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Il 27 marzo 2009 a Cagliari, nella casa massonica di palazzo Sanjust, si è svolto un interessante incontro sul ricordo delle azioni di solidarietà della Sardegna alla Sicilia nell'occasione tragica del terremoto del 1908, 12° grado della scala Mercalli, 6,7 della scala Richter, che ebbe nella sola città di Messina all’incirca 80.000 morti su 120.000 abitanti complessivi. In quella situazione di emergenza molti sardi si prodigarono per portare concreto aiuto alla popolazione messinese colpita drammaticamente. Non poteva mancare nell'occasione la solidarietà massonica, che si concretizzò con un'equipe di medici e studenti coordinata dal dottor Armando Businco, poi luminare della medicina, mazziniano, repubblicano e sardista, azionista negli anni della resistenza, ed arrestato dai nazisti a Bologna dove risiedeva, (morì poi nel 1967). Di tale incontro, al quale ha partecipato anche un valente studioso messinese, Sergio Di Giacomo, non mancherà sicuramente un completo ed analitico resoconto da parte dell’infaticabile Gianfranco Murtas, storico e scrittore di area azionista/sardista/repubblicana, ideatore e conduttore della riunione. Di seguito anticipiamo l’intervento di Giovanni Corrao. Questa mattina ero in Ogliastra, che, come abbiamo sentito dalle parole di Gianfranco Murtas, è la terra d’origine di Armando Businco, il coraggioso medico che non esitò a recarsi sul posto del tragico evento di cui parliamo insieme a molti altri colleghi e studenti di medicina, per rappresentare da una parte la solidarietà sarda, dall’altra per prestare sul posto le necessarie cure mediche con alto spirito umanitario. In Ogliastra, dicevo, evito accuratamente di offrire da bere a chicchessia perché non mi fanno mai pagare. Ma mi è successo di più: di entrare da solo in qualche bar della zona, con la gola arsa dalla sete, bere, ed al momento del pagamento sentirmi dire che era tutto pagato. Esempio, questo, di grande generosità della gente sarda, gesto che ancora, al pensiero, mi commuove. E ritengo di essere titolato a ringraziare ufficialmente il dott. Businco innanzitutto, la Massoneria che ha organizzato questo incontro, e tutta la Sardegna per l’aiuto prestato all’epoca ai miei concittadini. Titolato, dicevo, per alcune importanti ragioni: innanzitutto perché, come ha ricordato Gianfranco Murtas, sono nato a Messina; poi perché porto un nome altisonante, Giovanni Corrao, altisonante non certo per merito mio, ma in quanto appartenuto ad un mio omonimo, patriota siciliano e fervente mazziniano, che visse a metà dell’800; infine perché ho alcuni tra i miei avi periti in quel tragico avvenimento. Ma, oltre al dovere, ritengo che i sardi vadano ringraziati per altre importanti motivazioni: la prima è che la Sardegna non è zona sismica, pertanto la sua popolazione non ha mai avuto cognizione del disastro che segue alla distruzione da eventi tellurici; aver percepito il dramma nel quale era precipitata la gente messinese deve essere stato anche uno sforzo mentale e culturale. Soprattutto se ci rapportiamo all’epoca degli eventi, con la supponibile scarsezza di comunicazioni e la divulgazione incontrollabile di scarne notizie. All’epoca non esisteva internet, e la diffusione dei quotidiani era davvero limitata. In secondo luogo va constatato che il benessere non era diffuso come nei nostri tempi moderni: spostarsi quindi dalla Sardegna per prestare soccorso nell’altra grande isola italiana deve essere stato molto costoso per l’epoca. E per ultimo nel 1908 muoversi dall’isola sarda senza aerei né navi di linea deve essere stata una vera e propria impresa. La rievocazione di quel tragico evento ha molta importanza oggi perché il genere umano tende a dimenticare gli eventi traumatici, sia per proseguire la sua corsa verso una civiltà più avanzata, che per realizzare costruzioni sempre più complesse ed ardite. I miei ricordi da bambino mi restituiscono una Messina ricostruita con case di due o tre piani, realizzate con massiccio uso del cemento armato: vere e proprie abitazioni-bunker. Oggi si azzarda di più: le strutture portanti appaiono più snelle, ed è normale ormai trovarsi di fronte a palazzi multipiani. I miei dubbi, da ingegnere, corrono dunque alla più ardita delle opere da realizzare: il ponte sullo stretto. Sarà veramente in grado di reggere sismi di eccezionale potenza? Cosa rimane oggi della vecchia Messina, quella antefatto? Praticamente nulla. Che io sappia la costruzione simbolo, rimasta miracolosamente in piedi, è una chiesetta in pietra naturale situata proprio alle spalle della facciata del porto. La caratteristica più importante di questo monumento, oltre alla sua unicità, è il suo piano di posa che risulta essere di un paio di metri infossato rispetto al piano d’imposta della nuova città circostante. Non essendo infatti stato possibile sgombrare tutte le macerie degli edifici crollati o successivamente abbattuti, le stesse sono servite da piano d’appoggio per riedificare la nuova città. Curioso, ma per quante volte io sia andato in Sicilia, lì non ho mai avvertito alcuna scossa tellurica. Ed è per questo che voglio chiudere questo mio breve intervento con un aneddoto: “Il paradosso del siciliano”. Un messinese basso di statura, soldato semplice ai tempi della leva obbligatoria, era stato comandato nel Poligono interforze di Capo Teulada. Nel periodo tra il 1977 ed il ’78, siamo all’epoca del rapimento Moro, costui era di guardia agli elicotteri della base, e stava passando il tempo seduto all’aperto su un grosso masso sbucciando un “carciofeddu”, uno di quei carciofini spinosi che nascono dai cardi selvatici, così come aveva visto fare ai suoi colleghi del posto. Ad un certo punto l’evento: una forte vibrazione registrata con assoluta precisione dal fondoschiena. Quel fante si guardò in giro, stupito, pensando all’arrivo di un grosso carro armato: ma non vide nulla del genere. Quel soldato siciliano aveva sentito, in Sardegna, una scossa sismica. Ma chi era costui? Beh, quel soldato si chiamava proprio Giovanni Corrao.
Giovanni Corrao - 27/03/2009
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