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Ricordavo a me stesso, appena quattro giorni fa, il 160° anniversario delle glorie costituzionali e democratiche della repubblica romana e il sacrificio anche di un giovane patriota nelle cui vene scorreva il sangue sardo, sparso – per una dolorosa cancrena e una inutile amputazione – nel luglio 1849, nei giorni stessi della fine della breve e sfortunata repubblica e della vittoria della teocrazia pontificia sostenuta dalle armi francesi, austriache, spagnole e napoletane. E sentivo e sento che queste giornate andrebbero ricordate, anche in Sardegna, anche a Cagliari, come lo furono anno dopo anno nel lungo passaggio fra Ottocento e Novecento. Penso che proporrò all’episcopato sardo di celebrare solenni pontificali in suffragio di Goffredo Mameli, accompagnato a morte dall’affetto di Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi, con l’invocazione anche del perdono per Pio IX che si macchiò di quella infamia e di altre, come il ghigliottinamento dei giovani Monti e Tognetti nel 1868, le cui famiglie furono soccorse dalla colletta asproniana, così come da Asproni si ottenne la commutazione della pena degli altri candidati al patibolo. Ripensando a quella grande storia sono poi tornato alla miseria – tale la vedo con sempre maggiore distacco emotivo da vicende cui pure io partecipai – della esperienza della militanza e della dirigenza repubblicana sarda degli anni trascorsi. C’erano allora, fino a quindici-vent’anni fa, e dunque ancor dopo la morte di Ugo La Malfa, le grandi coscienze che potevano dirsi di indirizzo esemplare per il repubblicanesimo nazionale e perciò anche sardo, da Galante Garrone a Cingano, a Leo Valiani, a Spadolini a Visentini. Tutto è passato. E in Sardegna una storia modesta modesta – io stesso non me ne rendevo conto allora… Dopo la sciagurata alleanza con i radicali del 1987, cui tutti anche da noi si accodarono conformisticamente (non io che presentai un odg contrario e che fu bocciato), era corsa anche l’ipotesi di un’alleanza del PRI con il PSd’A nel 1992 per il Senato della Repubblica, con Corona, non reiscritto al PRI, candidato forte. E scrissi allora al segretario nazionale Giorgio La Malfa facendo presente l’assoluta mancanza di autorevolezza di una tale soluzione, non soltanto per le persone, ma anche per le scelte nazionalitarie e indipendentiste del Partito Sardo. Ne venne uno scambio epistolare a più tempi, di cui oggi potrei vantarmi, mentre i miei contraddittori potrebbero e dovrebbero forse vergognarsi. Ma da quella opacità già degli anni ’80, cominciando dal gruppo repubblicano in Consiglio regionale o in giunta, il repubblicanesimo sardo ha continuato a specchiarsi e confrontarsi (ad esso adeguandosi) con il peggio della politica sul mercato, non con i suoi maestri e testimoni, da Michele Saba ai giovani Mastio e Pintus, agli altri dal pensiero magno, come Pinna o Senes e altri ancora del corso del Novecento. Cambiato il sistema elettorale si è pensato giustamente che la collocazione dovesse essere nel centro-sinistra. Ma individuato che il centro-sinistra non rispondeva al suo compito, si sarebbe potuti uscire dall’obbligo della partecipazione comunque alle gare elettorali, per scegliere un ruolo non meno utile e divertente, del genere dei Amici del Mondo degli anni fra ’50 e ’60. Si sarebbero persi i peggiori e sarebbe stato un bene, si sarebbe rimasti i più fedeli all’idea impegnati in un servizio di studio e proposta restando dentro la società civile e non oltre questa. L’amministrazione Soru, sotto un profilo di trasparenza e democrazia, e cioè intanto di informazione costante e puntuale alla opinione pubblica, è stata penosa. E ciò nonostante, mortificando un’altra volta ancora la voglia di distacco da questa cattiva politica, non può non valutarsi il pericolo ben maggiore che rappresenta la destra, con le stalle del suo personale candidato al voto e alla rappresentanza, e mi sento costretto a confortare un’area politica cui teoricamente sono più prossimo. L’avverbio non è casuale: ho scritto “teoricamente” e non “idealmente”, perché anche quest’area politica, con i suoi vari pd, ha dimenticato non da oggi cosa significhi “ideale”. Dorotei anche loro; che però davanti ai lanzichenecchi finiscono per strappare l’adesione. Voterò per i rossomori, altra idea bella in teoria, modesta o modestissima nella realtà delle cose, soltanto nobilitata dalle circostanze.
Gianfranco Murtas - 15-16/02/2009
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