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E’ opinione comune e condivisa che il "trasferimento ad organi monocratici o ai dirigenti amministrativi di funzioni anche decisionali" stabilito dalla Legge n. 59/1997, nota come Legge Bassanini, abbia rappresentato un punto di svolta fondamentale nella Pubblica amministrazione. In negativo, ovviamente. Ai politici, rappresentanti del popolo in quanto regolarmente eletti, con l’emanazione di quelle poche e semplici parole, è stato lasciato il solo potere di indirizzo. Tutto il resto, gare, incarichi professionali, appalti, e via dicendo, è stato consegnato alla responsabilità personale dei dirigenti delle Pubbliche amministrazioni. Dirigenti che, ci sia consentito dirlo con chiarezza, per far carriera molto spesso decidono di iscriversi ad associazioni potenti in grado di rendere più fulminea la carriera e più tranquilla l’esistenza dal punto di vista economico. E nell’ipotetico caso di appartenenza ad una rete di protezione più o meno riservata, anche il più onesto dei dirigenti pubblici, a volte, si potrebbe trovare nella situazione di dover ricambiare i favori ricevuti. In sostanza, sulla scia del clamore dello scandalo di Tangentopoli, si decise all’epoca di tagliare le gambe ai politici eletti, contemporaneamente consegnando il paese, di fatto, alle associazioni riservate. Se fu scelta casuale o voluta è difficile poterlo asserire. Ma ormai nulla in Italia può meravigliare: dunque è possibile oggi ritenere concreta la volontà di effettuare quel cambiamento radicale di carattere costituzionale, occultandolo subdolamente fra un ampio complesso di norme previste per la semplificazione amministrativa. Il risultato della Bassanini è sotto gli occhi di tutti: da una parte un centrodestra che non riesce a contenere i bagliori dei traffici di una rete di faccendieri che si rifanno in tutto e per tutto alle tecniche consolidate, e probabilmente mai sospese, della famigerata loggia massonica P2, forse solo apparentemente sciolta dallo storico decreto spadoliniano; dall’altra parte un centrosinistra che vede soprattutto il Partito democratico infiltrato oltre ogni limite da iscritti alle massonerie classiche, situazione che in pratica rende difficoltosa al suo interno l’integrazione con le forze di estrazione cattolica. Sono bastati una decina d’anni per consegnare i centri nevralgici del paese a persone che troppo spesso ignorano del tutto le più elementari regole dell’arte politica: è noto a tutti, tanto per fare un esempio, che durante i lavori delle logge massoniche sia assolutamente vietato parlare di politica. Se per caso, a questo punto, cerchiamo di legare gli avvenimenti che hanno caratterizzato ultimamente le vicende politiche della nostra isola, e quanto oggi sta accadendo in campo nazionale, ci sembrerà di scorgere dispute di possibile origine massonica. Per esempio la battaglia che contrappose ad un certo punto Renato Soru ad Antonello Cabras potrebbe aver avuto come protagonisti proprio settori massonici, che inizialmente si trovarono compatti nel convergere sul nome dell’ex governatore, ma in seguito trovarono del tutto sconveniente la sua politica assurdamente verticistica ed egoistica. Anche a livello nazionale quanto sta accadendo può avere una chiave di lettura che vede la massoneria classica, legata attualmente soprattutto al centrosinistra, attuare una lotta sotterranea, ma intelligente ed efficace, contro gli affaristi del centrodestra di presunta provenienza piduista. Quanto successo a Scajola, che si è dovuto dimettere da ministro senza essere indagato, sotto questo aspetto potrebbe rappresentare un capolavoro della supposta coerenza massonica. A questo punto non resta che invocare il ritorno ad una sana amministrazione della cosa pubblica effettuata da politici puri, che abbiano cultura in materia, e che sappiano cosa significhi la dedizione alla nazione. Ed è anche importante che i partiti politici, una volta cerniere di collegamento tra le esigenze di base e gli eletti, riacquistino la loro importanza sancita dalla Carta costituzionale. La democrazia, nel caso di ritorno alla politica vera, potrebbe nuovamente essere il legante di un popolo che si sente estraniato e lontano dagli attuali amministratori, sempre di più intenti a perseguire i propri interessi personali. All’orizzonte, comunque, non vediamo nulla di buono: altri tre anni di berlusconismo finiranno per far sprofondare il paese nella povertà, mentre l’altro versante, quello del Bersani bonaccione, non dà per nulla la sensazione di essere in grado di rimettere in piedi le macerie. Al centro, l'alleanza tra Casini, Rutelli e la Sbarbati è tutta da costruire. L’unica via d’uscita, oggi come oggi, è che noi italiani con coraggio si scenda in strada, senza bandiere, per urlare il nostro disappunto. Perché i veri sfigati, alla fine, come al solito siamo sempre noi.
Giovanni Corrao - 20/07/2010
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