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Questo convegno di Bitti e di Cagliari rappresenta un ulteriore passo nella conoscenza più approfondita del ruolo che Giorgio Asproni ebbe nel movimento democratico repubblicano del Risorgimento. Sappiamo ormai con sufficiente completezza della sua attività parlamentare attraverso gli studi molto esaurienti realizzati dai professori Arturo Colombo e Tito Orrù, delle sue presenze in alcuni degli avvenimenti importanti di quel periodo e tuttavia basta consultare Internet per accorgersi che i dati emersi nella lettura del Diario offrono alla ricerca storica nuovi elementi di conoscenza, affinamento di giudizi, e, talvolta, la chiave per interpretare e comprendere fatti, scelte politiche e mettere nel più giusto quadro ciò che ancora risente del velo interessato col quale è stata coperta la storia dell’ottocento italiano, vittima dell’ostracismo operato nei confronti delle correnti progressiste e in un certo senso “sovversive“ del Risorgimento italiano. Probabilmente bisogna fare uno sforzo maggiore per studiare Asproni giornalista, il suo immenso patrimonio profuso in tutti i giornali progressisti, a Torino, Genova, Milano, Firenze, Roma, Napoli, Palermo senza dimenticare la Sardegna, la Spagna e gli Stati Uniti. Si tratta di migliaia di articoli, tra i quali è utile esaminare quelli da 1848 al 1955, del periodo che precede la stesura del diario, quello relativo ai suoi interventi sui giornali mazziniani di Genova nei quali è la Sardegna, il Nuorese il centro delle sue attenzioni, con i suoi problemi antichi e le proposte di soluzione. Tutto un periodo nel quale, abbandonate le primitive scelte giobertiane, abbraccia le posizioni e le proposte di Mazzini, unitarie e democratiche, per risolvere la questione italiana e quella sarda. Nuoro e la sua Bitti, come ho detto, è sempre, dovunque sia in giro per il mondo, il suo ricordo continuo, incessante. Pensa ai suoi amici sinceri, che non sono tanti, al desiderio di essere con loro, di sentirli vicini, anche se, dopo qualche giorno che è tornato in Sardegna, disturbato dalle continue richieste di favori degli amici e dei nemici, senza informazioni di ciò che accade a livello nazionale, sente il bisogno di tornare nel mezzo della lotta politica. La mia impressione è che Asproni non ami molto quella che oggi definiremmo la classe dirigente barbaricina.Egli è più vicino al mondo dal quale proviene, al mondo dei pastori, che sente più sincero, più capace di lealtà, meno interessato ai traffici e a ciò che poi definiremo il sottogoverno. Lo renderà evidente nel 1861; dopo aver concordato con Garibaldi le linee di azione per respingere la cessione della Sardegna alla Francia, da Caprera corre a Palau, a Tempio e passando per Alà, arriva a Bitti. Da Bitti a Nuoro dove incontra il fratello carcerato per odio contro di lui e soprattutto i suoi amici di una vita: Francesco Gallisai e don Antonino Guiso Masala. Da Nuoro, passando per Macomer vola a Sassari dove partecipa ai lavori del Consiglio Provinciale e infine si trattiene oltre un mese a Cagliari lottando per la liberazione del fratello ma anche per concordare l’adesione della Società operaia all’eventuale lotta armata contro l’invasore francese. Sono dunque i pastori e gli operai le forze su cui fa affidamento per condurre la lotta agli ordini di Garibaldi. Asproni è certamente un buon conoscitore del libro che un grande amico di Mazzini, conosciuto nell’esilio di Marsiglia, Carlo Bianco di Saint Joriot, aveva scritto sulla “guerra per bande”, così adatto non solo alle caratteristiche delle campagne sarde ma anche alla struttura sociale della società isolana. Anche Garibaldi conveniva con queste scelte per la sua esperienza nella Repubblica Romana e nell’impresa dei Mille perché come è noto non amava le guerre di posizione, avendo lasciato alle truppe piemontesi gli assedi di Messina e di Gaeta. Ma c’è un altro episodio che conferma l’impegno, per così dire,rivoluzionario di Giorgio Asproni. Mi riferisco a quando nel settembre del 1862 va in Sardegna, sta 2 giorni a Sassari, 2 a Nuoro, 2 a Cagliari e ritorna subito a Genova. Garibaldi era stato ferito all’Aspromonte, la coscienza nazionale si era ribellata, il Ministero Rattazzi era in grande difficoltà e Mazzini aveva dichiarato che era giunta l’ora della sollevazione per la Repubblica, per Roma e per la liberazione del Veneto. Dalla Sicilia, in stato d’assedio, poteva partire la riscossa nazionale. Ma in quei giorni Giovanni Antonio Sanna, il suo grande amico imprenditore, era tornato dalla Sardegna e aveva detto che essa era “senza anima, senza fede, senza speranza, come cadavere”. Asproni parte subito, guardato a vista da squadre di poliziotti, rianima gli spiriti, sveglia i dormienti, e dopo qualche giorno che è tornato a Genova, ha la notizia che anche in Sardegna ci sono dimostrazioni e ”bollori”. Purtroppo Garibaldi nonostante gli spari di Aspromonte risfodera la sua vecchia formula di “Italia e Vittorio Emanuele” e ciò induce Asproni a criticare senza mezzi termini il generale; grande soldato, pessimo politico. Per questa sua azione rivoluzionaria Asproni, nonostante i suoi funerali romani, confortati da migliaia di partecipanti e da innumerevoli bandiere delle associazioni democratiche e nonostante gli sforzi di Pietro Paolo Siotto Elias per mantenere vivo il ricordo, è totalmente dimenticato per oltre venti anni. La storiografia del Risorgimento è blindata dalle oligarchie dominanti anche con la responsabilità dei suoi antichi amici che hanno abbandonato le loro radici mazziniane per gettarsi nelle braccia della monarchia. Tornerà in auge più tardi. Nel 1897 Alfredo Niceforo aveva dato alle stampe il suo reportage sulla Barbagia con uno scritto intitolato “La delinquenza in Sardegna”. In questo scritto Niceforo identificava nel Nuorese e nell’Ogliastra una zona delinquente i cui abitanti “avevano nelle cellule nervose qualcosa di organizzato che li spinge fatalmente al delitto”. Era la tesi lombrosiana della inferiorità di razza, della superiorità dei settentrionali sui meridionali, degli Anglosassoni sui Latini, con argomentazioni in grande risalto anche nei nostri giorni. Lo scritto del Niceforo era del mese di settembre, e dopo qualche settimana un grande meridionalista repubblicano, Napoleone Colajanni, sulle colonne della sua “Rivista Popolare” intervenne con uno scritto “Per la razza maledetta” in difesa dei sardi, in quel momento prostrati da una gravissima crisi economica e sociale. L’intervento di Colajanni era avvenuto 36 anni dopo quello di Mazzini in difesa della Sardegna sulle colonne del giornale mazziniano l'“Unità Italiana”, diretta in quel periodo da un altro sardo, Vincenzo Brusco Onnis. Ma come per Mazzini, che aveva ricevuto un rapporto di Asproni, riportato quasi parola per parola, anche per Colajanni la fonte sarà certo il deputato bittese a caratterizzare la decisa requisitoria del deputato siciliano. Lo scritto di Colajanni fu riportato integralmente dai due quotidiani sardi dell’epoca, il repubblicano “La Nuova Sardegna “ e il moderato “L’Unione sarda”, in prima pagina, con grande risalto editoriale. Colajanni conosceva perfettamente Asproni. Quando il ventiduenne studente era stato incarcerato a Napoli per alcuni mesi per mene repubblicane. Asproni accompagnato da Nicotera era andato a trovarlo intervenendo perché fosse trattato con umanità. Ma poi durante il suo soggiorno napoletano, è facile ipotizzare continui contatti fra i due nella considerazione di quanto interesse mostrasse Asproni per i problemi della Università di Napoli, decisamente schierata, studenti e docenti, per la sinistra repubblicana. Dieci anni dopo, nel 1907 utilizzando uno scritto di Giuseppe Sergi sulla Sardegna, Colajanni intervenne ancora con “la riabilitazione della razza maledetta”. Sergi apparteneva alla schiera dei criminologi lombrosiani, Niceforo lo considerava addirittura il suo maestro, e tuttavia le sue argomentazioni corrispondevano a tutto ciò che Colajanni aveva sostenuto dieci anni prima. Nonostante la grandissima miseria gli omicidi avevano marcato una decisa diminuzione. Quando Sergi aveva affermato che la Sardegna deteneva il primato assoluto per i reati contro la proprietà, Colajanni aveva spiegato che la sua causa risiedeva nel fatto che essa era la regione più povera del regno, ben più povera della Calabria, di alcune province siciliane, delle Marche e dell’Umbria. Sulla proprietà polverizzata si abbatteva una pressione fiscale spaventosa. Il furore del governo aveva espropriato interi paesi nei quali non si trovava alcuno che partecipasse alle aste per l’acquisizione. L’anafalbetismo dominante, l’assenza di una efficiente viabilità, la diffusione dell’attività pastorale nomade, la siccità, le inondazioni frequenti, la malaria e lunghi anni di malgoverno avevano creato un classe impensata: ”i proletari della proprietà”. Tutte le argomentazioni di Colajanni erano la precisa replica della lunga battaglia del parlamentare bittese e ciò risulta evidente nella sua risposta all’affermazione del Sergi secondo il quale “mai ho sentito che un deputato siasi occupato con amore, con entusiasmo della miseria economica di questa regione diseredata”: “Questo è assolutamente contrario alla verità. Per tanti e tanti anni si levò nel Parlamento subalpino prima e poscia in quello italiano la voce severa e onesta di Giorgio Asproni ad invocare giustizia per l’isola natia. Per tanti anni il governo fu iniquamente sordo e sarebbe ingiustizia non riconoscerlo”. Non è inutile ricordare che lo scritto di Alfredo Niceforo fu presentato da Enrico Ferri come ”esempio di risolutezza logica che prende nome e sostanza di sociologia socialista”. Nel silenzio del mondo socialista per tanti anni, Antonio Gramsci nel 1930 ammetterà che “il partito socialista fu in gran parte il veicolo di questa ideologia borghese dando il suo crisma alla cricca degli scrittori della scuola positiva”, cercando di allontanare la storica responsabilità di aver diffuso nei canali di una organizzazione operaia i temi della inferiorità di razza. Con i suoi compagni di “Ordine Nuovo” offrirà a Gaetano Salvemini il seggio di Pilade Gay scomparso di recente per avvalorare il modo, diverso dagli altri socialisti, col quale affrontare i problemi del Mezzogiorno in generale e della Sardegna in particolare. Anche se il personaggio Asproni è stato dimenticato nella sua presenza nazionale e regionale, nella sua Nuoro l’eredità che egli ha lasciato è rimasta viva per circa un secolo resistendo persino al fascismo. Ciò è evidente nella toponomastica cittadina: la via principale è il Corso Garibaldi, che attraversa il vero cuore della città, piazza Mazzini, ma tutto il centro è dedicato ai fratelli Bandiera, Aspromonte, Rosolino Pilo, Poerio, Efisio Tola, G.B.Tuveri, peraltro diffuso in tutti i comuni, ma con Brofferio sconosciuto altrove. Al contrario di Cagliari piena di Carlo Felice, Vittorio Emanuele, Savoia, regina Margherita, per non parlare di Yenne o Baille del tutto sconosciuti ai cagliaritani. Alla fine dell’Ottocento il deputato radicale Giuseppe Pinna, padre di Gonario, accompagna Felice Cavallotti con 500 cavalieri a Dorgali perché potesse visitare il collegio elettorale di Giorgio Asproni, sempre vivo nel ricordo del grande parlamentare della Sinistra. A proposito di Giuseppe Pinna il figlio Gonario ha ricordato che nell’epistolario del padre ha rinvenuto una lettera di Grazia Deledda nella quale lo invitava a inviare qualche teschio al Niceforo per avvalorare i suoi studi. La notizia a Nuoro produsse una generale avversione nei confronti della scrittrice che, a detta di quanto afferma proprio in questi giorni sulla stampa sarda il figlio, non sarebbe ancora estinta. Non so bene se nella coscienza collettiva dei nuoresi sia maggiore la contestazione per le convinzioni della Deledda sui problemi accennati, piuttosto che l’orgoglio di aver dato i natali ad un Premio Nobel. Dopo questo periodo il Giorgio Asproni di cui si parla frequentemente è Giorgino, il nipote prediletto, lo straordinario ingegnere imprenditore, uno dei pochissimi Cavalieri del Lavoro sardi, probabilmente il più importante esperto minerario non solo della Sardegna, ma dell’Italia intera. Il nostro Asproni riappare nel periodo giolittiano, con Sebastiano Satta che con la sua poesia ci parla, chissà perché, dei tempi migliori nei quali egli è vissuto. Forse alludeva ad una classe politica diversa, con parlamentari più decisi nel combattere le storiche negligenze dello Stato centralista verso la Sardegna e la Barbagia in particolare. Comunque il seme ha fruttificato: nel periodo giolittiano con la cosiddetta scapigliatura democratica nuorese Asproni è presente in una società contestatrice, monarcomaca, con tinte anarchiche idealiste, che ha prodotto la poesia popolare in nuorese di uomini come Pasquale Dessanay e Salvatore Rubeddu e tanti altri personaggi di cui ci ha dato notizia in un suo bellissimo saggio Guido Melis. Tutto questo fino alla nascita del movimento autonomista e del partito sardo d’azione nei programmi del quale non è difficile scorgere la lunga battaglia aproniana. Durante il fascismo Asproni è quasi dimenticato se non per qualche commento a qualche suo opuscolo scritto in polemica con Alberto Lamarmora o Giuseppe Pasella e direi piuttosto maltrattato, definito un polemista rissoso e poco sereno nei confronti di personaggi di alto lignaggio. Dopo la caduta del fascismo io, che sono stato uno studente del liceo Asproni di Nuoro senza mai sapere chi e che cosa fosse, ricevetti le prime informazioni da tre persone: :FrancescoBurrai, bittese, emigrato politico, combattente in una brigata antifascista in Spagna; Ennio Delogu, bittese, sardista, che mi fece conoscere alcune lettere di Mazzini e di altri personaggi alcune delle quali io stesso ho pubblicato nell'“Idea Repubblicana” di Giulio Andrea Belloni nel 1950, preludio ai due scritti che pubblicai nel 1956 sulla “Nuova Sardegna”in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte e infine il mio professore di storia dell’arte, uno dei maestri dell’impressionismo barbaricino, Giovanni Ciusa Romagna, che mi mandava, nei giorni del referendum del 2 giugno ad attaccare i manifesti contro la monarchia che lui faceva a mano. Magari ne avessi tenuto qualcuno! Le sue caricature avrebbero fatto scoprire un Forattini ante litteram. Mi pare giusto esaminare quali sono i parlamentari nuoresi che per i contenuti della loro azione politica, per la forza del carattere, per grande carica morale, hanno inteso ricalcare i segni distintivi dell’avventura politica ed umana di Giorgio Asproni. La mia impressione è che questi possono essere individuati in quattro figure che sono tutte quante riconducibili alla stessa area democratica autonomista nella quale Asproni ha svolto la sua azione. Giovanni Battista Melis, grande leader sardista, deputato dal 1948 al 1953 e poi dal 1963 al 1968; Gonario Pinna, autorevole rappresentante della cultura isolana, deputato socialista, con radici repubblicane, dal 1958 a 1963; Pietro Mastino, eletto nel 1919, nel 1921, nel 1924, nel 1946 e senatore di diritto nel 1948, sindaco di Nuoro; Luigi Oggiano, una delle coscienze più pure dell’autonomismo sardista, senatore eletto nel 1948. Di Mastino e Oggiano si deve dire che, caso unico nel Parlamento italiano, hanno rinunciato alla pensione di parlamentari. Tutti questi uomini di cui vi parlo hanno condotto le stesse battaglie di Asproni, contro il colonialismo dello Stato accentratore, per i trasporti più efficienti, per una agricoltura moderna, in difesa del mondo dei pastori, per la Giustizia, per l’ordine pubblico, per la scuola, per una politica dello sviluppo economico adatta alla nostra realtà, sorretti, senza soluzione di continuità da ciò che, per lunghi anni, è stato il fondamento della battaglia politica di Giorgio Asproni: uno sconfinato amore per la Sardegna ed il suo popolo.
Lello Puddu - 11/11/2006
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