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«La mattina del 6 luglio, cantando frammenti di inni patriottici, nell’ultimo spasmo del delirio, Goffredo morì». Così a pag. 60 del suo “Un gigante del Risorgimento. La personalità, l’impegno storico, le note segrete di Goffredo Mameli” offerto al pubblico dei lettori, con la prefazione nientemeno che di Sandro Pertini, da Nino Mameli, ora sono già diversi anni, per i tipi di MEF di Firenze. L’autore ha pubblicato altri saggi sul nostro grande e indimenticato Goffredo eroe mazziniano, garibaldino e repubblicano; ho avuto io stesso possibilità di corrispondere con lui a proposito di un episodio della vita mameliana che incrocia personalità da me incontrate nelle ricerche sulla storia della massoneria sarda degli anni successivi al fatale 1849. La figura di Goffredo ne esce pura e straordinariamente umana, senza mitologie devianti. Ho dedicato alla memoria di Goffredo Mameli l’ultimo mio studio intitolato “Le stagioni dei Liberi Muratori nella Valle del Tirso”, che ancora non è uscito in libreria, con queste parole: «Alla grande anima di Goffredo Mameli, il poeta-soldato della gloriosa Repubblica Romana ucciso, ventunenne, dalle truppe straniere alleate del papa beato Pio IX nel 1849. “Io l’amo come un figlio e un fratello minore” scrisse Mazzini alla madre, mentre egli era nel mezzo della lunga agonia. «Alla memoria di Targhini e Montanari, ghigliottinati nell’anno santo 1825, e di Monti e Tognetti, ghigliottinati nell’A.D. 1868 dalla “giustizia” dei pontefici Leone XII e beato Pio IX. La costituzione della Repubblica mazziniana aveva abolito, all’art. 5, la pena capitale: la teocrazia dei papi, che sempre l’aveva praticata, la ripristinò». Con piacere ho saputo che in una loggia giustinianea cagliaritana è stata, di recente, ricordata nei suoi tratti storici essenziali la vicenda della Repubblica Romana del 1849, alla quale è legato il nome di numerosi sardi, o naturalizzati tali, fra cui lo stesso Enrico Serpieri, industriale minerario, fondatore/presidente della Camera di Commercio di Cagliari e del Banco di Cagliari, coeditore del “Corriere di Sardegna”, deputato nazionale negli anni di Firenze capitale (per un collegio però continentale). Dei suoi solenni funerali, a Cagliari, si ricorda che per la prima volta furono recati in pubblico i labari massonici. Un artistico sepolcro, evocatore proprio della storia repubblicana romana, ne accoglie le spoglie al monumentale di Bonaria. Ho anche inviato ai vescovi sardi la lettera che segue: Cagliari, 28 giugno 2009 A Mgr. Antioco PISEDDU Vescovo di Lanusei e Decano dell’Episcopato Sardo e p.c. agli Arcivescovi e Vescovi della Regione Conciliare della Sardegna Mgr. Giuseppe Mani – Cagliari Mgr. Paolo Atzei – Sassari Mgr. Ignazio Sanna – Oristano Mgr. Pietro Meloni – Nuoro Mgr. Giacomo Lanzetti – Alghero-Bosa Mgr. Seb. Sanguinetti – Tempio-Ampurias Mgr. Giovanni Dettori – Ales-Terralba Mgr. Giovanni Paolo Zedda – Iglesias Mgr. Sergio Pintor – Ozieri Mgr. Mosè Marcia – ausiliare di Cagliari Loro indirizzi email Caro don Antioco, i biografi ricordano la morte cristiana del patriota del nostro risorgimento nazionale Goffredo Mameli, ucciso – giusto 160 anni fa – dal fuoco francese invocato dal pontefice beato Pio IX per ripristinare la propria teocrazia contro la repubblica romana di Giuseppe Mazzini. Morì, il Nostro, la mattina del 6 luglio, nell’ospedale romano dei Pellegrini, dov’era stato accudito dagli stessi Mazzini e Garibaldi che l’amarono come un figlio. Paolo VI, nel centenario di Roma capitale, sostenne che Roma fu dono della Provvidenza all’Italia unita, e ciò contro ogni sforzo stoltamente avverso del papa Pio IX che, al ritorno dal troppo breve autoesilio in Gaeta, ripristinò (e mise in funzione fino al 1868) quella mannaia – abolita invece dalla costituzione del Mazzini – che staccò la testa, in fine della gloriosa serie, a due giovani operai di 23 e 33 anni (ce ne hanno raccontato i nostri nonni, allora già in età di ragione!). Il nostro Goffredo, poeta nelle cui vene scorreva sangue sardo – essendo il padre un cagliaritano di antico ceppo ogliastrino –, quando fu ucciso per una causa giusta da un esercito straniero al servizio di un papa paradossalmente inconsapevole che “il mio regno non è di questo mondo”, aveva soltanto 21 anni. Lo ripeto: 21 anni! Egli ebbe i sacramenti dallo scolopio padre Raffaele Ameri, suo antico professore, e portò il valore del suo sacrificio a gloria di Domineddio in Cielo, lasciando a noi la sua testimonianza di eroe italiano e di repubblicano puro. La storia, ne sono convinto con Croce, è storia della libertà. La libertà si sarebbe affermata, si è affermata, in una patria unita e repubblicana. E la notte della coscienza che tanta parte della società italiana patisce in questi nostri tempi di cattivo governo, anche per la penosa insipienza di numerosi cattivi maestri (fra i quali si distinguono diversi vescovi sardi che hanno carezzato il peggio della politica che disdora con la doppia morale le istituzioni pubbliche), non può naturalmente annullare l’assunto. Ed oggi, anno 2009, si intona lo spartito dell’inno risorgimentale mameliano per salutare un successore di quello stesso pontefice teocrate che tante teste di uomini in carne ed ossa (come Eluana!) fece rotolare dal patibolo o tanti giovani mandò a morte in combattimenti che mai avrebbero dovuto iniziare! Ma è di Goffredo nostro, accolto nella comunione dei santi in virtù di quei sacramenti ricevuti nella dura agonia (per nefasta cancrena e amputazione di arto) e della pietà di Chi è datore di vita, che occorre soprattutto fare memoria, non del suo carnefice. E dunque le propongo che, da vescovo sardo titolare della cattedra ogliastrina e decano dell’episcopato isolano, sull’esempio offerto dai “mea culpa” pronunciati, per la purificazione della memoria della Chiesa di Dio, da Giovanni Paolo II, lei con i suoi confratelli vescovi della Sardegna celebri un solenne rito di suffragio per Goffredo nostro, dando testimonianza che la Chiesa – anche la Chiesa sarda – è per la vita davvero, e non a stagioni e secondo convenienza. Sicché gli errori brutali del passato siano da considerarsi definitivamente chiusi in un’era in cui il Vangelo era ignoto a chi pur e più pretendeva di averne il monopolio, mentre oggi – per riprendere l’osservazione giovannea – “ne sappiamo di più e meglio” così da poter relativizzare tutto, anche quel magistero che spesse volte, scappando dal buon senso, rischia di connotarsi in sorprendente autoreferenzialità. Con viva cordialità, e l’abbraccio di sempre Naturalmente, i destinatari del mio messaggio non hanno perso l’occasione per mostrarsi quel che essi sono accusati spesso di essere – semplici funzionari dipendenti e ubbidienti di un potere costituito, non pastori con cervello autonomo ed attenti ai cosiddetti “segni dei tempi” di memoria giovannea e paolina – ed hanno lasciato inevasa la lettera. Che vale in sé, non perché accompagnata da un riscontro. Ma si sa: v’è nel novero qualche fascistoiode autoritario e autoreferenziale, la maggioranza passiva alza la mano per approvare. In diversi hanno lietamente messo in agenda, a suo tempo, l’incontro con un personaggio come Berlusconi, ne hanno pompato la presenza anche in occasione della visita pontificia a Cagliari; l’arcivescovo di Sassari – che salvo errore è un francescano e dovrebbe godere della semplicità e della modestia – si è perfino beato delle gag del multimiliardario presidente del Consiglio in una chiesa turritana, facendosi riprendere estatico e divertito dalla “Nuova Sardegna”. Evviva Goffredo Mameli, evviva il Risorgimento patrio, evviva la Repubblica italiana.
Gianfranco Murtas - 13/07/2009
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