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Mentre la politica nazionale cerca inutilmente di ritrovare un filo conduttore per organizzare seriamente il governo della cosa pubblica, i repubblicani italiani, tutti, abbandonando pregiudizi e rancori, si riuniscono responsabilmente in congresso per riaprire il discorso idealista e definire i punti programmatici della riscossa del paese, proprio nell’imminenza significativa della celebrazione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Resta ancora, è vero, qualche situazione da appianare, come il temporaneo malumore di Giorgio La Malfa, o il conseguimento dell’effettiva integrazione fra repubblicani provenienti da esperienze di centrodestra e dal versante opposto. Noi siamo ottimisti al riguardo perché tutti, indistintamente, siamo animati di buona volontà: il congresso dovrebbe finalmente inaugurare il nuovo corso repubblicano e chiudere definitivamente la diaspora che ha fatto male a tutti, senza avvantaggiare nessuno. In politica si è sempre dibattuto molto sulla terminologia e sui significati fraseologici, più che sui contenuti. Ma non si può mettere in dubbio che i repubblicani italiani siano i diretti discendenti della scuola democratica, stricto sensu. Ugo La Malfa, in particolare, guidò all’epoca i repubblicani definendoli come un piccolo partito di massa collocato nell’area della sinistra democratica. Giovanni Spadolini vide in quel nucleo idealista la base ideologica per arrivare al Partito della democrazia. E’ tuttavia necessario precisare che, storicamente parlando, quegli stessi tenaci repubblicani discendenti geneticamente dai fermenti azionisti, sempre fedeli alla ragione, alla giustizia, ed al rispetto delle regole, non si considerarono mai liberali. Il nuovo corso repubblicano, se vorrà avere un ruolo incisivo, dovrà caratterizzarsi soprattutto per una propria azione autonoma, svincolandosi decisamente dalle prepotenze degli schieramenti numericamente forti. Infatti, oggi più che mai, nel paese è necessario il rilancio di una forza storica come la nostra, eppur radicata fra la gente, vicina ai sentimenti comuni, necessaria per rimettere a posto i conti pubblici e per il raggiungimento di una morale diffusa e palpabile. Perché, ci sia consentito d’essere chiari, oggi sempre di più si ha l’impressione di vivere in una nazione dove tutto è sotto controllo. Una sorta di democrazia apparente, dove le regole sono state piegate all’interesse di pochi, la stampa ed i giornalisti rispondono a terzi, l’interesse generale è sottomesso a quello personale, ed i problemi quotidiani del cittadino non sono mai presi in esame da una classe politica che ha perso ideali, senso dell’etica e dell’onestà. I repubblicani, riorganizzandosi, possono finalmente diventare la forza di rilancio del paese ed invertire questo pernicioso corso. Ciò accadrà se tutti insieme avremo la capacità di mettere in pratica quel che diremo: basta dunque con le bugie, con le frasi fatte o di convenienza. Quando si vive in una società infrastrutturata come la nostra, o si sta bene tutti, o tutti insieme si precipita nel malessere, indistintamente. C’è un detto, ormai comune fra la gente, che sta facendo storia, e che accomuna tutti i politici, qualunque casacca vestano. Noi auspichiamo che un giorno venga così trasformato: “Sono tutti uguali, ... tranne i repubblicani”.
Giovanni Corrao - 24/02/2011
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