nostri aderenti i quali, nella stragrande maggioranza se non nella quasi totalità, praticano il culto della religione cattolica.
     Inoltre, essendo a carattere regionale, il nostro partito non si è occupato né pensiamo si occuperà delle relazioni fra lo Stato italiano e la Città del Vaticano, le quali non rappresentano alcun interesse particolare per la Sardegna. Non comprendiamo perciò per quale ragione altri si stia continuamente occupando per far nascere contrasti e dissidi fra sardismo e religione, lasciando intendere che vi è incompatibilità fra la nostra dottrina politica e quella religiosa del cattolicesimo.
     Abbiamo esitato e riflettuto a lungo prima di fare pubblicamente simile rilievo. Le prime segnalazioni ci hanno lasciato un po' dubbiosi e abbiamo ritenuto trattarsi dell'iniziativa personale di qualche elemento irresponsabile; ma da qualche tempo gli episodi sono rapidamente moltiplicati e accentuati nell'ambito dell'intera regione, sicché è difficile non credere che tutto questo risponda ad un'azione preordinata.
     L'opera più intensa è svolta, talvolta anche dal pulpito, da sacerdoti che hanno cura d'anime e che apertamente organizzano e sostengono il movimento politico democristiano; i quali trovano anche conveniente creare disaccordi fra il capo-famiglia e la moglie alla quale si è accortamente fatto o lasciato credere che il sardismo del marito costituisce un atto di eresia antireligiosa.
     Sarà inutile negare il fatto poiché possediamo ormai un'abbondante documentazione ed abbiamo personalmente conferito con delle buone madri di famiglia che sono sinceramente convinte e afflitte della supposta eresia del proprio marito e dei propri figli.
     Chi le ha suggestionate in tale modo, falsando la verità?
     Tutto questo non diciamo per contestare ai sacerdoti il diritto alla piena libertà politica. Padroni anch'essi di professare le idee politiche che preferiscono e di occuparsi anche della cosa pubblica, sia come critici che come amministratori, senza, per questo, venir meno ai doveri del loro ministero; ma è pur legittimo e onesto che noi insistiamo affinché i sacerdoti si occupino di politica come cittadini e non usando della loro qualità di ministri del culto per la loro propaganda.
     E di questa qualità non solo si usa, ma si abusa, quando viene utilizzata per insinuare in alcune anime semplici la convinzione errata che vi sia incompatibilità fra la fede cattolica e la dottrina politica del sardismo.
     Si dirà che è molto difficile che il sacerdote che si occupa di politica possa sdoppiare la propria personalità in modo da non influenzare la propaganda politica con le sue convinzioni religiose e viceversa. Ed è questa una cosa molto vera; ma è altrettanto vero che anche per gli altri è difficile fare una distinzione fra l'attività politica e quella religiosa del sacerdote. Noi ci limitiamo a porre il problema, ma non a noi compete la soluzione. Il terreno è difficile e sdrucciolevole per tutti.
     Con insistenza riceviamo sollecitazioni dai dirigenti delle nostre sezioni i quali ci chiedono come debbono regolarsi in situazioni simili a quelle da noi accennate; finora abbiamo sempre consigliato la tolleranza, nella speranza che l'inconveniente o l'equivoco avesse fine, ma la situazione va rapidamente aggravandosi, nell'imminenza delle elezioni amministrative alle quali dovranno partecipare anche le donne.
     Anche noi, presto o tardi, saremo costretti a prendere una posizione. Diciamo subito che mai, neppure per rappresaglia, noi lanceremo il nostro partito in una campagna antireligiosa, né mai incoraggeremo una simile tendenza: ma affermiamo che è suprema e imperdonabile follia suscitare una lotta anticlericale che in Sardegna non è mai esistita, e che non ha ragione di esistere.
     Preoccupati della pace religiosa del nostro popolo, rattristati e pensosi del pericolo, noi assumiamo qui, lealmente, la nostra responsabilità. Sappiano gli altri assumere la loro.
     Anche Emilio Lussu affronta la "questione cattolica" in questo stesso torno di tempo. Parlando all'assemblea della sezione sardista di Cagliari riunita presso il teatro Olympia domenica 25 marzo 1945 (cioè soltanto una settimana dopo la celebrazione del congresso oristanese del partito, che lo ha visto perdente con le sue tesi già apertamente socialiste), giunge alle sue riflessioni sulla complessa e scottante materia passando per un'analisi tutta politica dei protagonisti sulla scena, fra cui il partito della DC.
     Naturalmente gli inevitabili riferimenti al background etico-ideale del biancofiore, alle parentele ideologiche, anche oltre Tevere, di quest'ultimo conducono l'oratore, pur con cautela ed un misurato senso dialettico, a giudizi che chiaramente definiscono la sua posizione laica e libertaria (ma mai irreligiosa).
     Ecco alcuni stralci del suo discorso (integralmente riportato dal Solco del 25 marzo 1945): «E parliamo per ultimo - meritava di essere ricordata per prima - della Democrazia Cristiana. Se non mi sbaglio, mi è sembrato che qui in Sardegna si è ai ferri corti tra il Partito Sardo d'Azione e la Democrazia Cristiana.
     «Credo che gran parte di questa campagna clandestina, fatta di diffamazioni contro di noi, derivi dalla Democrazia Cristiana, stando alle testimonianze che io ho raccolto. La Democrazia Cristiana si scaglia particolarmente contro di me. Voi sapete che ho fatto un discorso alla radio, subito dopo l' ultima crisi ministeriale, in cui ho parlato di "avventurieri africani". Il testo del discorso era chiaro per se stesso. Anche per gli analfabeti, era chiaro che si intendeva parlare dei fascisti e della loro avventura africana. E' stato detto che io avevo pronunciato testualmente questa frase: "Schiacceremo la testa agli avventurieri cristiani".
     «Non vi è uno solo tra voi che mi ritenga così pazzo da pronunziare una frase simile. Come l'avrei potuto fare io, esponente di un partito a contatto quotidiano con i massimi esponenti della Democrazia Cristiana? Io, esponente di un partito che con la Democrazia Cristiana fa parte della unità nazionale, del Comitato di Liberazione Nazionale? Significherebbe essere pazzi. La frase è stata chiarita, ma la campagna contro di me aumenta. Ci sono alcuni fogli diocesani che mi hanno attaccato per questa frase inventata. Ho controllato, ma gli stessi fogli non hanno ancora corretto l'errore ormai evidente: scarso senso di onestà cristiana. E' obbligo di questi fogli dichiarare che è stato detto il falso; altrimenti si ha diritto di dire che v'è malafede.
     «La Democrazia Cristiana dice che io sia contro la religione. Ma il partito non è nella sua immensa maggioranza, circa il 95 per cento, fatto di cattolici? Come e quando io ho mai parlato della religione? Di questo patrimonio morale che ciascuno possiede sovrano nel fondo della propria coscienza e che obbliga tutti gli uomini civili al rispetto?
     «Per lealtà debbo dire che ho constatato il danno fatto all'antifascismo con l'accordo fra il Vaticano e il Fascismo, nel 1929. In Francia, dopo quell'accordo, i cattolici ci trattarono da pazzi e da avventurieri, tranne uno: quello che è oggi ministro degli Esteri di Francia e presidente del Comitato di Liberazione Nazionale, il signor Bidault. Tranne lui ed il suo gruppo stretto attorno al piccolo giornale L'aube, gli altri cattolici ci disprezzavano.
     «Non sono io che ho inventato la frase per Mussolini: "L'uomo mandato dalla Provvidenza". La religione non deve mai interferire nella politica: altrimenti può annunziarsi un disastro universale. Poi, il Vaticano, durante la guerra e l'occupazione tedesca, ha corretto il suo atteggiamento. Dobbiamo lealmente riconoscere che la Chiesa ha svolto un'azione di difesa per tutti gli antifascisti e gli ebrei e per i prigionieri anglo-americani e sovietici. Essa ha fatto tutto quanto era possibile fare. La sua protezione e la sua ospitalità sono state dovunque senza limiti. Vi sono inoltre dei sacerdoti che si sono fatti uccidere per la causa della libertà; sacerdoti che comandano brigate di partigiani ed insegnano a tutti come ci si deve battere per una grande Causa. La Chiesa ha corretto il suo primo contegno; e noi dobbiamo regolarci di conseguenza. Nessuno può dimenticare che l'Italia è cattolica. Sarebbe stolto non rendersi conto di questa situazione.
     «Io vi leggo il mio preciso pensiero in merito alla Democrazia Cristiana, espresso in un discorso tenuto al Teatro Brancaccio di Roma. E' questa una esposizione politica e dice testualmente: "Il partito della DC, oggi, ci lascia perplessi. Se non sviluppa le sue posizioni repubblicane e democratiche, questo grande partito di masse rischia di essere inefficiente per lo Stato della democrazia. Se questo sviluppo democratico non avviene, la situazione prossima si presenta fosca. Il mio partito non ha nulla da dire al partito della Democrazia Cristiana, poiché non ne ha il diritto. Ma io mi permetto, e mi scuso, di dire agli esponenti suoi più consapevoli e responsabili, di cui alcuni io annovero fra i più grandi amici della mia vita, che ho conosciuto personalmente cattolici militanti di parecchi paesi di Europa. Quanta responsabilità, in questi tragici anni passati, non ricade sui partiti cattolici dell'Ungheria, dell'Austria, della Spagna e della Cecoslovacchia! Là, essi hanno creduto di difendere l'ordine ed hanno creato il disordine e suscitato la guerra civile. E non hanno costruito, ma distrutto. Bene o male, la nostra unità nazionale s'è potuta compiere, durante il Risorgimento, senza i cattolici, assenti; senza i cattolici, presenti, ben difficilmente è concepibile questo nostro secondo Risorgimento".
     «Ecco il mio pensiero pubblicamente espresso in materia. Che cosa significa questo? Che politicamente, oggi, noi siamo in contrasto con la Democrazia Cristiana, ma non già per la religione, che non entra in campo, ma per la sua posizione sociale e politica, che è equivoca. Il partito della DC appoggia la monarchia. La verità è che oggi il partito della DC è a difesa dell'istituto monarchico. Il suo atteggiamento non è chiaro neppure sui problemi della nazionalizzazione e della socializzazione delle grandi industrie, della nazionalizzazione delle banche, della riforma agraria.
     «Se il partito della Democrazia Cristiana chiarisce se stessa in senso repubblicano ed in senso democratico, noi saremo i suoi più grandi alleati. Ma questo chiarimento deve avvenire. Devo dire che in seno alla DC vi sono due correnti: una corrente monarchica, conservatrice, ed un'altra corrente repubblicana, dichiaratamente democratica e progressista. Io mi permetto di affermare che se la Democrazia Cristiana (in cui conto molti ottimi amici, primo fra tutti il ministro De Gasperi, a cui mandavo da Parigi lettere in inchiostro simpatico) non modifica il suo atteggiamento, soprattutto nei confronti del problema istituzionale, essa si dividerà in un partito monarchico ed in un altro partito repubblicano e progressista. Dipende quindi da loro e non da noi andare d'accordo. La nostra posizione è più che chiara».
Agosto 1945. Ferruccio Parri presiede una seduta del Consiglio dei ministri che si preannuncia calda. Il democristiano Gronchi propone che lo stesso governo si faccia promotore di una solenne funzione religiosa di ringraziamento per la fine della guerra, proprio in contemporanea con la celebrazione ufficiale della vittoria degli Alleati.
     Uno dopo l'altro tre ministri si oppongono: sono il socialista Nenni, il liberale Brosio, l'azionista (sardo-azionista) Lussu. I primi due motivano la loro contrarietà con l'irrinunciabile carattere aconfessionale dello Stato (peraltro non ancora repubblicano, non ancora neppure "democratico" in senso proprio); il terzo - Lussu - ricorre a qualche iperbole per giustificare il suo "no" più intransigente: se intervenisse personalmente il pontefice ...
     «Vogliamo quindi augurarci ch'esso [il popolo italiano] saprà a suo tempo scegliersi i fedeli interpreti del suo pensiero e i promotori non equivoci dei suoi interessi spirituali e delle sue gloriose tradizioni», sarà il commento della rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica. Ma nell'Isola l'episodio basta e avanza per dar legna ai brucianti tizzoni dei clericali antisardisti.
     1946. Tra i turni elettorali delle amministrative, a marzo/aprile – quando, dopo oltre un quarto di secolo, vengono ricostituiti i liberi consigli comunali -, ed i comizi convocati per la Costituente si accendono, più caldi che mai, i fuochi della polemica. In campo cattolico (meglio: clericale) si scatena il gesuita padre Josto Sanna, autore di un testo volante che, al di là delle migliori intenzioni, appare alla coscienza religiosa e liberale perfino... blasfemo: "La candidatura di Cristo".
     Bersagli preferiti - perché più facili, data la loro debolezza intrinseca (a sua volta derivante dal non voler né poter essere "nemico" irreligioso della Chiesa romana) - sono i militanti dei Quattro Mori. Sì, essi ben più che i marxisti social-comunisti, profeti e seguaci del materialismo storico.
     Fedeli imitatori dei columnist dell'Osservatore vaticano e della stampa cattolica nazionale, nelle periferie sarde sono i direttori ed i corsivisti dei giornali diocesani i più decisi e violenti contro i sardisti rei dell'alleanza con gli uomini del Partito d'Azione e, soprattutto, colpevoli di essere capeggiati da un leader bollato "pubblico peccatore" come Emilio Lussu! E con gli organi delle varie curie diocesane, è schierato il settimanale democristiano che esce a Cagliari, il Corriere di Sardegna a direzione Amicarelli. Sono loro, i periodici vescovili e quello della DC, i contraddittori del Solco sardista. Il quale non manca di argomentare del suo.

I farisei. Commedia elettorale in un atto (17 marzo 1946)
La candidatura di Cristo(4 aprile 1946)
La bomba atomica (30 maggio 1946)

     Fra le carte di Cesare Pintus custodite dal suo fraterno amico e compagno di lotta politica Antonino Lussu si trova copia di una denuncia inoltrata il 1° giugno 1946 dalla sezione sardista di Ballao al procuratore del Re, recante per oggetto«Trasgressione del Parroco Don Luigi – Sull’art. n. 66 D.L.M. che sui luoghi di culto non si parla di politica».
     Così fra l’altro: «Il nostro parroco don Luigi Cerina il giorno 28.5.1946 all’arrivo della corriera da Cagliari portando al nostro paese alcuni manifestini anonimi di propaganda contro il Partito Comunista, Socialista e dicendo se non vi dispiace anche il Partito Sardo d’Azione. Chi lo vota è sotto pena di peccato mortale; con la scomunica anche del S. Padre. E continuò, dimenticando anche la spiegazione del S. Vangelo dell’Ascensione del nostro Signor Gesù Cristo al giorno della sua ascensione. Alcuni fedeli cattolici, non potendo sopportare simile insolenza, che vanno per ascoltare la S. Messa e cercare un momento di riflessione verso la fede che professano di religione cattolica ed apostolica romana, all’udire simile propaganda sortirono fuori. Ma lui scatenò ancora contro di questi frasi di maleducati. Seguendo poi che i migliori candidati erano quelli della lista della Democrazia Cristiana; solo quelli rispettano la religione cattolica, tutti gli altri escludere che sono contro la religione di Cristo. Noi dirigenti della Sezione chiediamo al signor don Luigi Cerina perché ci ha benedetto la bandiera dei quattro mori? Se questo Partito era condannato dalla Chiesa come lui dice? Già un anno fa al 15 maggio che questa bandiera fu da lui stesso benedetta! ed in segno di fede dai sardisti fu condotta in testa alla processione di S. Isidoro agricoltore; e ancora all’accompagnamento di un seppellimento di un sardista caduto sul lavoro.
     «Ora alla vigilia della costituente siamo condannati dalla Chiesa a non votare questo partito di sinistra per paura della loro scomunica sotto pena di peccato mortale.
     «In riscontro ai trasgressori di legge sull’art. 66. I dirigenti la Sezione Sardista».
     Per parte sua, in forma ufficiale l’episcopato isolano si è pronunciato già da febbraio, diffondendo nella domenica di Sessagesima il proprio ammonimento al popolo elettore.
     Si sono rivolti al «Venerabile Clero» ma soprattutto alla grande massa dei «figli dilettissimi», i pastori della Chiesa sarda: Ernesto Ma¬ria arcivescovo di Cagliari, fratel Arcangelo arcivescovo di Sassari, Giu¬seppe arcivescovo di Oristano ed amministratore apostolico di Ales, Fran¬cesco vescovo emerito di Ales, Albino vescovo di Ampurias-Tempio, Gio¬vanni vescovo di Iglesias, Nicolò vescovo di Bosa, Lorenzo vescovo di Ogliastra, fratel Adolfo vescovo di Alghero, Francesco vescovo di Ozieri, Felice vescovo di Nuoro.
     Hanno sottoscritto coralmente una lunga lettera pastorale che coinvolge direttamente tutte le undici dio¬cesi che organizzano canonicamente il popolo di Dio in terra sarda. Lin¬guaggio prelatizio, soft nella forma, con ripetute citazioni del magistero ordinario sia pontificio (Leone XIII, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII) che episcopale (card. Della Costa), ma di pietra nella sostanza. Documento ideo¬logico, impegnativo per i fedeli, affidato, per la notifica ad ognuna delle quattrocento e passa parrocchie operanti sul territorio e la capillare diffu¬sione nella regione, al Monitore Ufficiale, organo curiale regionale di cui è responsabile il teologo Giuseppe Lai-Pedroni, capitolare di Cagliari. Eccone alcuni stralci:
     «La tremenda bufera che si è riversata sul mondo in questi anni non ha cessato senza lasciare le più dure conseguenze [che], se limitate nell'ordine materiale, serie e impressionanti [sono] nell'ordine spirituale e morale [...]. Noi ci guardiamo attorno e siamo ben lontani dal vedere quel¬lo splendore di fede che formava il vanto delle nostre popolazioni [...]. Si assiste alla corsa sfrenata del guadagno, dell’arricchimento, per cui ogni mezzo si crede lecito, anche lo sfruttamento del prossimo senza nessun riguardo alla giustizia e alla carità [...].
     «Davanti a questo stato di cose, noi Pastori delle anime vostre non possiamo restare indifferenti e sentiamo il dovere di ricercarne la vera causa e di indicare quelli opportuni rimedi che specialmente in quest' ora diven¬tano urgenti [...]. A furia di parlare di democrazia si arriva al punto di non riconosce¬re nessuna autorità, foggiandosene una che non ha nessun potere e che re¬sta impotente perciò a stabilire quell’ordine che deve essere principio e base di ogni ricostruzione [...].
     «Uniamoci. E se in ogni tempo è stata necessaria l’Azione Cattolica, in questi momenti se ne vede la sua indispensabilità in tutte le Parrocchie, anche nelle più piccole […]. Non mancheranno quelli, come non sono mancati in passato, che ci accuseranno di servirci dell’A.C. per fare azione politica. Chi lo afferma sa già di mentire, perché il campo dell’A.C. è nettamente distinto dal campo politico: anzi per legge concordataria è stato dichiarato che l’A.C. è al di sopra e al di fuori di ogni partito politico. Perché dunque si continua a ripetere l’accusa che noi Vescovi, che i Sacerdoti, che l’Azione Cattolica fanno della politica? Che cosa si vorrebbe da noi? […]. La distinzione tra Chiesa e Stato, tra Religione e Politica non porta necessariamente separazione, anzi, solo in linea di eccezione, la Chiesa tollera la separazione, ma in un paese cattolico non può essere propugnata la separazione senza commettere un grande errore […].
     «Quando si è trattato di condannare sistemi politici che erano in contrasto con i principi rivelati, con i diritti della Chiesa, con la dignità, con i diritti e le vere prerogative della persona umana, con la santità e unità della famiglia cristiana, con la libertà della scuola cattolica, col diritto del¬la Chiesa e della famiglia di esigere l'insegnamento religioso anche nella scuola, allora la Chiesa ha levato alta la sua voce e non ha temuto né mi¬nacce, né persecuzioni [...].
     «Si vorrebbe che noi si tacesse onde lasciar libero il campo a lupi rapaci — in veste d'agnelli — di far strage del gregge a noi affidato [...]. Si vorrebbe che noi dimenticassimo un passato tanto prossimo, dichiara¬zioni programmatiche esplicite di lotta contro la Chiesa, il Papa, la Reli¬gione in una parola.
     «Noi ci dirigiamo a Sacerdoti, a fedeli cattolici che hanno il diritto di essere illuminati da Noi: e questa nostra dichiarazione deve essere anzi una prova evidente che noi non intendiamo occuparci di politica quando “non tocca l'Altare”.
     «Nella nostra Sardegna è molto diffuso il Partito Sardo d’ Azione. La nostra voce non si è mai levata a condannare questo partito né altri partiti che abbiano presentato un programma strettamente economico. Non pote¬va sfuggire ai promotori e ai dirigenti di questo Partito che si rivolgevano al popolo sardo nella sua stragrande maggioranza cattolico, perciò qualsiasi dichiarazione in contrasto con la fede dei Sardi avrebbe impedito il diffondersi del loro partito: anzi non sono mancate dichiarazioni anche recenti che il Partito Sardo d'Azione non ha avuto mai neppure la intenzio¬ne di ostacolare l’attività della Chiesa, che, anzi, il popolo sardo deve con¬servare le sue tradizioni religiose.
     «Noi Vescovi e i cattolici abbiamo il diritto di domandare un'altra esplicita dichiarazione: che il partito sardo non ha nulla da vedere con al¬cun partito nazionale e che, ben lungi dall'essere d'ispirazione cristiana, ha nelle sue dichiarazioni programmatiche opposizione netta alla attività e alle direttive della Chiesa. E ciò si rende necessario per il fatto che tra i propugnatori e i propagandisti del partito ci sono elementi tutt'altro che cristiani, ai quali nulla importa degli interessi spirituali del nostro popolo, che sono i suoi interessi vitali [...].
     «E in questi momenti specialmente la nota accusa viene ripe¬tuta contro il Clero e contro l'Azione Cattolica, perché si compie un altro obbligo gravissimo:
s'istruiscono i fedeli sul dovere del voto. Lo ha sem¬pre fatto la Chiesa, tanto più oggi che nella ridda dei partiti, si presentano di quelli che non solo non danno nessun affidamento che contribuiranno al bene comune, ma hanno nelle loro basi elementi dissolvitori di ogni or¬dine e benessere pubblico, perché mancano di ogni fondamento etico-religioso [...].
     «Si tratta di dare alla patria nostra una Costituente che da parte sua dia una nuova costituzione che dovrà essere la noma del vivere sociale per un periodo che può essere anche molto lungo. Ma se la nostra nazione è cattolica, perché la quasi totalità dei suoi cittadini professano la fede cattolica, non possiamo che auspicare e volere che abbia le sue basi sui principi immortali del Vangelo, su la dottrina di Cristo. Una costituzione che non si accontenti di mettere come primo articolo “la religione cattolica è la religione dello Stato” e poi di tutt’altro tenga conto che della religione cattolica, anzi proprio per essa e solo per essa crei tutte le difficoltà onde limitarne il suo influsso nel vivere sociale: no, noi dobbiamo volere una costituzione che - prescindendo dalla forma di governo su la quale la Chiesa ha lasciato sempre la massima libertà ai suoi figli - stabilisca i fondamentali diritti politici, civili e sociali dei cittadini e il complesso delle norme giuridiche costituzionali dell’ordinamento dello Stato, non in un modo qualsiasi, ma fondandosi su la religione cattolica che è la religione della maggioranza dei suoi cittadini […].
     «Noi dobbiamo volere che la religione cattolica continui ad essere in realtà la religione ufficiale dello Stato ed elemento essenziale della vita nazionale e non un affare “privato”, che non debba influire nelle sue manife¬stazioni ufficiali. E qui non possiamo pensare senza rammarico al doloro¬so spettacolo che l'Italia, nazione cattolica, ha dato dinnanzi a tutto il mon¬do: i rappresentanti ufficiali di questa nostra patria han rifiutato di compiere un doveroso atto di ringraziamento al Signore per la fine della guerra, non come privati, ma come rappresentanti della nazione [...].
     «Noi dobbiamo volere che sia riconosciuta la divina missione della Chiesa e perciò tra la Chiesa e lo Stato ci sia la più cordiale cooperazione, perché l'attività dell'una e dell'altra è rivolta a gli stessi sudditi: perciò sia conservata nella lettera e nello spirito la legge concordataria. Noi perciò dobbiamo volere che sia garantita alla Chiesa piena li¬bertà di magistero, di culto, di giurisdizione in materia ecclesiastica [...]. Noi dobbiamo volere che sia rispettata la santità del matrimonio come sa¬cramento e perciò non possiamo permettere che neppure si presenti la in¬fausta legge del divorzio. Noi dobbiamo volere che venga stabilita e rispettata la libertà d'insegnamento, nella sua più vasta applicazione: la scuola perciò non diventi monopolio di Stato, senza nessun riguardo al diritto edu¬cativo dei genitori e della Chiesa [...]. Noi dobbiamo volere che siano po¬ste le basi di una vera giustizia sociale [...].
     «In questo momento particolarmente grave, nessuno deve essere as¬sente: si tratta del bene comune a cui siamo tutti obbligati a contribuire. Il solo astenersi dal votare può portare a conseguenze gravissime, cosic¬ché può diventare una colpa grave [...]. Lasciatevi guidare dalla vostra coscienza cristiana che deve imporvi di escludere dal vostro voto quelle correnti politiche che professano prin¬cipi condannati dalla Chiesa, che sono in opposizione con quei “desiderata” che vi abbiamo presentato in rapporto alla divina missione della Chiesa, allo Stato laico, alle relazioni che devono correre tra la Chiesa e lo Stato, alla santità del matrimonio, all'insegnamento religioso nelle scuole, alla libertà d'insegnamento, alla dignità e ai diritti inalienabili della persona umana, al diritto di proprietà [...].
     «Lasciate perciò, carissimi figli, che noi vi ricordiamo che tutta la nostra fiducia la dobbiamo riporre nell'aiuto del Signore, che noi dobbia¬mo insistentemente domandare con la preghiera. Questa S. Quaresima, mi¬tigata nei rigori della salutare penitenza, deve far sì che noi intensifichia¬mo il nostro spirito di preghiera. Privatamente, nella famiglia, in chiesa pregate per il trionfo della S. Chiesa. Moltiplicate le vostre Comunioni, accettate le tante privazioni imposte dal momento con spirito di sacrifizio perché Satana non abbia a trionfare. Chiamate in modo speciale i piccoli attorno all'altare di Gesù e della Vergine Santa [...]. Partecipate a tutte le opere di carta, indispensabili nelle attuali circostanze [...]».
     Il 2 giugno 1946 la lista del Partito Sardo d'Azione (presentatosi in assoluta autonomia rispetto a ventilate ipotesi di alleanze che sarebbero state comunque maliziosamente interpretate) raccoglie soltanto - s'intende: "soltanto" rispetto alle attese della vigilia - 78.317 voti, pari al 14,9 per cento, spalmato provincialmente così: a Cagliari il 15,19, a Nuoro il 24,12 ed a Sassari il 7,51. I democristiani hanno fatto gioco pesante fino all'ultimo e può capirsi, ma il vero avversario del PSd'A sono stati i preti e i religiosi in genere.
     Non sono mancate le denunce, né mancheranno le note critiche, come quella di Marianna Bussalai che confida all'avv. Mastino (al tempo consultore nazionale uscente in quota di Partito d’Azione e sottosegretario al Tesoro con delega ai danni di guerra: così nel governo Parri del secondo semestre 1945 e primo governo De Gasperi nel primo semestre 1946) gli abusi del clero officiante nella parrocchia di Orani.
     E’ da dire però che non v’è paese che non segnali anomalie, espansioni indebite del clero in campi che esulano dalla loro missione. Episodi tutti miro-micro, emblematici però dello spirito e del costume pubblico sono puntualmente registrati dal giornale sardista attraverso le corrispondenze dei suoi fiduciari. Un primo censimento, certo specialmente marcato nel 1946, ma con precedenti e anche successioni temporali ne riferisce ad Allai e Ballao, Burcei e Cabras, Esporlatu ed Illorai, Musei ed Orani, Oschiri ed Ovodda, Paulilatino e Sagama, Sardara e Sini, Siniscola e Suni, Tonara ed Ussana, Bauladu e Donori, Isili e La Maddalena, Martis e Meana Sardo, Mogoro e Nuoro, Osilo e Olzai, Ottana e Sassari, Solarussa e Sorradile, Teulada e Villacidro, Villamar e Zerfaliu, Capoterra e Codrongianus, Cossoine e Desulo, Ierzu e Mara, Pattada e Pozzomaggiore, Orune e Quartu, San Vito e Simala, e Bitti e più ancora di tutti Oliena dove il canonico Bisi sembra l’alfa e l’omega di ogni tensione… (Nella curia vescovile di Nuoro sono conservati documenti interessantissimi circa la «situazione incresciosa» e l’«intollerabile abuso perpetrato da elementi anticristiani» in quel di Oliena, così come emerge dallo scambio epistolare fra il parroco e il presule diocesano di freschissima nomina: si tratta dei funerali civili organizzati dai sardisti, visto che il canonico non ammette le bandiere in chiesa e vista anche l’esosa – o che tale è ritenuta – tariffa per il servizio religioso. Una storia nella storia che meriterebbe un racconto a sé).
     Da Orani ecco alcuni stralci del documento-testimonianza datato 10 giugno 1946 a firma di Marianna Bussalai:
     «Ill.mo Dottor Mastino. Alla gioia per la rielezione Sua e dell’On. Lussu, s’unisce l’amarezza infinita e la vergogna per questa sciagurata Sardegna che sarà rappresentata alla Costituente da F.cicu Murgia e dai suoi cinque compagni del nuovo “Listone” clerical-fascista e dal qualunquista Abozzi, anziché da uomini – da sardi – del valore di Luigi Battista Puggioni e Gonario Pinna, di Titino Melis ed Anselmo Contu, che riunendo le loro voci poderose a quelle degli altri due nobilissimi esponenti sardisti avrebbero potuto decidere vittoriosamente del destino del nostro popolo […].
     «Scrivo oggi, dietro espresso incarico dei sardisti e delle sardiste d’Orani per farLe sapere ciò che qui succede, ma soprattutto, detto incarico mi venne da Maria Are moglie del Suo cliente Andrea Borrotzu, che venne a contesa col Parroco, in Chiesa, per la sua fede sardista. Tutte le nostre donne son bersagliate dal Parroco, anche in confessione; ma nessuna è disposta a sostenere pubblicamente l’accusa per una documentazione. Questa Maria Are Borrotzu invece è venuta a dirmi di scriverlo a Lei, perché agisca come crede.
     «Le cose si sono svolte così: la Are si recò a confessarsi dal Parroco – lo scorso Venerdì 7 Giugno; ma siccome io avevo detto a tutte che se il voto al partito sardo fosse stato un peccato, io non le avrei consigliate di darlo; e che se non era peccato non dovevano confessarlo – essa – per risparmiar incidenti e scandali, non confessò affatto, d’aver votato per Lei e per l’Avv. Pinna; ma il parroco, truce e fiero… chiese: “Per qual partito hai votato?”. La donna dispose con calma: “Stia sicuro che ho votato secondo coscienza, per persone buone e oneste”. Ma il parroco replicò: “Ti chiedo se hai votato per la democrazia cristiana; altrimenti c’è la scomunica e non ti posso assolvere”. Maria Are disse allora: “Ma perché lasciavate far le elezioni, e non mandavate senz’altro i democristiani, giacché si posson votare solo quelli?”. Il parroco gli sbatté lo sportellino del confessionale sul muso e buonanotte! Allora l’Are l’attese in mezzo alla chiesa piena di gente per dirgli che il voto era segreto - e nessuno poteva entrarci; e ch’essa non aveva assassinato nessuno, come certi democristiani: che l’On. Mastino era, in confronto ai preti, un santo che faceva miracoli. E se n’andò! Poi venne da me, a pregar d’informare Lei e l’avv. Pinna, per sapere che cosa deve fare. Se anche Lei non volesse agire - ad ogni modo Maria Are è una donna così decisa, così fedele - ed oggi così presa di mira - che merita una parola Sua e dell’avv. Pinna, che la rinfranchi. Il nostro parroco, e tutti i preti dei dintorni, mirano a piegar le ribelli, fecendole andare a Canossa, dai Vescovi, che toglierebbero la scomunica a condizione d’abbandonare il Partito Sardo e passare alla Democrazia Cristiana. Per fortuna qui quasi tutte vanno a confessarsi col vecchio don Brundu, che non chiede mai per chi si è votato: e le nostre donne - rassicurate anche da mia zia (che pur nei suoi ottant’anni è perfettamente lucida ed è Maestra del Terz’Ordine) si guardano bene dal confessare il voto sardista; ma a Saruli, ed anche qui col parroco non è così […].
     «Oltre la deposizione dell’Are – e quella di pochi animosi che attesteranno quanto il Parroco disse in Chiesa, domenica 2 Giugno - il sardista Salvai Antonio (Carrapreda)mi mandò a dire che informassi Lei, del fatto che il parroco dì Orani niegò l’assoluzione ad una giovane di 15 anni, perché si rifiutò di dirgli a qual partito appartenesse la madre! Se non si potrà sollevar la protesta alla Costituente - per mandar via quei vili, il successo li renderà sempre più pazzi - e noi dovremo desistere dalla lotta politica, e rassegnarci ad un ritorno al medioevo! […].
     «Ed ora ecco il resoconto ordinato dei fatti, che potrà esserLe utile, perché quanto accade qui, accade (anzi peggio) a Saruli, Olzai, Orotelli, ecc.
     «Il giorno dopo la Sua venuta, quando il paese era ancor vibrante per il Suo discorso - furono sparsi, casa per casa - i foglietti azzurri con la condanna dei vescovi al Partito Sardo, portati da una ventina di propagandiste, che simili ad erinni, annunziavano la scomunica! Ma l’avevano detto tante volte da prima, che non furon credute quasi da nessuno: anzi in molte case furon messe alla porta!
     «Le donne ridevano, e tutto finì in un clamoroso fiasco, anche quando la signorina Cambosu d’Orotelli (presentata ed accompagnata dal cognato prediletto di Puntorgiu - Michelino Pirisino, democristiano dannato) parlando al pubblico, dove parlò Lei, espose alle donne, gli errori della scomunica ecc. ecc,! Poi - siccome quest’imbecille, si permise d’attacccar Lussu e la Signora, con le accuse più oscene - e di demolire il nostro partito, mia sorella, mentre poche megere applaudivano, gridò: “Viva Lussu! Viva il Partito Sardo!”. Grido subito raccolto e ripetuto senza fine, da sardisti e comunisti. Ed ecco la Cambosu, inviperita - e tosto iniziata dalle energumene che aveva intorno, gridare, mostrando a dito mia sorella - “che le dirigenti sardiste erano irreligiose; che andavano in Chiesa solo per le grandi occasioni; che erano ribelli agli ordini della Chiesa ecc. ecc.”. Allora protestarono tutti i presenti […]. Ma quando l’oratrice fu andata via, una trentina d’erinni accerchiarono mia sorella, pretendendo di discutere in trenta contro una -e assordandola d’urli, perché sosteneva che i vescovi che avevano bruciato Giovanna d’Arco erano cattolici non eretici! Dovemmo liberarla con l’intervento dei carabinieri - e ne ebbe una raucedine per otto giorni - e le tasche del soprabito lacerate! […].
     «Ma il Parroco aveva in serbo la grande sparata, per Domenica mattina 2 Giugno: ed alla messa, disse allora, col tono truce e spaventoso d’un profeta d’Israele, che erano colpiti da scomunica tutti coloro che avrebbero votato per altri partiti, e non per la Democrazia Cristiana: che conseguenza della scomunica era il diniego dei sacramenti, anche in punto di morte; i bimbi senza battesimo, i funerali senza prete; le nozze senza rito religioso; le case senza acqua santa, finché i Vescovi non avessero perdonato! Perciò dovevano votar tutti per la Democrazia Cristiana. Questa proclamazione fatta con tanta solennità e con tanto impeto, non fu creduta più - pel momento - un sotterfugio elettorale, e fu così - in preda al panico -che le donne andarono a votare! Ne conseguì che i nostri 419 voti, furono certo in prevalenza d’uomini (sebbene vi siano state donne coscienti e coraggiose, come la moglie e le figlie del Dottor Marchioni che vanno in Chiesa col distintivo sardista per vedere di farsi mandar via; come mia zia e le terziarie giovani e vecchie, che si recarono a votare con lei, o come le inquiline delle loro case - che Lei andò a trovare nel Marzo […]; e ciò che è peggio, furono di donne terrorizzate - come esse stesse dicono ora, maledicendo - le numerose schede in bianco - e di 500 e più voti democristiani d’ora - contro i miserabili 176 che presero nel Marzo!!! E sarà sempre così, purtroppo, finché i preti useranno un tal metodo! […]».
     Da luglio a settembre, ancora nel 1946, Il Solco sardista insiste nella sua protesta. Elenca le provocazioni e gli arbìtri di parte clericale, individua gli agenti di quell'offensiva additando nei gesuiti di Cuglieri, e personalmente in padre Luigi Gallicet, la punta di diamante della reazione quasi sanfedista, condanna le spregiudicate e strumentali confusioni tra fede e politica.
     Interviene più volte, con tutta l'autorevolezza della sua personalità, lo stesso Giovanni Battista Melis, da un anno circa direttore regionale del partito (dopo Puggioni) e prossimo deputato.

230mila “scomunicati”in Sardegna. Una pubblica domanda che attende una pubblica risposta (5 luglio 1946)
Di chi la colpa? Situazione incresciosa ma fatale (5 luglio 1946)
Le dediche di padre Luigi Gallicete. La vittoria repubblicana – Belfagor (Saetta)direttore di tutto il reparto donne (28 luglio 1946)
Il terrorismo religioso in Sardegna davanti al Santo Uffizio (4 agosto 1946)
Sardismo e religione (22 agosto 1946, a firma di Felice Solinas)
Quel che è stato denunciato è vero? (1° settembre 1946)


     Due articoli senza firma provenienti da Oliena. Il Solco li pubblica rispettivamente il 28 luglio ed il 19 settembre 1946, facendo seguire una lunga nota di commento, per la penna, può credersi, di Pietro Melis, direttore effettivo del giornale (o forse dello stesso Giovanni Battista Melis, responsabile della testata). I due titoli echeggiano lo stesso motivo: "Funerali col prete, con le campane, ma senza 'Piatto'", il primo; "Funerali senza prete, senza campane, senza 'piatto'", il secondo.
     Sui Patti Lateranensi - o anche sui Patti, nel quadro più complessivo della discussione sui primi articoli della carta costituzionale - Lussu parla a Montecitorio, in assemblea plenaria, nella seduta pomeridiana di venerdì 7 marzo 1947. Espone le sue idee sulla natura dello stato "democratico" quale la sua parte desidera sia affermato e consacrato dalla costituzione della Repubblica.
     Parte da lontano, enunciando le grandi coordinate ideali alle quali si ispira. Spiega che la sua idea di "stato" e il suo progetto di "democrazia" «non sono quelli illustrati nell'opera Stato e Rivoluzione di Lenin». Peraltro sostiene anche di condividere in pieno la critica, diffusa in molti ambienti politici, «verso e contro il cosiddetto Stato liberale», che era «lo Stato di una classe, lo Stato creato dalla borghesia in una grande ora della civiltà nazionale dei paesi che entravano nella società moderna». Ma si tratterebbe ora - a suo avviso - di «un anacronismo... conservatore e reazionario».
     Dà onore a Croce, a cui - avverte - «molti giovani debbono... se, durante questi venti lunghi anni, hanno potuto salvare la loro coscienza, e oggi possono sedere qui nei differenti banchi», ma - ribadisce - «lo Stato liberale è fallito e indietro non si torna». «Esso, in teoria, era la casa di tutti... ma, in realtà, lo Stato liberale era esclusivamente la casa della borghesia»: una casa rovinosamente crollata quando le masse hanno chiesto il riconoscimento dei loro diritti. Allora «la fine dello Stato liberale» ha significato «l'atto di nascita del fascismo».
     La sinistra, gli azionisti vogliono costruire «uno Stato democratico e non uno Stato effimero; uno Stato per il restante dei nostri giorni, per i nostri figli e per le nostre generazioni che verranno: lo Stato della democrazia. Intendiamo costruire lo Stato della democrazia, e la democrazia, finalmente, in Italia».
     La volontà della maggioranza deve trovare certezza di realizzazione, ma non di meno i diritti delle minoranze debbono trovare la loro tutela altrettanto certa e permanente: ecco, va preservata «perennemente l'individualità di ciascuno, l'individualità politica e l'individualità umana». E per ottenere questo - chiosa - è necessario «un compromesso fra le classi».
     E', questo, un argomentare un po' generale che avvicina però adesso l'oratore al tema "caldo" del richiamo esplicito, da molti proposto, dei Patti del Laterano nell'articolato costituzionale.
     Accenna ancora, Lussu, al discorso tenuto il giorno prima dall'on. Basso e si riferisce alla battuta dell'altro leader socialista Nenni, secondo cui «il socialismo va al potere». Vuole capire meglio, interpretare il senso di quelle parole: «al potere non va il socialismo, perché al potere ci sta, permanentemente, la democrazia; ed il socialismo, nei settori dell'organizzazione centrale e periferica, democraticamente realizza se stesso, accetta la legalità democratica. Il socialismo entra nella democrazia, non per sabotarla con colpi equivoci, ma perché è la sua casa». Egli sente - e lo dichiara apertamente - che «la democrazia moderna è socialista, o non è democrazia», e contesta pertanto, forzando per amor di tesi le altrui posizioni, la formula (che attribuisce al collega Tupini) secondo cui «la democrazia è democristiana, o non è».
     Ad una voce che, dai banchi del centro, lo interrompe precisando «Non democristiana, ma cristiana», egli ribatte: «La democrazia moderna o è socialista o non è democrazia, sia essa cattolica, protestante o laica». E più oltre, obiettando ad una certa incoerenza della DC sui temi delle trasformazioni sociali, aggiunge: «Dobbiamo credere che il partito comunista ha fatto molto affidamento sulla democrazia cristiana: in compenso, la democrazia cristiana ha chiesto per sé l'inclusione dei Patti del Laterano nella Costituzione. Ma sta di fatto che se noi lo consentissimo, i Patti lateranensi sarebbero immediatamente compresi nella Costituzione, mentre le realizzazioni sociali sarebbero ancora da venire. La democrazia cristiana si prenderebbe fin da oggi e l'uovo e la gallina, mentre le realizzazioni sociali sono solo sulla carta.
     «Qui tutti abbiamo il ricordo vivo del discorso del collega onorevole Calamandrei, che a molti è apparso come definitivo: non si può aggiungere niente di più. Non mi soffermerò quindi su questo problema che è già esaurito. Ebbene, tutti noi abbiamo egualmente ascoltato, ed io con estrema attenzione, il discorso del collega onorevole Tupini, rappresentante del grande partito democratico cristiano. Non vi è stato in esso nessun cenno di risposta, anzi l'onorevole Tupini ha reso all'onorevole Calamandrei pan per focaccia, e poco c'è mancato che ci recitasse qui per esteso il “pater noster”, provocando le vivaci reazioni del collega onorevole Tonello, che è protestante.
     «Mi sia consentito - e parlo senza desiderio di fare dell'umorismo - di dichiarare che se questo avverrà, cioè se i Patti del Laterano saranno compresi nell'atto costituzionale della democrazia italiana, si entrerà in un vicolo cieco. Le cose stanno già male oggi, starebbero peggio domani. Mi permetto di leggere per intero - poiché è breve - questo avviso dettato agli allievi di una scuola media a Roma, sede del Governo, sede dell'Assemblea Costituente, mentre l'Assemblea Costituente è aperta. Questo avviso è stato dai professori dettato agli allievi perché lo facciano firmare ai loro genitori: "Sabato 15 marzo, la nostra scuola celebrerà con la solennità consueta il precetto pasquale nella chiesa di S. Ignazio. I genitori e le famiglie sono invitati ad intervenire. Mercoledì 12 marzo, giovedì 13 e venerdì 14 dalle 15 alle 16,30 si terranno gli esercizi spirituali...".
     «Voi tutti sapete che io non ho mai fatto dell'anticlericalismo e che non ho avuto mai niente a che fare con la massoneria, e che quello che io dico risponde soltanto alle esigenze di una coscienza democratica che ha il diritto di esprimersi. "... esercizi spirituali in preparazione al precetto pasquale, in via del Seminario n. 120. Verrà fatto l'appello nominale e gli assenti dovranno presentare ai professori di lettere, la mattina seguente, una giustificazione dei genitori. Questo non perché la frequenza degli esercizi spirituali sia obbligatoria; essa è del tutto libera, ma perché si stabilisca un controllo sia per le famiglie che per la scuola su quanto i ragazzi faranno in questi tre pomeriggi... Per le spese della cerimonia - è questione di coscienza non di borsa - gli alunni dovranno versare liberamente 20 lire".
     «Questa è la pace religiosa, onorevole Tupini! Noi che ci sentiamo, in parte, continuatori della tradizione del Risorgimento nazionale, non accettiamo che il Patto lateranense rientri nella Costituzione. Cosa ne pensano i liberali?... A quei banchi non è più presente l'ombra di Camillo Cavour, ma quella di Solaro della Margherita... Questa preoccupazione ed altre circondano la nostra mente, mentre ci accingiamo a investire della nostra critica, del nostro giudizio, il progetto di Costituzione, che noi desideriamo approvare e per il quale vogliamo collaborare».
     Così l'intervento di Emilio Lussu, più volte disturbato dai settori moderati dell'emiciclo, mentre certo neppure fra i banchi dell'estrema comunista viene gradito.
     Il voto viene al termine della seduta del 25 marzo (a notte fonda, all'1,30 della mattina - potrebbe anche dirsi - del 26). Partecipano alla votazione nominale - così richiesta dagli azionisti, dal socialista Pertini e da pochi altri - in 499 deputati. Rispondono "sì" in 350 (cento più della maggioranza richiesta), e "no" in 149. Gli esponenti del gruppo "autonomista" (sette azionisti, due sardisti o sardisti-azionisti, un valdostano), naturalmente, si pronunciano contro, così come i deputati del PSI, i repubblicani e pochi altri sparsi nei gruppi. Non Lussu, comunque, assente (come Ugo La Malfa, il quale farà mettere a verbale, in una seduta successiva, che se avesse partecipato, avrebbe votato pure lui contro l'art. 7 che testualmente recita: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Qualsiasi modificazione dei Patti, bilateralmente accettata, non richiede procedimento di revisione costituzionale»).
     Aprile 1947. Mentre a Roma la Costituente ha già compiuto il suo giro di boa con Lussu e Mastino che, all'interno del gruppo "autonomista", assicurano una presenza attiva e combattiva sui più cruciali fronti di discussione, nell'Isola i giornali diocesani perseverano nel loro battage polemico. E' sempre Lussu, nell'opinione degli organi di Curia, il nodo equivoco del sardismo. Il Solco risponde, definendo il "Piccolo Seminario" cuglieritano - assurto come simbolo del tenace avversario collettivo - «grande trasmittente dal bassofondo dem. crist. ».

Calori di stagione: Lussufobia (12 aprile 1947)
     Non è datato, ma può collocarsi press'a poco in questa stessa stagione un articolo che Lussu scrive per Il Solco, e di cui invia il testo al direttore Giovanni Battista Melis, con la seguente nota di accompagnamento: «Caro Titino, ecco l'articolo, che probabilmente ha l'ispirazione molto discutibile. Se lo credete opportuno per i nostri lettori (leggetelo in piccolo comitato critico), pubblicalo, altrimenti non pubblicarlo. Mi pare invece sarebbe opportuno pubblicare il discorso di Calamandrei che tu hai. Arrivederci. Emilio Lussu».

I Patti del Laterano e il cosiddetto "divorzio"
     Per meschini calcoli elettoralistici e anche per ignoranza è stata di nuovo scatenata una campagna assai rumorosa contro il Partito sardo d'azione e particolarmente contro di me che, con Pietro Mastino, ho l'onore di rappresentarlo all'Assemblea Costituente. Si dice: "Lussu ha votato per il divorzio e contro i Patti del Laterano".
     Chi lo dice lo sappiamo tutti: è la base elettorale della Democrazia cristiana fatta di pochi civili e di un esercito di ecclesiastici stretti attorno alle diocesi, alle parrocchie e all'Azione cattolica, portabandiera il celeberrimo padre Gallicete del seminario di Cuglieri.
     Occupato come sono dai problemi politici che lasciano scarso tempo alla polemica, ho pregato i miei amici di controllare e raccogliere quanto si va affermando nei vari fogli diocesani e nelle sacrestie, per poi obbligare i diffamatori a rispondere della loro intemperanza di fronte ai tribunali competenti. Ho peraltro il dovere verso il corpo elettorale sardo che mi ha voluto scegliere come suo deputato, di chiarire brevemente ma subito come realmente stanno i fatti.
     Patti del Laterano. Come è noto, il partito della democrazia cristiana, non avendo avuto il coraggio di resistere alle pressioni fanatiche del clericalismo più cieco, ha commesso il gravissimo errore di volere che il Patto del Laterano fosse incluso nel testo della Carta costituzionale.
     Che cosa io ho sostenuto, in seno alla commissione dei 75? Ho sostenuto brevissimamente e nei termini contenuti in una dichiarazione di voto, che i Patti del Laterano non fossero inclusi nella Costituzione, poiché questo non è il loro posto. La stessa risposta darebbe un padrone di casa ordinato alla donna di servizio che al centro di una tavola apparecchiata, sopra la tovaglia in mezzo ai bicchieri, ai piatti e ai fiori, avesse collocato, ben pulito e persino con i fiocchi, un gatto. Direbbe l'ordinato padrone di casa: "Leva di là quel gatto: quello non è il suo posto!". L'ordine e il buon gusto si chiamano il diritto costituzionale, senso politico e coerenza giuridica.
     La stessa mia considerazione han fatto uomini rispettosi della religione, come l'on. Nitti e l'on. Orlando, i quali, per una contraddizione, costante caratteristica della loro natura politica, hanno finito col votare a favore. Essi hanno dimostrato che il posto del gatto non era sulla tavola apparecchiata, ma ce lo hanno lasciato ugualmente.
     Chi volesse avere un'idea esatta di come stanno le cose dovrebbe leggere il resoconto stenografico del discorso pronunziato in risposta all'on. La Pira dal deputato cattolico (cattolico professante) l'on. Bruni, esponente del partito cristiano-sociale, il quale ha votato come me.
     Perché il partito della democrazia cristiana ha commesso questo gravissimo errore? Per non perdere i voti degli ambienti controllati dal clero. Siccome io non sono stato eletto deputato dal clero sardo, non ho bisogno del suo appoggio elettorale, e mi sento quindi perfettamente libero. La mia coscienza politica non è stata formata al seminario dei padri gesuiti di Cuglieri. E se tutti i cattolici, repubblicani e democratici, seguissero in Sardegna il mio consiglio, finirebbe d'esistere un centro camorristico elettorale che disonora innanzitutto la religione e poi la democrazia.
     Divorzio. Nessuno, nelle sottocommissioni e nella Commissione dei 75, ha mai parlato di "divorzio", perché non c'è un solo deputato in Italia che pensi che il nostro paese, già tanto diviso, debba ancora dividersi su questa questione.
     Per il cosiddetto "divorzio", si può ripetere quanto si è detto per i Patti del Laterano. Il suo posto non sarebbe in ogni caso nella Costituzione, ma nel codice civile. Quando si dice quindi che io ho votato per il "divorzio", si dice una scempiaggine e una menzogna. Ma così è: nell'Italia post fascista, i ciarlatani abbondano nelle piazze. Questo non sarebbe un male: il guaio è che vi sono masse di creduloni che ascoltano a bocca aperta, più aperta e spalancata della bocca della balena che inghiottì il buon Gionata.
     1948, martedì 13 gennaio. Di spalla, su tre colonne, Il Quotidiano Sardo - giornale cattolico legato ai Comitati civici - pubblica una "Lettera aperta all'on. Lussu" (così il titolo). E' a firma di Francesco Chieffi, deputato costituente del biancofiore.
     Alla politiche del 18 aprile 1948, il Partito Sardo d'Azione decide di presentarsi, come già è avvenuto due anni prima, con liste autonome, confermando il suo rispetto «alle tradizioni religiose e spirituali del popolo sardo» e, insieme, confidando «che il Clero dell'Isola, al di sopra dei contrasti politici, partecipi allo sforzo di rinascita della Sardegna con senso fraterno di solidarietà».
     Per parte loro gli arcivescovi e vescovi della Sardegna ribadiscono anch'essi le note posizioni che mirano all'unità politica dei cattolici dietro lo scudo democristiano. Ecco la loro notifica a clero e fedeli: «S'approssima il giorno nel quale il popolo italiano dovrà compiere un gravissimo dovere verso la Patria, eleggendo i suoi rappresentanti al Parlamento, cui è affidato il potere legislativo e nelle cui mani conseguentemente sarà la direzione della vita della Nazione.
     «Nessuno può esimersi da questo vero dovere di coscienza: perché dai risultati della votazione, dai buoni o cattivi Deputati e Senatori dipenderà se l'Italia avrà leggi buone o cattive, un governo buono o cattivo.
     «Questo che non è solo un dovere civico ma anche di coscienza importa due obblighi: il primo di pregare, il secondo di interessarsi perché le votazioni abbiano un esito rispondente allo spirito, alle tradizioni, alle esigenze non solo materiali ma anche spirituali del popolo italiano.
     «1) Dobbiamo in primo luogo pregare. Quanto più grande è il bisogno, tanto maggiore dev'essere il nostro impegno di pregare. Dio esige che noi sentiamo il bisogno che abbiamo del suo aiuto e Glielo chiediamo facendo dolce violenza alla Sua bontà dalla quale tutto dipende.
     «E' tanta l'urgenza della preghiera anche in questo settore di umana necessità che il Santo Padre in ogni circostanza la sollecita, la raccomanda a tutti e in modo speciale vuole che si facciano pregare i fanciulli che per la loro innocenza sono tanto graditi a Nostro Signore.
     «Si facciano preghiere private e pubbliche: i Rev. Parroci stabiliscano nella loro parrocchia quelle funzioni che crederanno più adatte e alle quali inviteranno la popolazione, esortandola a grande fede nella bontà di Dio e nell'intervento di Maria Santissima e dei nostri Santi Patroni, San Giuseppe, Santi Pietro e Paolo, S. Francesco, S. Caterina e i Santi speciali delle nostre parrocchie.
     «Non è la prima volta che la Chiesa si trova in situazioni minacciose: odi e lotte di nemici, guerre e persecuzioni subdole e aperte ne ha sempre avuto. In tali circostanze nella Chiesa sempre si fecero grandi preghiere, si purificarono le anime e fidando in Dio e invocando Maria SS. La Chiesa, o inerme affatto o con impari forze materiali, ebbe ragione degli sforzi e delle forze di quelli che la volevano distruggere o asservire.
     «Anzi oggi c'è una circostanza che aggrava la situazione. Mentre infatti nel passato tutti i credenti, i buoni si stringevano intorno alla Chiesa contro il comune nemico, ai nostri tempi non pochi che convivono con noi nelle nostre case, nelle nostre città, paesi, officine che si dicono religiosi, cristiani, cattolici, aderiscono a programmi di Partiti notoriamente ispirati al materialismo, all'irreligiosità, che promuovono sistemi sociali, istituti pubblici contrari alla morale cattolica e condannati dalla Chiesa, asserviti o solidali con uomini che se domani si impossessassero degli organi della vita pubblica, scristianizzerebbero la vita nazionale, angarierebbero le coscienze, perseguiterebbero la Chiesa e intenterebbero di distruggere la Religione.
     «Preghiamo, o figli dilettissimi, perché Dio salvi la nostra Patria da simile disgrazia; perché sia conservata al nostro popolo la sua fede, la gloria delle sue istituzioni morali e religiose.
     «2) C'è una massima che dice che noi dobbiamo pregare come se tutto dipendesse da Dio; ma nel tempo stesso dobbiamo operare come se tutto dipendesse da noi, cioè dobbiamo unire la preghiera all'azione. Nostro dovere è quindi di fare quanto possiamo perché le elezioni abbiano un esito felice.
     «Non siamo ottimisti faciloni, ma neppure pessimisti sfiduciati. Non appartiamoci e non restiamo indifferenti ché saremmo traditori della Patria e della Religione: lavoriamo con tutte le nostre forze, con tutto l'impegno, lo zelo e l'entusiasmo che impongono le cause nobili e sante. Sappiamo compatire ed amare gli erranti e gli avversari, ma non lasciamo che l'errore, la menzogna, anticlericalismo invadano e avvelenino le nostre popolazioni.
     «Tutti dobbiamo essere apostoli per la vittoria cristiana: illuminante con chiarezza e fermezza coloro che non sanno o sanno male, incoraggiamo i timidi, orientiamo gli incerti; sfatiamo gli errori, le calunnie, le insinuazioni colle quali tentano di diffamare la Chiesa e i cattolici.
     «Si è avviato nelle parrocchie un lavoro che darà frutti copiosissimi, avvicinando le famiglie e gli individui; prestiamoci in questo apostolato personale raccomandandoci agli Angeli Custodi. Avremo delle ripulse, ma faremo anche delle preziose conquiste per la buona causa.
     «Riguardo alle liste dei candidati, considerino bene i cattolici, con senso di responsabilità, al di sopra di considerazioni contingenti, di personali interessi, simpatie o relazioni, amicizie o parentele, quella che offre più sicuro affidamento che i candidati, se eletti, non solo non tradirebbero o falserebbero il sentimento morale e religioso del popolo italiano, non solo non combatterebbero la Religione e la Chiesa e non attenterebbero ai loro diritti e ai loro interessi sacrosanti e non tenterebbero di introdurre leggi e istituti contrarii alla dottrina e alla morale cristiana cattolica, ma che anche siano disposti e si impegnino e ne diano garanzia colla notorietà delle idee professate e della vita vissuta che rispetteranno e difenderanno i diritti e le esigenze della coscienza cattolica, le ragioni e gli interessi della Religione e della Chiesa insieme con quelli dello Stato e della Civiltà.
     «E non sarà difficile di conoscere quale lista di candidati si debba in coscienza scartare: se si consideri o l'ispirazione ideologica del programma, notoriamente materialista e sovvertitrice dell'ordine sociale, o i metodi di violenza e di sopraffazione, o le manifestazioni di spirito antireligioso e anticlericale, o la condotta immorale o indifferente dei candidati stessi o l'atteggiamento ideale e pratico che i candidati stessi o i compagni di partito hanno tenuto nel passato nella vita privata e pubblica specialmente di fronte ai problemi di natura morale e religiosa, come quello della scuola, del divorzio e simili.
     «E non si lascino i cattolici tentare a scartare la scheda che nel programma e negli uomini risponde meglio al loro sentimento e alla loro aspettazione da personali apprezzamenti e antipatie.
     «Potrà darsi che qualcuno sia poco soddisfatto di qualche nome; siamo generosi, sorvoliamo le antipatie o interessi personali: è indispensabile l'unità se vogliamo la vittoria dei superiori interessi della Religione e della Patria.
     «Altre volte vi abbiamo detto del peccato grave che si commette da chi, aderendo formalmente e ammonito, persiste nel favorire liste di persone che seguono dottrine o movimenti contrari all'insegnamento cattolico e allo spirito cristiano del nostro popolo. Costoro, dicano quanto vogliono, sono nemici della Santa Chiesa, e chi li segue è, come essi, fuori di Essa.
     «Purtroppo, avvicinandosi il tempo delle elezioni, si sentono taluni che poco frequentano la chiesa o non la frequentano per nulla e che volendo un seggio alla Camera si affaticano per persuadere i cattolici che essi sono pronti a favorire gli interessi della religione. Si risponda a costoro che chi è cattolico non ha bisogno di dirlo, basta la prova della sua vita. Alcuni di questi improvvisati cattolici del periodo elettorale sono poi quelli che nelle votazioni parlamentari si unirono quasi sempre a quanti avversano la religione.
     «Conviene anche notare che i cattolici devono avere per loro rappresentanti persone religiosamente formate che propugnino l'intero programma cattolico: non solo qualche parte più o meno simpatica. La società va verso una meta che sarà completa chiarificazione dei due principii; o colla Chiesa e la sua divina dottrina, o contro la Chiesa a servizio di Satana.
     «Abbiamo più sopra accennato a quella categoria di persone anche buone che amanti del vivere tranquillo, per voler essere amici di tutti e per scansare le posizioni nette si tirano in disparte, rifiutandosi di dare il voto o di cooperare per la buona riuscita delle elezioni.
     «Sappiano costoro che commettono peccato grave, trascurando un atto che è necessario al bene della Patria, in un settore della vita pubblica così importante quale è quello di dare reggitori che ne segnano e dirigono lo svolgimento. Questo lo diciamo a certe donne, a certi confratelli, a certi inscritti nelle pie associazioni che mentre dovrebbero essere tra i primi nel difendere la religione di Nostro Signore che protestano di tanto amare, danno lo scandalo di essere indifferenti in momenti tanto critici per la religione, se pur non parlano male di quelli che si sacrificano per il trionfo della santa causa.
     «Un'altra raccomandazione vi vogliamo fare: dobbiamo diffondere la nostra stampa cattolica. Alcuni fanno poco conto di questo che è il mezzo più efficace e pratico per la diffusione delle idee. E' il giornale che forma l'ambiente della famiglia, dell'associazione, dei ritrovi. Se certe buone signore fossero state più energiche nel non lasciare entrare in casa certi giornali, non piangerebbero vedendo il marito e i figli lontani dalle pratiche religiose. Grazie a Dio abbiamo nell'Isola i nostri buoni giornali, ma i cattivi giornali che entrano nell'Isola sono di grande numero superiori. Leggiamo, aiutiamo e diffondiamo i nostri giornali che in questa circostanza hanno una importanza straordinaria per la propaganda elettorale».
     La grossa vittoria dello Scudo crociato, a fronte dell’indubbia delusione che coglie i Quattro Mori per il modesto risultato della propria lista - solo eletto alla Camera è l’avv. Giovanni Battista Melis, solo eletto al Senato è l’avv. Luigi Oggiano (affiancato dall’avv. Mastino quale senatore di diritto perché aventiniano dichiarato decaduto dal fascismo nel 1926) -, e più ancora l’uscita, nel luglio dello stesso 1948, del sen. Lussu dal PSd’A per fondare il Partito Sardo d’Azione socialista attenua le ostilità. Ad Oliena addirittura si celebrerà, il 26 ottobre, con gran pompa, nella chiesa parrocchiale, l’atto di pacificazione fra il direttorio provinciale del Partito Sardo - presente all’intero nei primi banchi - ed il clero diocesano, in primis il combattivo e tenace can. Pietro Bisi. Va detto che alcune settimane dopo lo stesso vescovo Giuseppe Melas confermerà per iscritto al parroco olianese l’indulto ai… disobbedienti: «intendiamo abrogate tutte le sanzioni, già da Noi comminate lo scorso anno, in modo che quanti vi erano incorsi possano, d’ora innanzi, senza nessuna riserva, essere ammessi ai Santi Sacramenti e ad esercitare l’ufficio di padrini». Per concludere (in verità non senza qualche… supponenza autoreferenziale, derivazione spontanea della visione della Chiesa come societas perfecta): «nessuna considerazione umana ci trattenne dall’intervenire prima, quando la disciplina della Chiesa era stata gravemente violata, così nessun interesse terreno ci muove ora nell’andare cordialmente incontro ai figli che, con sincerità, hanno riconosciuto un errore e l’hanno riparato».
     Né tutto però potrà assorbirsi come d’incanto. Fulmini residui continueranno ad essere sparati da questo o quel pulpito, da questo o quel sacerdote… Ne è prova un messaggio datato 8 agosto 1948, rintracciato fra le carte di Antonino Lussu e proveniente da tre suoi compaesani di Villasalto – primo firmatario Emilio Lusso – che riferiscono della persistente asprezza del parroco don Mario Contu verso il PSd’A ed in specie il suo leader o ex leader, del quale non osa fare neppure il nome «perché mi è indegno pronunciarlo», ma chiaramente «non cristiano» e per di più con moglie «concubinata» e figlio «non battezzato».
     Ecco, degno complemento a tutto il resto, la breve gustosissima nota:
     «Diamo informazioni sulla predica svoltasi domenica 8 c.m. nella nostra parrocchia dal Rev.mo Don Contu Mario:
     «Il Don Contu disse fra l’altro: “Ho saputo che si sono raccolte delle firme. Badate di dare attenzione che con le predette si può firmare il proprio mandato di cattura. Molti paesi e per cui anche a Villasalto, coloro che prendono il nastro di S. Anna ora seguono la via del demonio. Molti seguirono l’altro Partito che andava camminando con ruote semisfasciate ed ora seguendo questo nuovo, il carro è lo stesso con la differenza del Capo, ora s’era smascherato e non dico il nome perché mi è indegno pronunziarlo. Non bisogna credere nelle fandonie di questa gente che ormai sappiamo molto bene chi sono con la moglie concubinata e il figlio non battezzato e il padre non cristiano. Ricordate che molti di voi con queste firme mi dà segno che all’uscire di chiesa non siete più cristiani come quella signora dannata e disgraziata che va in giro per il paese a cogliere delle firme. Mi appello di non seguire quella gentaglia perché la chiesa è la più vera madre di indirizzare il bene ai suoi figli. E per chi non lo avesse ben capito al termine della messa venga in sacrestia che gli darò migliori chiarificazioni”,
     «I fedeli mormoravano e lui disse: “Quello che mormora si vede che lo ha ben capito”. Dottor Lussu a noi ci è impossibile descrivere con quale disprezzo ci ha trattato e se occorrono migliori schiarimenti verremo a Cagliari».

Gianfranco Murtas - 18/10/2012


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