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Partito democratico: l'accordo è quanto mai lontano

     Il testo seguente, di Aldo Borghesi, è parte di una di quelle chiacchierate elettroniche informali che ogni tanto, tempo disponibile permettendo, riesce a scambiarsi con Roberto Pianta e Giovanni Corrao. Verba volant, e.mail manent, potremmo dire. E' per questo che chiediamo scusa ad Aldo se pubblichiamo comunque i suoi pensieri stimolanti ed aggressivi, che hanno maggiore importanza proprio perché usciti di getto, senza pensarci su troppo. A chi legge chiediamo comprensione per lo stile colloquiale del testo invitandolo a badare più alla sostanza che non alla forma.

     "Partito Democratico: mi permetto un netto, nettissimo dissenso. Anche alla luce dei non limpidi chiari di luna di questo governo, credo che l'operazione equivalga solo a spostare su un asse moderato, moderatissimo un partito come i Ds che di moderazione ne ha già da vendere a milioni di metri cubi, ma che bene o male (molto più male che bene), e malgrado i regali sempre più consistenti che fa alla cosiddetta sinistra radicale (etichettata come radicale perché evidentemente di sinistra non ha soltanto il nome), continua purtroppo ad intercettare una parte consistente del cosiddetto voto di progresso.
     Detto fuori dai denti, vuol dire consegnare una parte dell'elettorato di sinistra all'egemonia della vecchia Dc: come è stato, su un piano fortunatamente più ristretto, con l'operazione Patto dei Democratici-I Democratici (quelli col ciuco come simbolo)-La Margherita che ha finito per inglobare in un carrozzone sostanzialmente post-democristiano quel poco che rimaneva dell’operazione Alleanza Democratica, cioè di uno dei pochi tentativi di costruire in Italia una forza di sinistra plurale sulle rovine del fu Partito Comunista e del disastro morale che con Tangentopoli ha irrevocabilmente chiuso sotto l’aspetto morale la storia della vecchia sinistra laica e socialista. E che la Margherita sia qualcosa di sostanzialmente diverso dalla vecchia DC, soprattutto in Sardegna e nelle amministrazioni locali, qualcuno per cortesia me lo dimostri: non a chiacchiere e a teoremi, ma parlando di gruppi dirigenti, di prassi politica, di azione di governo.
     Quanto alla probabilità, in questo Partito Democratico, di farci dentro non dico qualcosa di laico, ma anche semplicemente di non smaccatamente clericale, mi sembra esprimibile in percentuali con prima cifra significativa al quinto decimale. Credo che l'abbraccio fra le due sottoculture democristiana e pci stia facendo danni abbastanza evidenti nel momento attuale, oltre a quelli che già ha fatto, e che sia largamente dimostrata dai fatti la totale incapacità dei sedicenti laici di sinistra nel combinare nel di concreto qualcosa che si possa appunto definire laico e/o di sinistra. Non voglio risalire a pagine penose della storia d’Italia come il concordato del 1984 targato Spadolini-Craxi, né affrontare improbabili analisi di autentici ossimori politici come la presenza dei post-repubblicani nella maggioranza di centrodestra, prona come non mai alle manifestazioni più arroganti del potere clericale (la riaffermazione del crocifisso a scuola, ed in una scuola ormai multiculturale per giunta). Mi limito a chiedere cosa sostanzialmente abbiano fatto i sedicenti laici di fronte a quel grande regalo al clericalismo italiano che è stato il finanziamento alle scuole private decretato dal compagno Luigi Berlinguer (anno 1996, I° del I° governo dell’Ulivo). Certo non l’unica cosa concreta che avrebbero potuto e dovuto fare, ossia abbandonare qualcuna delle proprie comode poltrone ministeriali. Insomma, non mi pare proprio ci sia il minimo spazio per coltivare illusioni ulteriori.
     L'operazione PDI (era la sigla del primo partito monarchico post fascista, fiero combattente nel 1946 a difesa dei poveri Principini) a mio giudizio ha un solo aspetto positivo: mette a nudo un equivoco che ormai va avanti da molti anni. Quell’equivoco per il quale forze moderate nell’ispirazione e ferocemente autoritarie ed antidemocratiche negli assetti e nei processi decisionali interni, prive di tutto ciò che si può definire un gruppo dirigente all’altezza del momento storico, continuano a vivere di rendita sotto l’ombrello del sistema elettorale maggioritario (altro capolavoro dei laici tardoimperiali dei primi anni Novanta) captando voti che chiedono un profondo rinnovamento del paese e prima ancora della politica, per spenderli in operazioni di potere ed in linee di governo in definitiva ben poco distinguibili da quelle di una controparte avversata solo a parole, ma con la quale si condividono profondamente nella sostanza visione del mondo, concezione della lotta politica e soprattutto comportamenti. E con la quale, se non fosse arrogante e priva di stile come è, un compromesso, un gentleman’s agreement, lo si sarebbe trovato già da un pezzo.
     Ci sarà da ringraziarlo, questo PDI che realizza l’incontro fra due correnti politiche che hanno bisticciato molto a parole, ma in definitiva hanno validamente collaborato nel contribuire allo sfascio dell’Italia: perché forse, chissacome chissaquando, contribuirà ad aprire la strada all'unica via di uscita rimasta alla sinistra italiana (per non dire all'Italia tout court): la nascita di una forza di sinistra aperta, plurale, che se ne freghi delle vecchie pregiudiziali ideologiche, seppellisca lo stile-vecchio-Pci nella gestione delle cose interne e la pratica del cleptosocialismo nella prassi di governo, rifiuti ab imo il moderatismo e la subalternità culturale e politica alla destra nuova e vecchia e rilanci una battaglia politica che sia in grado di presentare in Italia un'alternativa reale alla cultura e alla pratica del berlusconismo. Ciò che ovviamente non è né può essere questo tristo PDI, triste portato di queste ultime grigie elezioni, destinato a continuare a fare danno, come è più di quanto l’Ulivo ha fatto nel 1996-2001. Non vinceremo mai fino a che questa gente - i Prodi, i D'Alema, i Rutelli, gli Amato, i Parisi, ... i Mussi… e i loro degni pendant locali - non va a casa, ma per starci definitivamente: la loro vittoria è una vittoria dell’altra parte solo malamente camuffata, ed ha inoltre un’efficacia brevettata nel tenere lontani dall’impegno e dalla partecipazione politica gli altri, i normali, quelli per i quali la politica è veramente esercizio di un dovere civile a latere di una vita professionale e sociale costruita e condotta in piena autonomia dalle scelte politiche. La sinistra ha bisogno di uno strumento politico e organizzativo senza funzionari, senza intellettuali primedonne, senza feudatari della tessera, del voto di scambio o della cattedra, senza ufficiali di Stato Maggiore eternamente privi di truppe, senza furbi e senza servi in cerca di padrone; un luogo nel quale ci ritroviamo a discutere insieme noi vecchi della lotta politica, e a passare quel tanto di eredità non indegna che ancora abbiamo in mano, nel quale crescano quelle generazioni di giovani (e oramai anche di non più tanto giovani) a cui sono mancati nell’ultimo quarto di secolo canali e strumenti di crescita e azione politica, nel quale nasca una nuova cultura della sinistra, che non sia la rivincita post mortem di nessuna delle nostre vecchie sigle né gli incerti balbettamenti buonisti oggi in voga, ma che sia sintesi di discussioni ed elaborazioni comuni, senza le vecchie egemonie degli ex nipotini di Togliatti né gli avvilenti sensi di inferiorità nei confronti delle culture “liberiste”.
     E, con le parole di Giovanni Conti, ci sarebbe da andare anche in bocca al diavolo per raggiungere quest’obiettivo e sconciare i giochi attualmente in corso: ma non mi pare ci siano i presupposti e soprattutto il coraggio (coraggio di affrontare l’isolamento, coraggio di stare fuori dai giochi, coraggio di rinunciare a poltrone e poltroncine e a vanità e visibilità), soprattutto da parte degli ex laici, che mi sembrano preoccupati soprattutto, come molto spesso hanno fatto negli ultimi ingloriosi anni della loro storia gloriosa, di misurare l’angolo della fetta di torta da garantirsi: naturalmente ammantandosi di senso dello Stato, di responsabilità verso il Paese etc etc, cose note e già viste non una volta ma molte. Assisteremo dunque al prossimo baloccamento degli italiani di sinistra con il giocattolo ammannito dalla bambinaia di turno, anche perché la parte dei Ds che dice di volersi chiamare fuori dall’operazione fa capo a livello nazionale e locale alle solite anime morte, che sanno lontano un miglio di federazione Pci. Neanche questi sono in grado di andare più in là di qualche prospettiva microtattica, mettere su un nuovo PDCI o una delle siglette multicolori in fuoruscita da Rifondazione, perché non hanno nemmeno alle spalle una cultura politica che li ponga in grado di immaginare qualcosa di diverso. Costruire qualcosa di nuovo passa anche e soprattutto attraverso il loro accantonamento, ma non c’è da aspettarselo, almeno a breve e prima che lo sfascio dilaghi. C’è troppa voglia di navigazione a vista, di inserimento nei giochi, di realizzo immediata, di portare ad incasso i dividendi di capitali politici piccoli piccoli. E soprattutto c’è un sequestro della politica da parte di potentati ed apparatini autoreferenziali, compatti solo nell’impedire che il loro potere venga in qualche modo posto in discussione, che dura da troppi anni perché si possa pensare a processi genetici spontanei da cui scaturiscano dimensioni alternative, che siano magari anche significative sul piano del voto. La realtà è che oggi costruire un’alternativa passa anzitutto per il rifiuto, spesso solitario, del livello inaccettabile di compromesso al quale si è ormai tranquillamente assuefatto il far politica a sinistra, e di cui il PDI costituisce solo l’ultimo (ma solo per ora) rospo da ingollare. Siamo ridotti al not in my name, ma il not in my name è essenziale per sottrarre consenso a questo tipo di operazioni e per rottamarle, insieme ai loro progettisti e conduttori, troppo poco avveduti o forse troppo volponi. Cominciare a tirarsene fuori, politicamente e soprattutto elettoralmente, è il migliore contributo alla costruzione di una prospettiva, a pensare un domani senza nani e ballerine di qualsiasi razza e colore."


Aldo Borghesi - 23/10/2006


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