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Lo scorso 28 giugno è uscito a Cagliari il primo de “Sardegna Quotidiano di Cagliari”, edito da una cooperativa di giornalisti provenienti dalla fallita esperienza di “Epolis”. Oggi 1° luglio è apparsa sulla scena un’altra testata, “Sardegna 24”. Così, considerando il free press “Metro” e gli altri due storici giornali isolani – “L’Unione Sarda” (1889) e “La Nuova Sardegna” di Sassari (1891), il panorama della stampa quotidiana regionale si articola ormai in cinque distinte intraprese dai contenuti insieme civili e culturali, naturalmente non senza rilevanti vincoli di bilancio e dunque di business. Questa breve introduzione mi porta con preciso intento a qualche rapida riflessione – dato che sto anche lavorando a una storia del giornalismo sardo fra Ottocento e Novecento – circa le vicende più particolari della edicola repubblicana. Osservo intanto che nulla, nella stampa che si offre all’opinione civica isolana oggi, rimanda a quei riferimenti democratici repubblicani che pur hanno concorso a fare l’Italia 150 anni fa, e che hanno poi realizzato, attraverso l’antifascismo e la guerra di liberazione, l’Italia migliore quale si esprime nella costituzione del 1948. La pochezza di quel che è rimasto, dopo cedimenti e sconvolgimenti, della cultura civile repubblicana in Italia e in Sardegna in particolare, spiega molto. E bisognerebbe essere sempre grati ad Eugenio Scalfari per la scelta della testata che effettuò ora è già più di un trentacinquennio (gennaio 1976). Nulla vale oggi, purtroppo, la gloriosa testata de “La Voce Repubblicana” per quello che essa è diventata al servizio di uomini (sedicenti dirigenti) dalla mente confusa per i quali Berlusconi vale Ugo La Malfa come statista, Alfano vale Oronzo Reale alla Giustizia, Bondi vale Giovanni Spadolini o Giuseppe Galasso ai Beni culturali, Tremonti vale Bruno Visentini al Bilancio, Giuliano Ferrara vale lo zio Giovanni Ferrara e magari la Gelmini e la Carfagna valgono Leo Valiani e Alessandro Galante Garrone… In Sardegna non mi sovviene ora di una trascorsa compresenza di cinque quotidiani, se non forse a fine secolo XIX, quando a Sassari uscì anche un certo “il Giornale di Sardegna” che non avrebbe lasciato gran traccia; penso ai quattro più robusti degli stessi anni ’90 dell’Ottocento, fra “La Nuova Sardegna” a Sassari (che aveva chiuso i conti con “La Sardegna” del barone Giordano Apostoli, da cui aveva tratto le rotative nei locali a terra dello stesso fastoso palazzo di piazza d’Italia) e “L’Unione Sarda” (che le rotative le aveva conquistate, per causa giudiziaria vinta, dal pre-coccortiano “L’Avvenire di Sardegna”), “Il Popolo Sardo” (cagliaritano di obbedienza crispina, e dunque anti Zanardelli-Giolitti-Cocco Ortu) e “La Sardegna Cattolica” (clericale a direzione dell’avvocato e prossimo conte palatino, per merito andivorzista, Enrico Sanjust di Teulada). Altri quotidiani no, un florilegio invece di testate e testatine periodiche, ora letterarie ora ideologiche (laiche e cattoliche), ora umoristiche ora d’interesse categoriale. Nel novero anche i fogli repubblicani (mazziniani e/o garibaldini), di più o meno stretta osservanza: un primo censimento – nel cinquantennio che va dalla morte di Asproni alle leggi bavaglio del fascismo – ne elenca non meno di trenta, e sarebbe bello ristampare in anastatica una tale dignitosissima collezione. Mettendo in cima a tutto e a tutti “La Cosa Pubblica” di Sassari, un bisettimanale che molto bisticciò con prefetto e polizia, cioè con la censura, e che si colloca temporalmente fra la morte di Mazzini e quella del Bittese. Ma il grosso di quella presenza non soltanto testimoniale bensì di battaglia democratica è stato, per diversi anni fino al passaggio transigente di Garavetti e alla formazione del Partito Radicale a Sassari, “La Nuova Sardegna” ad offrirlo. Fondata dai giovani repubblicani con in testa Enrico Berlinguer paradossalmente contro l’adorato Gavino Soro Pirino, per aver inteso questi presentare nel 1891 una lista amministrativa concordata, per il bene superiore di Sassari, con i liberalmoderati e monarchici del Manca Leoni, essa aveva assunto una sua soggettività apertamente interna al movimento politico, partecipando addirittura ai congressi del PRI nazionale e del PRI regionale (qui nel 1901, nel 1903 e nel 1905). Cagliari no, non l’ha avuta una tale presenza organizzata e continuativa. Il quotidiano storico di Cagliari era (è? sarà?) liberale. Francesco Cocco Ortu e i suoi amici della sinistra liberale anticrispina e già antitrasformista (quando il trasformismo del Depretis era qui sostenuto da Francesco Salaris) fondarono il giornale nel 1889 per combattere l’emergente Ottone Bacaredda, che stava sottraendo loro, dopo vent’anni e più, l’amministrazione municipale ancora shoccata dal crac bancario di due anni prima. “L’Unione Sarda” fu sempre liberale, almeno fino all’acquisto azionario da parte dell’avv. Sorcinelli, nel 1920. Fu un giornale liberale che risentiva anche dei contrasti intestini al partito-galassia (tempo di uninominale), i quali rimbalzavano nelle variabili compagini proprietarie come nella scelta dei direttori. E nella sequenza di questi ultimi, forse un focus meriterebbe Ascanio Forti, un vulcanico e battagliero giornalista proveniente dal “Resto del Carlino” di Bologna – il giornale del Carducci! – che fu alla guida della redazione nel cruciale 1913. Ma radicalismo e laicismo ancora non erano repubblicanesimo, anche se la dottrina di Mazzini, l’apostolato dei suoi eredi ideali, l’impegno civile, politico e parlamentare dello stesso PRI trovarono spazio e rispetto e considerazione. (Penso che proprio nel 1913 tre erano i consiglieri repubblicani a sostegno della salda ed efficiente giunta Bacaredda: Angelo Garau, Raffaello Meloni e Enrico Nonnoi. Quest’ultimo anche consigliere provinciale. Altri repubblicani erano inseriti in commissioni od enti a controllo o partecipazione municipale, dall’Istituto case popolari alla Scuola di viticultura, all’Asilo della Marina, ecc). Certamente repubblicana sul piano delle idealità istituzionali, e pro quota anche espressione del repubblicanesimo tanto nella versione del PRI aderente all’eptarchia antifascista delle tre province isolane (eccezione alla scelta nazionale di estraneità al CLN), quanto nella versione azionista-GL, poi sussunta per volontà lussiana nel PSd’A plurianime, fu “L’Unione Sarda” dal novembre 1943 al 1° luglio 1946, quando il giornale venne restituito alla proprietà della famiglia Sorcinelli. Allora, per ben mille giorni circa, fattasi organo della Concentrazione provinciale antifascista, “L’Unione Sarda” poté contare sulla competenza di un caporedattore come Cesare Pintus, in gioventù corrispondente de “La Voce Repubblicana” da Cagliari ed umanamente arricchito ora da cinque anni di galera e tubercolosi in corpo e da una perdurante esclusione dall’albo professionale degli avvocati. C’è molto repubblicanesimo su “L’Unione” di quei mesi ed anni, ci sono gli articoli di Agostino Senes e Michele Saba, scriverà poi anche il giovane Armando Deidda… E intanto si riaffaccia, per il 10 marzo (l’anno è già il 1944), il memento mazziniano… Per una minoranza estrema è molto, moltissimo: una grande vetrina certo per un grande ideale, ma un ideale sostenuto o alimentato da pochi (per quanto generosi). Cagliari al referendum si confermerà quella che è sempre stata. I consensi raccolti dalla monarchia superano addirittura la somma dei voti con tanta fatica conquistati dalle forze politiche dichiaratesi apertamente per la repubblica, vale a dire le sinistre social-comuniste e i sardisti… Diverso è a Sassari. Nel capoluogo turritano non si è dovuto riconvertire – dopo la guerra (fortunatamente in Sardegna finita prima che altrove) – in democratico un giornale per vent’anni fattosi efficace puntello dell’ordinamento fascista. No, a Sassari “La Nuova” torna in edicola con la gloria di chi ha sofferto l’esclusione dal 1926. Nel 1947 – dopo la chiusura de “L’Isola”, la testata fascista trasformatasi come “L’Unione” in organo della Concentrazione interpartitica – “La Nuova” riprende le sue pubblicazioni. E Michele Saba, e altri con lui, compresi quelli della fratellanza sardista che hanno sofferto pure essi gli sgarbi della dittatura, è e sono l’anima della redazione che si ricostituisce attorno alla figura di Arnaldo Satta Branca. Quando poi, anche dopo le elezioni regionali del maggio 1949 (che vedono a Sassari il repubblicano Ferruccio Parri comiziare in piazza d’Italia a favore del Partito Sardo d’Azione), si stempera il tratto strettamente politico del giornale ed esso si trasforma, con la cucina redazionale di Aldo Cesaraccio, in una testata moderata ed ecumenica (perfino con qualche cedimento qualunquista), la presenza di Michele Saba rimane comunque una bandiera che parla di democrazia repubblicana ogni giorno, negli editoriali politici come nei corsivi o negli elzeviri di terza. Fino al 1957, quando un certo giorno di ottobre il grande apostolo (nato nello stesso anno di fondazione della sua “Nuova Sardegna”) chiude il nobile capitolo della propria vita. E dopo? C’è poco fra Sassari e Cagliari, di repubblicano, nella edicola sarda. Potrei citare “Il Solco”, organo ufficiale del Partito Sardo d’Azione, che evidentemente trasferisce molto del repubblicanesimo (come già aveva fatto nei primi anni ’20, al pari di quell’altro quotidiano – “Sardegna” – a condirezione, nel 1924, di Raffaele Angius e Silvio Mastio) perché il repubblicanesimo mazziniano e cattaneano è nel suo costitutivo dna. Ma non solo. Anche perché l’alleanza quasi senza interruzione, politica ed elettorale – tanto più alle regionali e alle amministrative – negli anni ’50 e ’60, pone obblighi di giusto compenso. Il capolavoro è nel 1963, quando i sardisti sono loro ad entrare nella lista Edera, e Giovanni Battista Melis viene eletto per la seconda volta (dopo la legislatura 1948-1953) alla Camera dei deputati, ed è eletto nel collegio nazionale dei resti, dunque con la decisiva integrazione dei voti repubblicani repubblicani magari della Romagna o del Lazio… Del 1967 è “La Tribuna della Sardegna” del caro e indimenticato amico Bruno Josto Anedda. Allora trentenne, pubblicista già esperto e prolifico, collaboratore prezioso della facoltà di Scienze Politiche ancora a presidenza Arcari, Bruno ha iniziato – lui di estrazione cattolica, lui preso da un fortissimo dibattito di coscienza e impegnato in una revisione seria e profonda di molti pur radicati orientamenti – a simpatizzare e poi a militare del PRI sardo delle “27 tessere mazziniane” dal 1965. Ha avviato ricerche storiche di grande portata, con scenario il risorgimento nazionale. Iniziando da Vittorio Angius (una cui biografia pubblicherà da Giuffrè nel 1969) per arrivare a Giorgio Asproni, di cui scoprirà presso il conte Dolfin, genero dell’ing. Giorgio Asproni jr., i quaderni del monumentale “Diario politico”, dal 1855 al 1876. Ma già “La Tribuna della Sardegna” è un periodico che dice molto di quanto si agita fra gli scaffali e la scrivania dello studio di Bruno Josto Anedda. Lì compaiono le prime anticipazioni delle sue maggiori ricerche, in quelle pagine si riaffaccia il risorgimento nazionale e si riaffacciano i sardi protagonisti del risorgimento nazionale… Meglio di tutti i repubblicani. Chi poi ha visto le carte dell’Anedda divenuto segretario regionale repubblicano (che molto si batterà contro la sbandata tendenzialmente separatista del PSd’A e poi per l’assorbimento nelle file del PRI di una larga quota di militanza e dirigenza sardista già staccatasi dal partito d’origine e costituitasi in movimento autonomo), vedrà quante volte, per impulso di dottrina e di cuore, egli inserisca la contingenza nella storia, l’attualità nel processo del tempo che evolve verso mete di maggiore libertà ed emancipazione. E quelli di Asproni e Tuveri giocano sempre, nei rimandi ideali, con i nomi di Mazzini e Cattaneo. Ho scritto queste pagine quasi all’impronta, senza consultazione di carte (e qualche imprecisione potrebbe essere sfuggita alla tastiera), ripensando a questo nulla al quale noi ci siamo ridotti per prevalente nostra responsabilità, e a questa piena inconsistenza della nostra presenza sulla stampa regionale. Ma questo pensiero si combinava ancora un’ora fa, quando mi sono messo davanti al computer, alla perfetta memoria di un evento che mi aveva avuto, nella modestia della cosa, per protagonista e che volevo riferire. Nel 2003 ricorreva il bicentenario della nascita, a Sassari, di Efisio Tola, giovane ufficiale dell’esercito Savoia fucilato, come aderente alla Giovine Italia, in quel di Chambery. Quella data di base – il 1803 cioè – era stata onorata dal quotidiano repubblicano di Sassari con uno speciale di quattro pagine di grande formato, uscito il 14 giugno (appunto del 1903). Giunti al secondo centenario della nascita del martire, e dunque anche al primo centenario di quella inedita, coraggiosa e bellissima manifestazione di fede civica, patriottica e democratica voluta dalla proprietà e dalla direzione del quotidiano, mi ero permesso di chiedere agli amici della redazione a me più prossima della “Nuova” di ricordare quel doppio evento che onorava insieme Sassari e la democrazia, e onorava il giornalismo e particolarmente la testata. Ci furono contatti, fra i redattori di Cagliari da me contattati e quelli di Sassari, i quali ultimi si dichiararono disinteressati. Scrissi allora io una nota perché comunque ci fosse, magari a futura memoria, la traccia di una laica onoranza e la consegnai ad una redazione locale – quella de “La Gazzetta del Medio Campidano” – che così mi riassociava a una personale esperienza politica giovanile condotta in quel di Villacidro (dove fra il 1974 e il ’75 costituì una sezione PRI ed un circolo Endas, mancando per una ventina di voti l’elezione di un consigliere comunale al rinnovo amministrativo; e dove anche trovai montagne di annate de “La Voce Repubblicana” e anche della “Critica politica” di decenni avanti…). Ecco dunque l’articolo che uscì sul n. 15 del 29 agosto 2003 de “La Gazzetta del Medio Campidano” con il titolo di “Efisio Tola, profeta della libertà mazziniana” e con il seguente occhiello: “A duecento anni dalla nascita (e 170 dalla sua fucilazione), chi ricorda il martire sardo della Giovine Italia? Dimenticato pure dalla “Nuova Sardegna” d’oggi. Quella di un secolo fa, invece, volle onorarlo con uno straordinario numero monografico”. Era stato giustiziato mediante fucilazione alla schiena, Efisio Tola, il 12 giugno 1833, a Chambery. Giustiziato per «amore di libertà». Ancora tre giorni ed avrebbe compiuto trent’anni. Era tenente del primo reggimento della Brigata di Pinerolo ed il Consiglio di Guerra della Divisione di Chambery l’aveva condannato «a morte ignominiosa», riconoscendolo colpevole, appunto, di «amore di libertà»: «perché ritentore di libri sediziosi e pienamente conscio di complotti che comunicò ad altri militari, cercando di far proseliti; libri e complotti tendenti a rovesciare il Governo di S.M. per sostituirvene altro democratico, il quale doveva abbracciare l’Italia tutta – e di ciò non avere svelato ad alcuna Autorità Superiore». Quasi coincidevano il centenario della sua nascita, avvenuta a Sassari, ed il settantesimo della morte, e “La Nuova Sardegna” volle onorarlo, il 14 giugno 1903 – un altro secolo è passato da allora –, con un numero speciale quasi monografico. Scritti di memoria ed esaltazione del suo esempio, del suo patriottismo mazziniano (nel fervore della Giovine Italia), messaggi di deputati, di cultori di storia, di intellettuali, archivisti e poeti – da Enrico Costa a Pompeo Calvia – riempirono pressoché integralmente le quattro pagine del quotidiano. Il quale, varrà ricordarlo, era stato fondato, poco più d’un decennio prima, da un gruppo di giovani dell’“estrema” repubblicana capitanati da Enrico Berlinguer e Pietro Satta Branca (sindaco della città nel 1903). Ad Efisio Tola – fratello di quell’altro grande, pur da lui tanto diverso negli orientamenti politici, Pasquale (magistrato e storico) –, furono dedicate, nel tempo, dalle minoranze sassaresi, soprattutto giovani, manifesti, lapidi e circoli. E non solo a Sassari, anche a Cagliari. Intristiti da tante diserzioni sulla scena della politica odierna, è bello ricordare, a due secoli dalla nascita e ad uno da quella generosa iniziativa giornalistica della “Nuova Sardegna”, la figura del soldato che aveva sacrificato la sua vita per un ideale profetico, che si sarebbe tradotto in fatto tanti anni dopo il suo martirio: ancora 15 anni ci sarebbero voluti per la conquista d’una costituzione liberale, 28 per l’unità territoriale d’Italia, addirittura 113 per la repubblica. Repubblicani del medio Campidano Una domanda al direttore Liuzzi della “Nuova Sardegna” d’oggi: perché, pur sollecitato, il giornale ha ignorato del tutto la ricorrenza? La “Nuova” “Nuova Sardegna” ha perduto perfino il senso della sua storia. Registriamo la diserzione, anche la sua diserzione. Un’ultima considerazione, ripensando a quella “antica” “Nuova Sardegna” di cento anni fa – appunto quella che ancora avvertiva come un santo dovere onorare la memoria di Efisio Tola. Nel “capo di sotto”, il giornale era diffuso a Villacidro, Guspini, Arbus e San Gavino: centri nei quali zampillavano – dove più dove meno – ardori repubblicani, e s’organizzavano militanze che nel quotidiano progressista sassarese, piuttosto che in quello moderato di Cagliari, riconoscevano la giusta tribuna della propria domanda politica. Nel 1903, a Guspini i mazziniani dell’intera regione – operai e studenti soprattutto – si riunivano a congresso. Il sindaco del paese era un repubblicano, il dottor Luigi Murgia. Mentre a San Gavino s’alzava la stella amministrativa dell’avv. Raffaele Meloni e ad Arbus quella del giovane Attilio Frongia, futuro magistrato. A Villacidro, intanto, un altro giovane di campagna, ancora analfabeta ma teso alla sua maturazione civica che necessariamente doveva passare per l’istruzione, stava per “incontrare”, attraverso gli opuscoli popolari, quel Mazzini che gli avrebbe riempito la vita di un grande ideale: si chiamava Salvatore Cosseddu, ed ancora a distanza di molti anni – quando io lo conobbi, nel 1973-74 – aveva la casa tappezzata da remote edizioni della “Voce Repubblicana” e della “Nuova Sardegna”.
Gianfranco Murtas - 01/07/2011
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