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Egidio Pilia è stato uno studioso di storia e filosofia che, tra le due guerre del secolo scorso, ha operato in Sardegna. Nato a Loceri (Nuoro) nel 1888, laureato in Giurisprudenza a Cagliari ed in Filosofia a Roma, partecipa alla formazione del Partito Sardo d'Azione ed alla vita politica e culturale dell'Isola con una intensa attività pubblicistica e numerosi saggi. Insegnante nelle Scuole medie superiori ha contribuito alla redazione di numerose testate (Il popolo sardo, Il Nuraghe, Il giornale di Sardegna). Componente del Direttorio del Partito Sardo d'Azione, nel 1923 entrò assieme a Paolo Pili e altri, nel Partito Nazionale Fascista. Poco più di un anno dopo veniva espulso mentre il fascismo si avviava alla dittatura (omicidio Matteotti, limitazione della libertà, discorso del 3 gennaio 1924). Trasferito per punizione dal Liceo "Dettori" di Cagliari al Liceo di Melfi (Potenza) ritorna a Cagliari nel 1926 e viene arrestato per motivi di sicurezza. Allontanato dall'insegnamento per licenziamento esercita l'attività di avvocato, ma viene costretto a farlo solo nel distretto di Lanusei. La sua tormentata vita, anche nei pressi del suo paese natale, conoscerà una dura persecuzione ad opera di tutti gli organismi dello stato di polizia, Prefettura, Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, Partito Nazionale Fascista, Carabinieri, eserciteranno su di lui pressioni di diverso genere. Dall'aggressione in pubblico all'obbligo di bere l'olio di ricino, dai colpi di manganello, agli arresti ingiustificati a Lanusei ed a Cagliari sino al tentativo di impedirgli l'esercizio della attività di avvocato nella quale si era distinto come ottimo professionista, il migliore del foro ed il più ricercato per la sua professionalità. Accusato di diffondere notizie allarmistiche è sistematicamente registrato come "sovversivo", "ostile al regime fascista", "oppositore". Sorvegliato costantemente, la sua morte, a 49 anni, viene segnalata dal Prefetto di Roma a quello di Nuoro. Positivista in filosofia, sardista e federalista in politica dopo alcuni scritti da ufficiale dell'esercito si distingue in un'opera "L'autonomia sarda" (1920) nella quale viene individuata oltre l'esigenza dei sardi, come di altri gruppi etnici, di godere un regime autonomistico, nell'ambito dell’unità del Paese. Propone quindi la prima distinzione scientifica di competenze legislative tra Stato e Regione. La Regione, nella sua specialità, è vista come ente intermedio tra Comuni e Stato, ma insieme espressione elettiva del popolo sardo. Gianfranco Contu ha parlato di lui come del "padre dimenticato dello Statuto sardo". Nello stesso anno scrisse "Per la tomba profanata di Domenico Alberto Azuni" nel quale ricorda che le spoglie del grande sardo erano finite in un oscuro ripostiglio della Basilica di Bonaria. Ad Azuni dedicherà un saggio sulla "Dottrina politica" nel quale, dopo averne illustrato il grande valore scientifico rileva la visione conservatrice e reazionaria del suo pensiero politico. Convincimento confermato nella pubblicazione su "Il problema della libertà di stampa in Domenico Alberto Azuni”. (1925) Nel 1921 aveva pubblicato “Gli intrighi degli Asburgo. La sorte dell'Isola nei capitoli matrimoniali di Beatrice di Savoia con Francesco d' Asburgo". Il saggio riprendeva dal contratto nuziale tra Beatrice di Savoia e il fratello della madre (la Regina Maria Teresa), cioè Francesco d'Austria, una clausola che stabiliva il diritto della Principessa a succedere "ai beni diritti e azioni e pretese (sugli Stati e i beni dei Savoia) in difetto di figlioli maschi o discendenti loro". Ciò il 20 giugno 1812. Due anni dopo Francesco d'Austria Arciduca di Modena scriveva a Metternich prospettandogli l'unione della Sardegna al Ducato di Modena ove gli venisse aggregato il porto di Spezia. Luigi XVIII° ribadisce la validità della legge salica con il suo rappresentante (il principe di Talleyrand) ed il diritto dei Carignano a succedere al trono. L'anno successivo (1922) pubblica nella Rivista "Le Regioni" Carlo Buragna poeta e filosofo del secolo XVII°. Dopo alcuni cenni sulla cultura sarda nell'epoca del Rinascimento, contesta Benedetto Croce che aveva sostenuto l'inesistenza in Sardegna di una lingua locale, "colta generalmente accettata". Cita i poeti sardi (Delitala Pietro, Araolla) e i testimoni, Max Leopold Wagner, Arrigo Solmi, Domenico Filia. La vicenda familiare di Carlo Buragna ed il conseguente senso tragico della vita. La cultura sarda medioevale diventa oggetto della sua attenzione in “La dottrina del tirannicidio di Lucifero Cagliaritano" nel quale rileva il valore delle fonti bibliche citate dal grande Vescovo di Cagliari circa i rapporti tra Chiesa e Stato. Argomento che sarà ampliato con più ampio studio su "Lucifero da Cagliari e la filosofia sarda medioevale" nel quale sono ripresi i contributi di S. Eusebio, vescovo di Vercelli e di Ilario e Simmaco papi di origine sarda. "Gianfranco Fara e l'origine della storiografia sarda" dedica al primo narratore (più cronista che storico) dell'Isola l'attenzione che merita il primo tentativo letterario della vicenda isolana. Affronta il tema del conflitto parlamentare nella prima metà dell' 800 con il saggio "La dottrina della sovranità nella polemica Gioberti – Tuberi". Entrambi gli studiosi cattolici trovavano nelle fonti bibliche le ragioni contrastanti di un potere che per Gioberti arrivava al popolo da Dio attraverso i re e per Tuveri da Dio arrivava al popolo perché lo conferisse ai sovrani. Per Gioberti la sovranità comportava la soggezione dei sudditi per Tuveri era inerente i diritti di ciascuno che portava alla democrazia. "Missione Mediterranea della Sardegna nella mente di Alberto della Marmora" introduce nel 1925 il ruolo della Sardegna nel bacino del Mediterraneo in conflitto con quanti pensavano ad un dominio egemonico bellico ed imperialistico nel mare. Con "Gian Paolo Marat" dimostra l'origine della famiglia di Marat (padre e madre) dal Quartiere della Marina in Cagliari e ravvisa nella figura dell' "amie du pouple" le caratteristiche dell’isolano. L'opera più rilevante per il riconoscimento della originalità della Sardegna è "La letteratura narrativa in Sardegna" che in poco meno di 200 pagine, "ha voluto essere una sintesi sia pure modesta della vita spirituale sarda". In una recente storia Giuseppe Marci considera "fondamentale" l'opera. Va detto che il volume illustra, dal '500 ai primi decenni del novecento, l'attività letteraria che non va riguardata con pregiudizio regionalistico in quanto potrebbe apparire "dannoso allo spirito di italianità". Pilia, per ironia di una valutazione superficiale, è stato considerato "fascista", nonostante 13 anni di persecuzioni, e "separatista" nonostante l'attaccamento alla cultura italiana e il riconoscimento ai principi nazionali. Il suo ruolo nello sviluppo delle posizioni autonomistiche e federaliste è stato messo in rilievo negli studi di Lorenzo Delpiano, Alberto Contu e Salvatore Cubeddu. La testimonianza culturale e umana di Egidio Pilia è un esempio interessante di conoscenza dell'identità dell'Isola trascurato dagli storici per ragioni inspiegabili o forse ingiustificabili.
Marcello Tuveri - 24/11/2006
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