Silvio Mastio, l’arcangelo della democrazia sarda

In una nota datata 25 novembre 2006 – ora sono già quasi cinque anni – detti conto, nel sito Edere repubblicane di una serata dedicata, giusto il giorno prima, alla figura di Silvio Mastio ad iniziativa dell’Amministrazione comunale di Ussana nei locali, bellissimi, della propria Biblioteca. Con me, incaricato di offrire al pubblico una scheda biografica del giovane ed eroico leader repubblicano cagliaritano – ussanese per parte di madre –, nel 75° della tragica morte, parteciparono anche Salvatore Cubeddu (per lumeggiare il contesto storico degli anni fra ’20 e ’30, in cui le idealità mazziniane s’erano fuse, o quanto meno combinate, con quelle sardiste di matrice cattaneana, anche nella proiezione dell’antifascismo combattente e quindi clandestino) e Gianfranco Contu (per il focus sull’ultima stagione di vita di Mastio, fino al suo martirio rivoluzionario in sud America).
Fra gli impegni spontaneamente assunti dalla Municipalità in quella occasione (offerta alla cittadinanza all’insegna di “Silvio Mastio Eroe Sardo: da Ussana al Venezuela”) figurava, insieme con la pubblicazione degli atti del convegno (non compiuta per l’intervenuto avvicendamento alla guida del Comune dei vecchi con i nuovi amministratori forse meno sensibili alla sfida democratica che il nome di Mastio da solo evoca), la intitolazione del campo sportivo al Nostro, così da proporre ai ragazzi, là impegnati nelle più varie discipline, un modello di virtù civica che anche nell’età dell’adolescenza e della prima giovinezza ben può trovare espressione e potenza di efficacia attraverso la testimonianza personale. Basta credere, basta covare in sé un sentimento: quello della vita come missione, della esperienza volta ad uno scopo di cui potersi fare, umilmente, un punto d’onore.
Alla Biblioteca ussanese donai la riproduzione cartacea da microfilm della intera serie del quotidiano
Sardegna (da me acquistata alla Nazionale di Firenze), che l’allora giovanissimo (23enne) Silvio condiresse con Raffaele Angius, altra splendida figura di attivista democratico, questi nelle file dei Quattro Mori ancorché con una militanza ante-guerra nella sezione dell’Edera e della Vanga a Cagliari. A conferma di quel filo di mutua coerenza ed amore all’unità che segnò per lunghi anni la relazione fra la dottrina repubblicana (anche oltre il PRI) e l’autonomismo sardista (anche oltre il PSd’A).
La manifestazione ussanese fu occasione propizia anche alla ripresa di contatti con la famiglia – che a lungo avevo avvicinato in anni fattisi ormai lontani, trovando nel dottor Carlo il principale interlocutore – e specialmente con Martino Sanna Mastio, amico di condivisa presenza nella formazione dei giovani repubblicani di Cagliari – nella feconda e non breve stagione del PRI che da Ugo La Malfa andava a Giovanni Spadolini –, fattosi intanto importante studioso di letteratura e filologo degno del padre! Per parte loro, le carte della Donazione Carlo Mastio custodite presso l’Archivio di Stato di Cagliari, tanto più nelle unità recanti scrittura e firma di Emilio Lussu (incontrato e intervistato sulle cose della politica sarda nel prefascismo e nell’antifascismo già nell’estate 1972 nella sua casa di via Cugia), divennero per me, nel tempo, materiali insieme di ricerca e di nuova “predicazione” nell’oggi della militanza, perché favorivano l’entusiasmante scoperta degli innesti sardi nella pianta salda e santa del mazzinianesimo italiano.
Acquisite in fotocopia, quelle carte, non spendibili in programmi editoriali, girarono – mostrate non replicate – fra chi volevo compisse l’esperienza della “conoscenza”: dico della “conoscenza” di come può essere bello e non frustrante essere minoranza. Con gli stessi ardori etici e patriottici, civili e democratici (nel senso pieno e non retorico della parola) di un Goffredo Mameli, di un Guglielmo Oberdan, di un Nazario Sauro. E inizierei l’elenco viaggiante attraverso epoche tanto diverse, dicendo: di un Efisio Tola! Ma avendo tutt’attorno nomi e volti, tutti onesti e onorevoli, di una scuola che vive essenzialmente di apostolato e testimonianza: l’apostolato e la testimonianza – ora del pensiero ora dell’azione o sempre, meglio, del binomio inscindibile – di Giorgio Asproni e Vincenzo Brusco Onnis, di Giovanni Battista Tuveri e Gavino Soro Pirino, di Michele Saba e Bastianina Martini Musu, di Giuseppe Fantoni e Cesare Pintus… Con le lettere di Lussu a Carlo Mastio (non purtroppo la copia di quelle di Mastio a Lussu) – tredici in tutto, dal 10 febbraio 1969 al 28 marzo 1970 e con due aggiunte del 5 e 13 aprile 1974 (a ridosso del referendum sul divorzio) – anche tre fotografie (per la verità sempre nella liberale disponibilità della famiglia a mostrarle a chi dell’amato congiunto si è via via interessato): quella di Silvio forse ventenne, con la “mazziniana”, la cravatta nera a fiocco sulla camicia candida; quella di Silvio più adulto con capelli pettinati alti, baffetti e maggior pizzo, e uno sguardo penetrante; e ancora un’altra di Silvio ormai maturo – ma neppure trentenne! – con un cappello chiaro a larghe tese e l’abito del buon impiegato con tanto di cravatta lunga e fazzoletto al taschino, e un bastone su un occasionale scenario campestre. E anche qualche copia di documenti riguardanti la vita, e la morte, latinoamericana: un articolo soltanto siglato ma attribuibile a Fausto Nitti uscito su
Patria Indipendente fasc. n. 5 del 1970 con il titolo “Nello spirito del Risorgimento il sacrificio di due italiani” (l’altro è Leopoldo Caroti) ed occhiello “Venezuela 1931” ; ed il volantino del Comité Ejecutivo Central del Partido Revolucionario Venezolano, datato dal «Mexico, D.F. abril de 1932» e indirizzato al «Pueblo venezolano»: «El doctor Silvio Mastio, haciendo honor a la bandera antifascista italiana, exclamò “Viva la Revoluciòn!” al sentirse presa de la muerte…».
Se questo secondo documento è prova della gratitudine della democrazia rivoluzionaria latinoamericana all’indomani del tragico episodio di La Rinconada, il primo – di molti anni dopo (della primavera 1970, s’è detto) – esprime il bisogno di non perdere, ora al volgere delle generazioni, la memoria del sacrificio dei migliori. Perché lo stesso Fernando Schiavetti, che aveva pubblicato sul numero di ottobre-dicembre 1969 di
Il Movimento di Liberazione in Italia un articolo dal titolo “Un episodio dell’antifascismo repubblicano. La attività di Mastio e Caroti nel centro America”, di questo anche aveva parlato con Nitti poco prima della propria morte sopraggiunta improvvisa nel febbraio 1970: «Questa storia ammirevole ci è stata raccontata da Fernando Schiavetti… Parlare di questo episodio eroico è anche rendere omaggio alla memoria di chi volle farlo conoscere agli italiani, perché sapessero che non solo in terra di Spagna, più tardi, gli italiani antifascisti si sarebbero battuti per la libertà di quel popolo e per la nostra ma che già cinque anni prima, due italiani si erano sacrificati con le armi alla mano, da uomini liberi e da soldati, in nome della patria lontana asservita e imbestialita dal fascismo…».
Schiavetti, che era stato segretario nazionale del PRI dal 1920 al 1922, e che negli anni dell’esilio in Francia aveva dato vita all’Azione Repubblicana Socialista (1935) in polemica con il concentrazionismo del partito, aveva certo memoria di quel compagno di battaglia «nato e vissuto sempre a Cagliari», che Pintus aveva onorato con un corposo scritto biografico nel 1946, ora da lui insistentemente richiamato anche per rievocare quei tratti caratteriali, e culturali, che il giovane repubblicano si era portato intatti dalla Sardegna fino in America: «Nel partito repubblicano il giovane sardo si era schierato, sin dal principio della sua milizia politica, fra coloro che chiedevano il rinnovamento della mentalità e dell’impostazione dei problemi proprie dei vecchi repubblicani sardi, rappresentati per la maggior parte da professionisti e borghesi, che mantenevano il partito isolato ed inefficiente; in un suo appello all’attività e alla propaganda pubblicato sull’
Iniziativa dell’8 agosto 1920, Mastio, allora segretario della sezione di Cagliari, deplorava che le associazioni repubblicane si fossero troppo spesso preoccupate della loro integrità dottrinaria rimproverando al popolo deficienze ed errori che erano il frutto doloroso di lunghi anni o secoli di servitù e di sospetto: “si isolavano – egli scriveva testualmente – in una sciocca, dottrinaria, pretesa superiorità di pensiero e perdevano così il contatto, sfuggendo alla realtà, con le masse operaie di cui trascuravano gli interessi e le organizzazioni economiche”».
Ricordava anche altro, Schiavetti. Dopo che l’eroica impresa che parlava con i fatti, evocava, per dolersene, la mancanza di un documento scritto e sottoscritto che potesse per altro verso raccontare il “movimento del cuore” del combattente; e insieme ricordava la volontà di Emilio Lussu di curare le ferite della famiglia: «Di Silvio Mastio non si conoscono lettere di addio o che riguardino la spedizione, eccezion fatta di una lettera inviata a Emilio Lussu a Parigi. Amico della famiglia Mastio che aveva una casa a Cagliari e un’altra, insieme con un’azienda agraria, a Ussana, vicino a Cagliari, Lussu era in stretti rapporti con Francesco, il maggiore dei fratelli,iscritto al partito sardo d’azione, laureato in agraria ed emigrato in America poco prima di Silvio, cui aveva trovato una sistemazione in uno zuccherificio. Lussu conosceva anche il fratello minore Carlo, laureatosi poi in medicina; e quando al suo ritorno dall’esilio si recò a salutare la famiglia di Gramsci a Ghilarza e la sorella di Schirru (…) a Narbolia, non aveva mancato, appena arrivato a Cagliari, di rendere omaggio anche alla madre di Silvio, dimorante allora a Ussana, in campagna. Lussu aveva ricevuto a Parigi, nel 1930, la visita di Francesco Mastio, rientrato quell’anno in Italia, il quale lo aveva informato sulla situazione dell’emigrazione italiana nel Messico; ma le relazioni più strette le aveva proprio con Silvio in virtù del suo attivismo politico. Silvio era stato in corrispondenza frequente con Lussu e fu a lui che egli scrisse una lettera, che può considerarsi il suo testamento politico, nella quale lo informava, immediatamente prima della sua partenza per il Venezuela, dell’organizzazione clandestina dell’impresa, del piano predisposto per impossessarsi con le armi di una nave in alto mare, della sua speranza nel successo. Nella lettera accennava anche all’insurrezione popolare che avrebbe dovuto favorire la colonna rivoluzionaria vittoriosa, alla progettata marcia su Caracas, alla presa del potere politico, Dal successo sarebbe derivata poi la spedizione rivoluzionaria in Italia, sul modello della spedizione garibaldina dei Mille…».
Nell’anno 2011 siamo ad anniversari tondi: 110 anni dalla nascita di Silvio, 80 anni dalla sua tragica morte. E ricordarlo è giusto ed è anche bello per chi si accinge all’impresa.
Il testo che propongo è quello stesso letto (e in parte riassunto) all’assemblea di quei cittadini ussanesi che il nome del loro compaesano (per i cennati versi di parentela materna) aveva convocato fra i libri ospitati nell’aula maggiore dell’antico monte granatico del paese. Ho creduto peraltro utile aggiungere alcune (e sia pur marginali) notizie acquisite in epoca più recente, perché la ricerca non è certo finita…, ed alcune note conclusive.
Fuori testo, debbo anche dare o ridare merito al professor Manlio Brigaglia, maestro di tanti di noi, per il contributo assolutamente anticipatore recato alla storia della minoranza repubblicana sarda e di Silvio Mastio in particolare, nel quadro del più complesso studio dell’antifascismo isolano. Basterebbero fra i molti altri,i numerosi titoli dei suoi studi sul movimento di Giustizia e Libertà e la figura di Emilio Lussu. La primizia portante la sua firma data addirittura alla primavera 1970: si trattò d’una conversazione a Radio Cagliari cui seguì un articolo – anch’esso con un focus tutto speciale sulla figura di Mastio – richiestogli dal compianto Bruno Josto Anedda, da poco tempo redattore della RAI, per la rivista repubblicana ch’egli dirigeva nell’interesse del PRI locale,
L’Edera. Titolo “Il sacrificio di Silvio Mastio” con occhiello “Un’altra limpida figura di militante repubblicano”: «Non vorrei sbagliare dicendo che il nome di Silvio Mastio, un giovane cagliaritano vissuto fra il 1900 e il 1930, è forse un nome poco conosciuto agli stessi cagliaritani, almeno alle generazioni più giovani…». Per concludere così la scheda biografica tutta concentrata sul tragico epilogo venezuelano: «Silvio Mastio è veramente… uno di quegli uomini verso i quali tutti gli italiani hanno un inestinguibile debito di riconoscenza. Noi sardi, e i cagliaritani più degli altri, non dovremmo dimenticarlo».
Altro innegabile merito ha Aldo Borghesi: quello di essere stato il primo, ora sono già moltissimi anni, nell’ordine perfino dei decenni, ad essersi applicato – sulla scia degli anticipatori scritti del professor Brigaglia – allo studio della personalità politica di Silvio Mastio, il primo ad averne proposto una scheda tendenzialmente completa. Ne è prova più recente il saggio apparso, sotto il titolo “Un rivoluzionario mazziniano”, sul
Bollettino della Domus Mazziniana, nn. 1-2 del 2008, a distanza di ben vent’anni da quello pubblicato su Il Pensiero Mazziniano, n. 1 del 1989 – “Un mazziniano rivoluzionario nell’America Latina. Appunti per una biografia di Silvio Mastio” –, il quale a sua volta costituiva uno sviluppo anche di quell’altra scheda “gemella”, e appunto con infinite interrelazioni, dedicata a Cesare Pintus. Quest’ultima, presentata il 3 giugno 1988 presso il municipio di Cagliari all’esordio dell’associazione politico-culturale Cesare Pintus con la presidenza di Salvatore Ghirra, era uscita poi, con il titolo “Per una biografia di Cesare Pintus democratico e mazziniano”, su Ichnusa, n. 1 del 1990 .
Sul tema colto nelle sue più ampie coordinate, lo stesso Borghesi era tornato nel tempo a più riprese: si ricordi soltanto “I repubblicani sardi fra interventismo, guerra, movimento dei combattenti, 1914-1926”, saggio breve uscito sul
Bollettino Bibliografico Sardo e Rassegna Archivistica della Sardegna, nn. 11-12 del 1989, mentre già nel marzo 1985 egli aveva anticipato alcuni aspetti della vicenda mastiana nella sua relazione “Il movimento repubblicano in Sardegna dalla I guerra mondiale al fascismo” letta al convegno sassarese in onore di Michele Saba il 30 marzo 1985 e successivamente pubblicata da Archivio Trimestrale nel suo numero monografico n. 3 dello stesso anno. E altri lavori ancora aveva offerto alla platea degli studiosi e più ancora degli amanti quidam della democrazia isolana, focalizzando l’intreccio di relazioni, ora quiete ora no – amicizie e inimicizie di cugini! –, fra repubblicanesimo e sardismo nei primi anni ’20: come quel “Movimento repubblicano e Partito Sardo d’Azione tra guerra e fascismo”, comparso quindi in Il Partito Sardo d’Azione nella storia della Sardegna contemporanea, Sassari, Lorziana 1993. (Il saggio, anch’esso interessantissimo e sorretto da buon apparato di note, uscì a cura dell’Istituto Camillo Bellieni, nel volume – curato da Michele Pinna – portante gli atti del convegno svoltosi a Sassari il 21 aprile 1991 nell’occasione del settantesimo di fondazione del PSd’A. E anche qui Mastio ebbe la sua parte).
Se dunque Borghesi ha offerto l’impianto e il canovaccio di base (oltreché una importante bibliografia e ricche schede d’archivio a supporto) per la conoscenza di una personalità politica assolutamente d’eccellenza, con speciali approfondimenti anche circa la militanza repubblicana, io ho cercato di indirizzare le luci su aspetti particolari o laterali, meglio rispondenti ai miei interessi di ricerca. Intendo riferirmi, nonché al quadro familiare (e dunque alla genealogia), soprattutto all’ambiente cagliaritano dei primi decenni del Novecento nel quale Mastio crebbe e sviluppò il suo sentimento di democratico.


Introduzione: una “fragilità coraggiosa”
Cagliaritano classe 1901, figlio di gavoese (ufficiale della Capitaneria di porto, da Santa Teresa trasferito a Porto Torres e quindi a Cagliari) e di ussanese (di nota e agiata famiglia proprietaria locale: il nonno, cav. Sisinnio Sedda, è stato sindaco per mezzo secolo in paese).
Raccontare Silvio Mastio si può in molti modi, valorizzando un aspetto od un altro. Se mi riuscisse, vorrei mantenere una linea bassa, quella secondo me più suggestiva: puntando i riflettori sull’adolescente che si innamora, a scuola, delle idealità risorgimentali e mazziniane, e sul giovane universitario della facoltà di Scienze fisiche matematiche e naturali – corso di laurea in chimica – che divide il suo tempo fra lo studio e l’impegno politico.
Siamo giusto all’indomani della grande guerra e alla vigilia della affermazione fascista – dopo infinite azioni squadriste (anche in Sardegna) – nelle istituzioni dello Stato: governo nell’ottobre 1922, conferma elettorale (con legge maggioritaria) nell’aprile 1924, leggi fascistissime (il regime) fra 1925 e soprattutto 1926.
All’indomani di questa consacrazione dittatoriale delle istituzioni regie, Mastio conclude i suoi studi universitari ed emigra – giusto come Lussu, che nell’autunno 1927, dopo 13 mesi di detenzione a Buoncammino, viene spedito – arricchito dalla tubercolosi – a Lipari (fra l’altro, subito accolto nella «mensa repubblicana» dei confinati, e come espressione dell’area repubblicana non socialista egli sarà visto all’inizio, a Parigi, quando – dopo la fuga dall’isolotto – fonderà con altri il movimento Giustizia e Libertà) .
Poiché questo nostro non è un incontro accademico, rigorosamente imprigionato negli schemi scientifici, mi permetto di proporre un accostamento alla figura di Mastio guardando ad essa come a una “fragilità coraggiosa”: la fragilità dell’adolescente e del giovane, il suo coraggio dell’andare controcorrente, rischiando e pagando, fino all’epilogo assolutamente tragico ed eroico del 1931.

La Cagliari della sua infanzia ed adolescenza
Silvio nasce il 17 aprile 1901. Nel 1901 si compie il censimento decennale: Cagliari registra 53.700 abitanti, di cui oltre 16.000 nel quartiere di Stampace, dove i Mastio avranno a lungo casa al civico 28 del corso Vittorio Emanuele, e circa diecimila in quello della Marina dove, in una casa della via Sicilia, essi sono domiciliati all’inizio del secolo. (Ussana quell’anno stesso conta 1.300 residenti).
Viene battezzato nella parrocchia di Sant’Eulalia dal reverendo Antonio Ignazio Argiolas, avendo padrini il nonno materno e la zia Vincenza, sorella della madre. Il registro baptizatorum di Sant’Eulalia (peraltro con pasticcio del redigente circa il cognome) lo dà Silvius Antonius Vincentium Demetrius.
A raccontarci di lui bambino e ragazzo è un suo coetaneo, Cesare Pintus: prossimo sindaco di Cagliari (fra 1944 e 1946, dopo cinque anni di galera fascista e altri tre di vigilanza di polizia), amico fraterno fin dalla prima elementare nel 1907, compagno di banco nella scuola che si denominerà un giorno Sebastiano Satta.
Operativo da appena un biennio – fra la via Angioy (ingresso dei maschietti), la via Crispi (allora Carmine) e la piazza del Carmine – quello stabilimento scolastico riflette molto della Cagliari bacareddiana, che si distingue, tanto più nel passaggio di secolo, per tutta una serie di grandi opere pubbliche, insieme di decoro urbanistico ed utile collettivo, oltreché fonte di lavoro, pur soltanto occasionale, per centinaia di operai ed artigiani in permanente concorrenza con quelli che sulla città premono dalla provincia: dai bastioni castellani al palazzo comunale della via Roma, alle scuole – appunto – nei quartieri storici. Quando Silvio (con il suo amico Cesarino) frequenta le lezioni nel nuovissimo e grandissimo edificio, giusto alle spalle del gran cantiere del municipio bacareddiano, non tutto è ancora compiuto: le classi per le quali qui si raccolgono le iscrizioni sono quelle del primo biennio e della quinta; provvisoriamente le terze e le quarte sono accolte in locali rispettivamente della via Roma e della via Caprera. E intanto, dal 1909 Castello può accogliere i bambini nel nuovo edificio sul bastione di Santa Caterina, fra le vie Fossario e Canelles; mentre quelli di Villanova si ripartiscono ancora la palazzina della Società degli Operai e altri ambienti disponibili nella via Lanusei.
Chi frequenta nella via Angioy sono i bambini di Stampace e della Marina. La città ancora sente l’eco di “sa rivoluzioni”, la rivolta popolare – certo strumentalizzata da gruppi interessati, ma comunque mossa da esigenze autentiche dei ceti poveri – contro l’Amministrazione civica: contro il carovita e contro la disoccupazione presente o alle viste (per dirne una, i carrolanti che trasportano uve e vini da Pirri o Monserrato al porto, per l’imbarco, rischiano di essere sostituiti dalle vetture della Tramvia del Campidano dei Merello).
Non può essere che anche i bambini non abbiano subito l’influenza di “sa rivoluzioni”, e più ancora un bambino come Silvio, figlio di quel funzionario portuale che a casa avrà riportato senz’altro lo sgomento per quanto è accaduto proprio a un passo dall’ufficio e dalla stazione dove sono morti due giovani: con i tram rovesciati, le rotaie divelte e le botti di vino svuotate in mare.

La famiglia, e quel nonno deputato
Si sa che la famiglia Mastio, insediatasi all’inizio alla Marina, vive ormai in zona di piazza Yenne, a un passo dalla via Azuni che porta, superato quello militare, al nuovo ospedale civile del Cima – una città nella città per la folla che ogni giorno richiama da Cagliari stessa e da fuori per le visite ai malati. E ad un passo anche dal mercato-partenone che sarà presto (1921) celebrato da David H. Lawrence: precisamente un’altra città nella città, su un fianco del Largo, con un’altra folla, questa di produttori in coloriti costume di paese, che ogni giorno arriva, col treno o col carro, ad alimentare i cittadini e a dar lavoro ai piccioccus de crobi al servizio delle signore magari di Castello o Villanova… Quella parte in cui abitano dai primi anni del Novecento, nel corso Vittorio Emanuele, vien detto “su brugu” e anche “sa passillara”: la banda musicale del reggimento fanteria si esibisce due volte la settimana per l’applauso del pubblico. La casa di Cesare Pintus è poche decine di metri più oltre.
A costituire la famiglia, con i genitori Salvatore – 52enne nel 1901, dottore in legge da giovanissimo nella carriera demaniale, applicato di porto a Cagliari almeno già dal 1883, per chiudere come ufficiale vicario alla vigilia della “grande guerra” – e Maria (e Giovanna) Sedda – appena 29enne nello stesso anno –, sono cinque figli: Francesco (nonché Sisinnio Raffaele Angelo) – classe 1894, futuro agronomo che lavorerà a Cuba (tornerà a Cagliari soltanto per sposarsi e poi ripartire; rimpatrierà definitivamente dopo molti anni per dirigere l’Ispettorato provinciale di Agricoltura); Luigi (nonché Efisio Fortunato) – che sarà chimico-farmacista e s’involerà ancora giovane, 37enne, nel 1932; Ettore (nonché Mario Domenico Vittorio Vincenzo) – perito agrario, che, più sfortunato ancora, soldato della 792.a Compagnia mitraglieri finirà in un campo di prigionia boemo, qui morendo neppure ventunenne il 20 aprile 1918 (le sue spoglie riposano nel cimitero militare italiano di Milovice); Silvio appunto, e Carlo – di cinque anni più piccolo, classe 1906, nato in città quando la famiglia già s’è trasferita a Stampace) –, che diventerà medico dell’INAM concludendo la carriera come dirigente dell’assessorato regionale dell’Igiene e Sanità, e più di tutti terrà viva, per quanto possibile, la memoria del fratello mazziniano e antifascista.
Ma a guardare a più larghe coordinate temporali della famiglia Mastio, magari scorgendo in esse elementi che possano aver in qualche modo influito sul precoce “gusto” di Silvio per la politica, non pare potersi tacere che suo nonno paterno fu addirittura parlamentare e precisamente deputato alla VI legislatura subalpina. Siamo evidentemente in tutt’altro contesto storico, addirittura preunitario, e gli orientamenti dell’avo sono giusto il contrario, o quasi, di quel che saranno le tendenze e poi gli obiettivi del nipote. Nonno Francesco Mastio – gavoese di nascita (e onorato nel suo paese con una strada nel rione Malupensu), medico militare e, per la precisione, ispettore nel Consiglio militare di Sanità, nonché archiatra con Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II, – fu eletto nel novembre 1857 nel collegio di Nuoro, uno dei 204 in cui era stata ridisegnata la mappa d’una Italia ancora monca dei… quattro quinti dei suoi territori e dei suoi abitanti! Avvenne poi in quel triennio o poco più di durata della legislatura che l’Italia prese finalmente corpo: iniziando proprio dai risultati della seconda guerra d’indipendenza (acquisto della Lombardia) e proseguendo con i plebisciti d’annessione negli stati del Tosco-Emiliano e poi anche dell’Umbro-Marchigiano, e con la campagna garibaldina nella Sicilia e nel sud continentale… fino alla proclamazione del regno in capo a Vittorio Emanuele II il 17 marzo 1861.
Converrà aggiungere, di questo nonno mai conosciuto da Silvio perché deceduto trenta e più anni prima ch’egli venisse al mondo,esattamente nel 1868, che la fama liberale che l’accompagnava non fu in realtà mai compresa e… certificata da una personalità cospicua che pur bene la conosceva anche a motivo della comune provenienza provinciale: Giorgio Asproni. Il quale – lui che idealmente avrebbe un giorno probabilmente costituito un riferimento dello stesso giovane Silvio – così apostrofò nel proprio “Diario” il Mastio sr. suo diretto avversario elettorale, e con successo, già nel novembre 1857 allorché pareggiò quasi i voti dell’Asproni nel primo scrutinio (87 contro 91) per poi sopravanzarlo alla grande al ballottaggio (223 voti contro i 131dell’ex canonico repubblicano): «In fe’ di Dio, non mi credo gran cosa: ma a petto di Francesco Mastio, uomo ignorantissimo di materie politiche, mi fa pena quando rifletto che mi trovo in concorrenza con lui» (16 novembre 1857). Prima di una lunga serie di frecciate, in parte certamente ingenerose, che per tre anni concorrono a dare colore alle segrete pagine del Bittese…
Questa l’ascendenza più importante – dal punto di vista del rilievo pubblico – nella famiglia di Silvio Mastio. Mentre, nel filone materno, quell’altro nonno Sisinnio, anche lui un moderato e prinzipale, non era forse da meno a capo dell’Amministrazione municipale di Ussana. Sicché non può essere che Silvio non abbia respirato in casa la suggestione degli uffici politici ricoperti, pur in epoche tanto diverse, dai due nonni. E quelle esperienze avite, per quanto le aveva conosciute, entrarono poi in un processo che era ben più che di ammodernamento: era di vera e propria riconversione ideologica, perché Silvio rifiutava la monarchia e sceglieva la repubblica, smontava ogni approccio paternalista per sposare il portato della cittadinanza, fuggiva gli egoismi borghesi per schierarsi con il proletariato…
Ma di più si può dire, di essa, viaggiando sia pure a volo d’uccello sulle generazioni preparatorie in una città – Cagliari – che negli anni ’30 e ’40 del XIX secolo era ancora cinta dalle sue mura secolari, di perimetro urbano e fra i quartieri, chiusa al mare per protezione della piazzaforte militare, e rappresentava un polo di relativa modernità burocratica e commerciale a confronto dell’entroterra, ma anche di economia parassitaria gravante sulla provincia rurale salassata dai balzelli. Giovane medico militare ecco Francesco Mastio impalmare a Cagliari Angela Ghera, appena quindicenne. La coppia – che risiede nel quartiere della Marina – sarà feconda e i parti, data la giovane età della sposa, si susseguiranno lungo l’arco di quasi un ventennio. Né forse tutti li ho potuti censire, a partire dal 1832: ecco Placida, ecco Maria Teresa, ecco Antonia, ecco Antonio Vittorio Francesco Luigi, ecco Giuseppe Francesco Salvatore, ecco Efisio, ecco Salvatore. Alcuni – la metà forse – sono travolti da piccoli, ché la mortalità infantile non risparmia, ancora in tutto l’Ottocento, neppure le famiglie di pur moderata agiatezza e perfino quelle presidiate da un genitore medico…
Salvatore, il padre di Silvio, è il più piccolo, classe 1849. Lo si sa ginnasiale al San Giuseppe e poi dettorino – in quel liceo che ha pochi anni di vita soltanto nel 1867, quando egli, studente della terza ed ormai licenziando, tiene il discorso sui “meriti civili e letterari di Nicolò Machiavelli” nella consueta festa letteraria di fine corso. S’iscrive a Giurisprudenza, entra giovanissimo nell’Amministrazione statale: nel 1883 risulta già applicato di porto a Cagliari (e come addetto alla Capitaneria figura fra gli oblatori a favore dell’Ospizio Marino Sardo che ha sede all’ex lazzaretto di Sant’Elia). Nel 1894 è il numero due della Capitaneria con la qualifica di ufficiale. E primo ufficiale della importante Capitaneria di Salerno sarà nel 1907, quando viene insignito del cavalierato della Corona d’Italia, preludio alla promozione a comandante. E intanto ottiene quanto di più gli interessa: il ritorno a casa, a Cagliari, dove è vicario ancora nel 1911. La circostanza induce a pensare – in attesa di poter meglio approfondire – che la famiglia, ove non si sia trasferita per qualche anno in Campania (ma Carlo, nel 1906, è nato a Cagliari!), abbia sofferto le difficoltà proprie degli impiegati pubblici, costretti alla mobilità permanente.
Ha fatto famiglia, giovane lui, molto più giovane lei, ventenne soltanto Maria Rita Bonaria Giovanna Sedda, ussanese classe 1872 –, figlia del cav. Sisinnio, proprietario ed amministratore civico in paese. I figli vengono subito, i primi cinque in appena sette anni, più distanziato è l’ultimo che chiude il sestetto. Ha perso suo padre – il dottore-e-onorevole Francesco – che era ancora matricola all’università, per il resto gli affetti della sua famiglia d’origine saranno un supporto a quella sua nuova, condizionata, se non sballottata essa stessa, dai trasferimenti ch’egli ha dovuto accettare per l’obbligata carriera. Sua madre Angela Ghera muore, quasi novantenne, nel 1902, nella casa fra la via Sicilia e la via Baylle (civico 46 di quest’ultima), e fa in tempo a conoscere anche Silvio in fasce; la zia Maria Teresa, che ha sposato l’avvocato Giuseppe Cao Marcello e suo zio ing. Efisio, che ha sposato Elisabetta Marturano (della famiglia imparentata con il celebre Efisio Marini il pietrificatore), fortunatamente sono longevi pure loro: la prima scomparirà nel 1919, il secondo nel 1925, abbondantemente oltre l’ottantina.
Anche Salvatore Mastio muore nel 1919, a novembre (poche settimane dopo la sorella), a 70 anni. Silvio ha allora l’età che suo padre aveva quando perse il proprio genitore. E’ un giovane che non ha ancora completato gli studi liceali, e dovrà iniziare l’avventura universitaria accelerando e intensificando quella politica.
La città procede nella sua trasformazione modernista, negli anni dell’infanzia e adolescenza di Silvio. Nel 1903 si vedono per le strade del centro le prime vetture a motore, chiamate al maschile «gli automobili» (nel 1904 poi arriverà con la sua 16 HP Isotta e Fraschini il direttore generale del Touring club italiano, per annunciare la nuova era del turismo motorizzato). I trasporti urbani (parzialmente serviti, fin dal 1893, dal vapore della Tranvia del Campidano per i collegamenti con l’hinterland) cominciano a godere – ad iniziare dal 1913 – delle linee elettriche interquartiere, da Villanova a Sant’Avendrace, dalla via Roma al Castello, ed inizia così anche la scoperta del Poetto come paradiso in terra e il suo progressivo subentro agli stabilimenti di Giorgino… Nel 1905 è la volta delle prime proiezioni cinematografiche rigorosamente mute ma destinate a soppiantare la non breve stagione del cafè chantant nella via Roma, ed a convivere con i cartelloni d’operetta e lirica del Politeama Margherita o sinfonici del Civico… C’è una crescente vivacità nell’associazionismo e nella stampa, e anche la battaglia politica si fa meno ideologica e più attenta alle scelte amministrative. Merito di un sindaco-mito come Ottone Bacaredda, liberale aperto alla democrazia, che è riuscito ad affermare un’idea di Cagliari come comunità civica, che a tutti chiede di dare più che di esigere…

Le elementari e il ginnasio
«D’intelligenza sveglia e di carattere espansivo e gioviale, Silvio superava i condiscepoli con la sua veramente prodigiosa memoria che gli consentiva di ripetere senza un errore una lunga poesia o una pagina di prosa, dopo due o tre letture. Era una cosa che ci sbalordiva tutti», è il ricordo di Pintus. E così possiamo immaginarlo, dopo le elementari, negli anni del ginnasio, al Dettori, che ha la sua sede nell’antico convento dei gesuiti, di fianco all’ex chiesa di Santa Teresa, allora ospitante l’Archivio di Stato: a ridosso del costone della via Manno (“sa Costa”) e all’incrocio fra le vie Principe Amedeo (dove pochi anni prima ha abitato, studente anche lui del Dettori, Antonio Gramsci), Sant’Eulalia, Barcellona e il vico Collegio.
La licenza elementare nel luglio 1911. Silvio ha dieci anni e tre mesi. Nella sezione A dello stabilimento dai finestroni goticheggianti di via Angioy passa l’esame con altri 43 e 13 privatisti. Al ginnasio è poi mobile fra le sezioni A e B (in prima c’è anche una sezione C). Scala, anno dopo anno, un ottennio (dilatato) di studi non semplici, che richiedono disciplina e applicazione. Bravo, ma non sempre riesce a concludere a giugno, capita talvolta (magari proprio in compagnia di Cesarino) di dover recuperare agli esami di ottobre, come avviene in prima e seconda. Capitano anche gli inciampi variamente motivabili. Una volta nell’anno scolastico 1913-14, che va perso per essere successivamente recuperato alla grande anche con i voti (che lo esentano dall’esame) fino alla licenza nel giugno 1917 . L’indirizzo ginnasiale (e poi liceale) che ha scelto è quello moderno, introdotto nell’ordinamento con una legge del 1911 (Cesarino ha proseguito invece nell’indirizzo classico). Nuove difficoltà ancora nei primi anni del liceo peraltro riassorbite forse con qualche ripetizione speciale e ammissioni da privatista. Infine la maturità, nella sessione d’esami di luglio-agosto 1920.
Fra i suoi compagni, diversi sono destinati a posizioni sociali di un qualche rilievo nella società cagliaritana del nuovo secolo: Bellisai, Ferrucci, Gutierrez, Liuzzi, Loi, Manca, Musio, Pincetti, i due Trillo… Nel novero anche Gino Anchisi (l’amico che sarà, prima di svagarsi, repubblicano di tessera e certamente anche di cuore: più giovane d’un anno ma agganciato all’incontrario per… colpa di quell’anno perso da Silvio in terza ginnasio). E un altro ancora che diventerà sacerdote e sarà fra i più riveriti del clero metropolitano: Plinio Piu.
Un fratello del prossimo monsignor Plinio (e anche del prossimo monsignor Mario, per cinquant’anni parroco di Sant’Anna) – Gustavo, con un futuro lui di magistrato – lascerà un giorno una corposa memoria di quella modesta epopea dettorina, divisa a metà fra anni di pace in preparazione della guerra, e di guerra in preparazione della nuova pace. Né è la diversità della classe o della sezione a contare qui, valgono piuttosto le atmosfere, l’humus ambientale, le figure del preside e dei bidelli, e magari anche di qualche professore. Del pari può concorrere a ricreare quelle ambientazioni umane e non soltanto didattiche un prezioso opuscolo (Annuario 1959-1960) che il prof. Danilo Murgia pubblicò a suo tempo per rinsaldare storia e cronaca del maggior liceo-ginnasio cittadino.
Ci si può, dunque, consentire un focus speciale, sul Dettori della memoria negli anni della frequenza di Silvio Mastio fra i suoi undici e diciannove anni, dall’ottobre 1911 all’estate 1920. Un ripasso propriamente fisico fra quelle 13, poi 14 e infine 16 aule «ampie e bene illuminate» ma dai «pavimenti rovinati» e dalle «imposte vecchie e sconquassate» al pari degli arredi, con «i banchi (che) stanno male in piedi e recano i segni delle parecchie generazioni di alunni che li hanno occupati successivamente; le cattedre (che) sembrano banchi di qualche sudicia mescita di vino»… cosicché «l’alunno… non sente certo la severa maestà della scuola» e di essa anzi subisce «la funesta influenza» cui anche concorrono l’androne «buio e umido», lo scalone dai «gradini logori e con le pietre sconnesse», i corridoi «quasi tutti stretti e con poca luce: circola un’aria infetta e non respirabile per le esalazioni delle latrine situate nel primo pianerottolo, le quali non hanno finestre o sfiatatoi».
Nell’anno in cui Silvio entra nel ginnasio dettorino, l’edificio si è appena arricchito di un piano sopraelevato con i gabinetti di fisica e storia naturale, ha visto risistemate cinque aule e rinnovati almeno in parte gli arredi. Soprattutto sono migliorati – per quanto possibile – i servizi, restituendo decenza all’antico convento, mentre la biblioteca è rimasta confinata in una stanza «piccola umida e oscura» per quanto le sue dotazioni siano eccellenti, così come anche quelle delle aule speciali.
In quello stesso anno scolastico 1911-12 sono 407 gli alunni frequentanti – il rapporto fra maschi e femmine (in classi separate almeno all’inizio) è di 4 a uno circa –, la crescita costante sarà presto penalizzata dalla guerra e dalle chiamate dei giovanissimi al fronte, o dalle partenze di volontari (saranno 25 gli studenti caduti al fronte di guerra). Effettiva è anche la partecipazione delle famiglie che una circolare ministeriale proprio del 1912 istituzionalizza in comitato rappresentativo dei genitori e impegnato a discutere di «locali, passeggiate disciplina esterna, lavori domestici, entrata ed uscita dalla scuola» ecc.
Ventuno le ore di lezione settimanale in prima e seconda ginnasio, 24 in terza, 25 nel biennio superiore e nel primi due anni di liceo, 22 infine in terza in vista della licenza. Lezione mattina e sera, e con stacco di almeno tre ore d’inverno e quattro d’estate per le singole discipline; soltanto di mattina in due giorni. E festa secondo gli obblighi di precetto della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, gli omaggi ai natalizi di re, regina e regina madre, festa prolungata fino a 16 giorni fra Natale e Capodanno e poi a Carnevale ed attorno a Pasqua.
Comprensibili le tensioni per le interrogazioni e i compiti in classe, di prassi le deambulazioni di ripasso estremo o di scambio fra compagni, in attesa della campanella, nella piazzetta del Santo Sepolcro, incrociando per necessità le altre e alte tensioni (chi ce le ha) dei coetanei del più vicino istituto tecnico là sulle scalette Sant’Antonio.
Un preside – l’efficientista Leonardo Bruni con Liborio Azzolina a rappresentare la continuità storica del corpo docente –, dal 1914 poi Marchesa-Rossi (irreverentemente chiamato “merdonedda” dai ragazzi infastiditi dalla costrizione all’entrata ed uscita secondo ordine e disciplina, e soprattutto silenzio). Bidelli i mitici Scirè – il capo, ombra del preside –, Mundula «il portaordini» ed Ancis alla portineria, piuttosto complice con le infedeltà degli studenti che ancora carburano le fusioni fra le rispettive provenienze, divisi come sono – per lo meno nel triennio del liceo – fra i dettorini puri e gli «scolopi» (intendendosi con questo nome quelli provenienti dal ginnasio non liceato di San Giuseppe a Castello).
Tutto da raccontare il corpo insegnante, dove le bizzarrie o le povertà dei singoli si incrociano quasi sempre con una riconosciuta cultura e competenza, e spesso anche, e fortunatamente, abilità didattica. Greco e latino, matematica e storia naturale (geologia, mineralogia e botanica), fisica e chimica, storia civile e storia dell’arte ecc. ogni materia ha il suo sacerdote e ogni sacerdote il suo soprannome caricaturale che resiste e dà una patina di giocondità alla comunità scolastica. Ogni sezione ha i suoi: Zoroastro e Zefferino, Boffo e «avanti Beatrice»… Tempo di barbe ancora alla risorgimentale o magari alla biblica e di baffi all’umberta, lo spessore delle lenti sembra poi l’indiscutibile documento dello… sconsigliato molto studiare. C’è chi da del «voi» agli alunni, chi si offre di guidare una escursione fra le stalattiti delle grotte di capo Sant’Elia.
Nel febbraio 1916 – quando Silvio è in quarta ginnasiale per quell’inciampo di cui s’è detto – un gran lutto colpisce tutta la comunità scolastica: si suicida un giovane professore di chimica e fisica – Guido Algranati, 28 anni soltanto, livornese di nascita, ebreo di religione, massone attivo in una loggia cittadina, proprio di quella Cagliari in cui espressamente aveva chiesto di essere assegnato. Si suicida a scuola, in uno dei gabinetti scientifici, bevendo un veleno che egli stesso ha composto. Sembra fosse scosso dall’indisciplina degli allievi cui non sapeva rimediare, né riusciva a trovare comprensione e sostegno nei colleghi. Della cosa tratterà addirittura il Parlamento, mentre l’Italia è in guerra… Alla presidenza arriva , a dar l’idea del nuovo, il prof. Bernardi.
«Fino all’età di quindici anni la scuola fu per Silvio e per noi, suoi coetanei – scrive Pintus – quello che fu per tutti i fanciulli spensierati di quelle generazioni: un’altalena di successi e di amarezze, un succedersi di elogi e di rabbuffi, che si componevano nella gaia serenità pomeridiana delle partite di calcio in Piazza d’Armi e delle nostre prime prove atletiche nella palestra dell’Amsicora».

Lo sport praticato: calcio, atletica, equitazione
Piazza d’Armi per il foot ball e la società Amsicora per l’atletica. Nella piazza d’Armi, che è come dire “a Cagliari” – giusto là dove per lungo tempo funzionava il poligono sia dei militari che della Società del tiro a segno nazionale (da poco trasferitasi a San Bartolomeo) – , il calcio è arrivato alla fine di aprile del 1902. Due squadre universitarie si contendevano la vittoria.
L’atletica agonistica (gare vere e proprie) s’è affacciata invece l’anno prima, con una corsa sui 300 metri, dalla stazione ferroviaria alla chiesa di San Francesco, nella via Roma. Protagonisti gli atleti dell’Arborea e quelli, appunto, dell’Amsicora. La cui costituzione come sodalizio sportivo nel vico Lanusei rimonta comunque al 1897.
Quando Silvio preadolescente si iscrive all’Amsicora la palestra e le piste all’aperto sono da una decina d’anni nel viale Bonaria (dove poi avrà la sua sede la RAI). Un Mastio – dovrebbe ritenersi proprio Silvio – torna nelle cronache del 1918, a guerra quasi finita, nella formazione della Rari Nantes che si disputa la vittoria con una squadra formata dall’equipaggio di un piroscafo britannico, giocando una palla messa a disposizione da un marinaio inglese che l’ha salvata da un siluramento; e dopo ancora figura, un Mastio – credibilmente ancora Silvio – , nella rosa dei difensori del primo Cagliari anno 1920.
Allora, all’anno del suo esordio, il Cagliari calciatore disputa il torneo Sardegna – inizio a settembre – e le squadre avversarie sono la Torres, l’Ilva, l’Eleonora d’Arborea, il 46° reggimento fanteria, tutte abbondantemente sconfitte. Meno brillanti sono le prove dei cagliaritani contro il Corpo Armata Palermo e contro la Corazzata Duilio…
Rimane come primo episodio quello del 19 maggio 1918, ore 15, in piazza d’Armi, zona Sa Duchessa, punto d’incrocio fra il viale San Vincenzo sovrastato dal carcere di Buoncammino e l’area a valle, ancora tutta orti e giardini, denominata di Is Mirrionis. Con Silvio, che gioca col numero 6, sono coetanei alcuni dei quali proseguiranno con la maglia d’una squadra: Germanetti in porta, Manca e Delrio terzini, Figari e Marracini con lui in difesa, Maxia, De Lorenzo, Coni, Picciau e Nieddu all’attacco. E tutt’attorno, con l’arbitro, due direttori di campo e due giudici di porta… apparato degno di futuri campionati del mondo. E un interprete, quel ragionier Podda che con Giorgio Ballerini, vice presidente della Rari Nantes, ha organizzato il match. Tre tempi, tutti e tre di pareggio: 0 a 0, 1 a 1, 2 a 2 il risultato finale applaudito dal gran pubblico accorso e festeggiato infine nella sede sociale del club locale.
Di questa prestanza ed abilità fisica di Silvio sono, peraltro, dimostrazione anche le trottate che, fin dalla più giovane età, Silvio compie nella vasta e rigogliosa proprietà ussanese del nonno Sisinnio. Quel nonno amatissimo scompare, come in improvvisa staffetta con la ben più giovane moglie Raffaela Carta, nel 1914; non scompare però quel mondo rurale che attrae il giovane cittadino e dove rimangono, con le terre e le case, gli affetti di parenti e amici.
Cinque, anzi sei anni di ginnasio – s’ detto, promosso talvolta per merito e senza esame, altre volte con i recuperi di ottobre – poi tre di liceo, nello stesso stabilimento del quartiere della Marina al quale, dall’estate 1913, fa la guardia il busto nientedimeno che di Dante Alighieri.
Questo della belle époque, che cavalca il passaggio fra Ottocento e Novecento, è il tempo della statuaria. Ha una funzione pedagogica, la statuaria: sono normalmente i sodalizi religiosi, o culturali, o patriottici, o ideologici, che pensano di rafforzare la loro presenza sociale come vessilliferi di un ideale innalzando un monumento che, all’inaugurazione, viene poi regolarmente donato al Municipio: è stato così nel 1882 per l’Immacolata Concezione, in piazza del Carmine; nel 1886 per la stele dedicata ai Martiri d’Italia (i caduti cioè nelle guerre d’indipendenza); nel 1901 e nel 1905, rispettivamente per Giuseppe Verdi e per il filosofo e parlamentare repubblicano Giovanni Bovio, entrambi nello square delle Reali; nel 1913 per Dante (a luglio) e anche per Giordano Bruno (a settembre) – questo secondo, voluto da un comitato di liberi pensatori, in parte massoni in parte no, e fra essi molti repubblicani – nella parte alta della via Mazzini, dirimpetto alla Porta Castello che introduce alla via Università.

Al liceo la scoperta mazziniana
«L’ingresso nel liceo in piena guerra mondiale, segnò la fine della nostra spensieratezza – scrive Pintus –. Quanto avveniva nel mondo era un fatto di sì grande portata storica che anche noi, giovanissimi, fummo presi dalla politica e sentimmo il bisogno di approfondire sui libri le nostre conoscenze scolastiche. Le correnti ideali del nostro primo risorgimento ci apparivano vive ed operanti nella guerra dell’Italia contro gli imperi centrali, che esercitava su di noi un fascino particolare in quanto ci sembrava l’epilogo del dramma che aveva avuto l’inizio un secolo prima. Fu così che Silvio ed io diventammo repubblicani».
Bisogna dunque vederli, questi ragazzi di sedici, diciassette anni che si accostano a figure e ideali che d’altra parte non possono essere neppure così lontani dalla loro sensibilità, sia per l’intrinseco portato romantico, sia per il tempo trascorso, relativamente ancora breve, dagli eventi e protagonismi che spontaneamente li suggestionano.
Tanto più in anni assolutamente drammatici, che suscitano grandi emozioni ed impongono, per superare l’angoscia della carneficina, l’appello a grandi idee. Ogni famiglia sente nella sua carne la sferza delle chiamate al fronte e sovente – 298 volte a Cagliari – la sferza della comunicazione di un’altra morte ancora: anche nella propria casa, nel giorno del compleanno – il diciassettesimo – di Silvio. Quando è di Ettorino che deve dirsi, ventunenne soldato mitragliere della 792.a, che ha iniziato a morire in un campo di prigionia boemo nei cui pressi il suo corpo riposerà per sempre.
Non può non porsi un problema di “senso” della tragedia in corso, c’è dunque questo bisogno di riferimento certo a ideali forti ed a modelli di virtù patriottica e civica, ad eroi. Il risorgimento patrio – con l’aura autenticamente romantica delle nazionalità in capo alle quali costruire un ordinamento costituzionale e democratico – rappresenta la sede morale, e anche sentimentale, per godere ancora della speranza di un futuro.
«La lettura degli scritti di Mazzini, contenuti nei 4 volumi dell’edizione popolare di Casa Sonzogno, ci entusiasmò a tal punto da spingerci a farci divulgatori dell’idea repubblicana fra i nostri compagni di scuola. Silvio, che metteva in tutte le sue manifestazioni una volontà indomita ed un gagliarda irruenza, fu il più attivo nella difficile opera della propaganda, e si affermò subito come il più preparato, il più coraggioso, il migliore fra noi. Fu tra i più assidui collaboratori del settimanale L’Alba Repubblicana, organo del movimento giovanile mazziniano».
Sono altre parole di Pintus, che scrive la sua testimonianza (per la rivista degli Amici del libro, Il Convegno) a trent’anni dai fatti ed a quindici dalla morte del grande amico d’infanzia, adolescenza, giovinezza: morte di Silvio e processo e primo anno di galera per lui, Cesarino – arrestato in una retata di polizia contro i militanti clandestini di Giustizia e Libertà.
«Fondò il Circolo giovanile repubblicano di Cagliari, allargò il campo della sua azione all’ambiente operaio attirando all’idea repubblicana alcuni ottimi elementi che rimasero sempre fedeli».
Questo è il nesso “eroico” – mazzinianesimo e patriottismo – che in quel 17enne si esprime, giusto all’indomani della disfatta di Caporetto, oltreché in un’ansia di predicazione, anche di esemplarità: per questo – mentre Francesco, Luigi ed Ettore (vittima agonica del campo di prigionia) sono già della partita al fronte –, anch’egli corre ad arruolarsi volontario, spezzando – non importa – il liceo. E’ il 17 aprile 1918. L’intervento risoluto dei genitori vale ad impedire però che il tentativo, generoso e rischioso, abbia successo.
«Ne provò un grande disappunto e per qualche tempo si chiuse in un silenzio disperato – ricorda ancora Pintus –, ma si riprese presto per gettarsi sempre più a fondo nell’azione politica prodigando sulla stampa repubblicana e nella propaganda tra gli studenti e gli operai le sue belle doti di intelligenza e di iniziativa e la sua ormai solida preparazione ideologica».

L’immediato dopoguerra
Tornano a casa, e alla vita civile – studi, lavoro, relazioni – i fratelli Francesco e Luigi ed è l’esperienza, questa, di altre migliaia di giovani cagliaritani.
Il dopoguerra è tempo difficile, di riorganizzazione sociale ma nella confusione delle lingue, nella esacerbazione degli umori, nell’incertezza dell’oggi e del domani… La politica non si rivela all’altezza del suo compito: la classe dirigente liberale, ampiamente divisa al suo interno, sembra abbia fermato l’orologio a decenni indietro; la dirigenza socialista – con le correnti massimalista e protocomunista che premono – pare inadatta a gestire, anche nello spirito pubblico, la fase complessa della smobilitazione di centinaia di migliaia di soldati, che poi altro non sono che lavoratori (contadini, operai ed artigiani, impiegati e professori) che debbono tornare alle loro attività e troppo spesso non sono riconosciuti nel sacrificio compiuto nelle trincee e negli assalti; quella cattolico-popolare, a radicamento rurale, poggia su un retroterra ecclesiale politicamente ancora immaturo, dopo mezzo secolo di divorzio dallo Stato.
Sorgono nell’isola, come coordinamento delle sezioni aderenti all’Associazione Nazionale Combattenti, le due federazioni in capo a Sassari ed a Cagliari, da cui germinerà il sardismo, ma anche lì c’è un’incredibile babele di lingue, pur nell’urgenza delle richieste sociali, poi anche politiche, rivolte al governo nazionale, soprattutto come adempimento delle promesse di riforma agraria: la terra ai braccianti.
Fra il 1919 ed il 1921 – quando ha dunque fra i 18 ed i 20 anni ed è fresco del suo doppio lutto familiare per il fratello e il padre che se ne sono andati nel giro d’un anno – Silvio partecipa attivamente alle dimostrazioni di massa che frequentemente investono Cagliari. Ricorda, Pintus, un suo intervento, a nome del Partito Repubblicano Italiano, in un comizio a molte voci in piazza del Carmine.
Nello stesso tempo si sa di suo fratello maggiore Francesco – Cicito – che anima la cooperativa agricola fra i combattenti di Ussana. Nel biennio 1919-1920 i soci oscillano sulla cinquantina, toccando anche i 67.
Oltre a fare (organizzazione) ed a parlare (comizi), Silvio esprime la sua vitalità di giovane democratico scrivendo. Collabora con il periodico repubblicano L’Iniziativa, cui invia il suo obolo di sottoscrittore (già all’inizio del 1919) ma anche e soprattutto i suoi articoli. Fra quelli firmati o almeno siglati, il suo biografo Aldo Borghesi ne ha censiti sette. I titoli danno chiara l’idea dei contenuti, più spesso di battaglia che non di pura cronaca, pur se la cronaca non manca mai (e si vedrà poi).
Eccoli: “Nuovo fascio mazziniano”; “Associazione Anticlericale. Battute elettorali”; “Per la Sardegna repubblicana. Due parole chiare”; “Movimento a Cagliari. Vita nuova. Comizio contro il carovita”; “Ai repubblicani di Sardegna. In tema di organizzazione”; “La libertà di insegnamento” (si tratta del commento ad un articolo del segretario nazionale del PRI sulla scuola secondaria superiore); “Propositi e lavoro in Sardegna. Ai repubblicani dell’isola.”
In linea anche con tutta la tradizione del giornalismo mazziniano (Mazzini ha diretto o ispirato molte testate e i suoi eredi o epigoni – anche sardi, da Giorgio Asproni a Giovanni Battista Tuveri a Vincenzo Brusco Onnis – hanno fatto lo stesso), l’impegno pubblicistico sarà una costante della presenza sulla scena del giovane Mastio, che si rivela così autenticamente missionario, nella logica mazziniana del “pensiero e azione”: la semina attraverso la parola e lo scritto, e l’organizzazione con l’impegno in prima persona.
Proseguirà nel tempo pubblicando articoli su La Voce Repubblicana, che viene fondata, come quotidiano, nel gennaio 1921. Fra gli articoli che gli sono attribuiti dal suo biografo – questi fra 1922 e 1923 – ecco in successione: “I giovani”; “Rievocazione mazziniana a Cagliari. Un discorso dell’avv. Senes”; “Per un’azione repubblicana in Sardegna”; “Vittoria di metallurgici a Cagliari”; “Dopo la fusione tra sardisti e fascisti. Un amaro ammonimento del dott. Bellieni”; “I pericoli dell’agnosticismo politico”.
Né è da tacere, a tal proposito, il contributo finanziario che anche dal giovane (e ancora privo di un reddito suo) Silvio Mastio viene al giornale del partito nell’autunno 1923 quando una sottoscrizione «per la libertà e l’incremento della stampa repubblicana» (sostitutiva di un prestito a fondo perduto di £. 200.000 impedito dal tribunale di Roma) mobilita l’intera militanza delle regioni e perfino dell’estero (dall’America alla Svizzera, dalla Francia all’Egitto o all’Eritrea). Perché allora con le sezioni di Sassari e di Cagliari (anche per onorare il nome di Amerigo Rossi «morto nella grande guerra per una Italia Repubblicana»), e con dirigenti come Eugenio Mulas e Gonario Pinna, e con Emilio Lussu, s’iscrive anche lui con una quota di cento dignitosissime lire.
Egli chiuderà questa fase giornalistica, alla fine del quinquennio 1919-1924, condirigendo con Raffaele Angius – esponente di primo piano e bella figura del Partito Sardo d’Azione, in gioventù (prima della guerra) militante anch’egli repubblicano – il quotidiano Sardegna. Saranno 15 numeri soltanto, alla vigilia delle elezioni parlamentari del 1924, e sostituiscono nell’edicola sardista Il Solco, che da un anno circa ha dovuto sospendere le pubblicazioni.
E’ di poche settimane successive al turno elettorale la visita che il re Vittorio Emanuele III compie in Sardegna per la inaugurazione della diga sul Tirso. Nel suo lungo tragitto campidanese passa per vari centri: fra essi c’è anche Ussana, il paese dei Sedda. Monarchia e fascismo – tutto il contrario di quello in cui crede Silvio – sono concentrati in una liturgia civile e patriottarda che appare sgradevole. La sera del 28 aprile sono tutti in fila a rendere omaggio al sovrano: il Consiglio comunale al completo, la squadra della sezione locale fascista, le due scolaresche con i rispettivi insegnanti e vessilli nazionali, e poi anche le squadre fasciste di Dolianova, Serdiana, San Sperate, Monastir. «Viva il Re, viva Casa Savoia, viva Mussolini».

Il repubblicanesimo di Mameli e di Oberdan
I filoni della riflessione ideale e politica di Silvio Mastio, e delle sua azione di dirigente di partito, sono adesso essenzialmente due: repubblicanesimo ed antifascismo. Il patriottismo ora si chiama antifascismo.
Dire repubblicano in anni di monarchia è dire un sogno, o un’utopia: ciò sia riguardo all’impianto costituzionale dello Stato – la Corona controlla la diplomazia e i vertici militari ed esprime, anche in tempi di liberalismo, il volto conservatore dello Stato –, sia riguardo alle politiche d’impatto effettivo sulla popolazione, tanto sul piano delle libertà civili quanto su quello dell’organizzazione socio-economica.
Dire e dirsi antifascista significa più cose ancora: significa comprendere le dinamiche profonde – origini e sbocchi – del movimento rivoluzionario/reazionario che si fonda sullo scontento popolare che esso strumentalizza per sbocchi autoritari, mentre guarda allo Stato come ad una preda; significa giudicare le possibilità e modalità concrete, non soltanto teoriche, di opporsi ad esso mobilitando risorse di partecipazione diffusa; ma significa anche comprendere come si possa (e se si possa) concertare con altri un’azione di contrasto efficace e non soltanto testimoniale: perché il fronte democratico appare diviso al suo interno da mille reciproche pregiudiziali ideologiche.
Al Partito Repubblicano sono giunte, all’indomani della fine della grande guerra, molte adesioni un po’ da tutt’Italia. C’è una quota di opinione pubblica – naturalmente si tratta pur sempre di minoranze – che ha guardato con simpatia alla bussola repubblicana nella grave contingenza bellica. Intanto per la partecipazione generosa in colonne di volontari, ora nelle Argonne francesi ora nei campi serbi, ma prima ancora per le ragioni stesse dell’interventismo democratico, che non sono state ovviamente le stesse che hanno ispirato i nazionalisti, al capo opposto dello schieramento politico.
Per il movimento repubblicano la grande guerra è stata da intendersi come compimento del processo di indipendenza nazionale, perché si trattava di portare Trento e Trieste e le altre terre e popolazioni di lingua e cultura italiana, entro i confini della patria, emancipandole dalla condizione irredenta nella prigione austro-ungarica. Per questo i repubblicani sono stati sempre dietro le proteste degli universitari, e dei sudditi vogliosi di diventare cittadini, molti dei quali hanno pagato con la vita gridando fino all’ultimo «Viva l’Italia»: bastino i nomi di Guglielmo Oberdan, studente impiccato 24enne nel 1882, o di Nazario Sauro, ufficiale di marina impiccato 36enne nel 1916, ma anche del repubblicano-socialista Cesare Battisti (che aveva visitato Cagliari e Sassari alla vigilia del conflitto, nel dicembre 1914) pure lui impiccato nel 1916.
Una morte, la loro, degna di quella di tanti eroi – non santini, ma uomini e talvolta ragazzi in carne ed ossa! – del nostro risorgimento, di Goffredo Mameli figlio di cagliaritano anche, caduto nella difesa della Repubblica Romana del 1849; lui aiutante di Garibaldi negli scontri con l’esercito francese alleato di Pio IX:
«mi chiese supplichevole di lasciarlo procedere avanti ove più ferveva la pugna – scriverà il Generale alla madre di Goffredo – … dopo pochi minuti mi passava accanto gravemente ferito, ma radioso, brillante nel volto di aver potuto spargere il sangue per il suo paese… gli occhi nostri s’intesero nell’affetto che ci legava da tanto tempo; egli proseguiva come in trionfo. Io non rividi più l’amico del cuore».
Gli amputarono una gamba ma la cancrena non si fermò. Gli scrisse allora Mazzini: «Non posso venire io Goffredo mio, ma… sono con voi in ispirito e soffro con coi, che avrei dato anni di vita per salvarvi, giovane e prode come siete, dall’amputazione… Vi resta l’ingegno, vi resta il core e queste sono le migliori parti di voi… io vi sarò, finché vivo, il migliore amico e fratello che possiate avere».
Questa era la tempra degli uomini di fede, e quella religione della patria democratica (non nazionalista) italiana è ora passata – dalla stagione di Mameli e per altre tre generazioni in successione – fino a giovani come Silvio Mastio (e Cesare Pintus) e altri che, appunto, alla fine della guerra e in tutte le regioni, si avvicinano al repubblicanesimo.
Piace, di queste idealità e di questo movimento politico, la radicalità della testimonianza ma anche, ovviamente, la lucidità degli obiettivi: l’Europa deve procedere d’urgenza alla riformulazione dei rapporti fra gli Stati, purificati dall’emancipazione dell’irredentismo e proiettati in una logica di coesistenza in pari dignità e con organismi sovranazionali, in vista anche di una Federazione Europea, che sarebbe poi un ripasso del tema mazziniano di ben novant’anni prima, quello della Giovine Europa.
Di Federazione Europea i repubblicani hanno riparlato – uomini di speranza contro ogni evidenza – addirittura nel febbraio 1916, a macello in corso, in un loro convegno nazionale.
Celebrando la vittoria, il 4 novembre 1918 la direzione nazionale del Partito Repubblicano Italiano ha diffuso un documento degno del miglior Mazzini: «La pace giusta e duratura potrà essere assicurata solo dalla Società delle Nazioni. Solo col disarmo generale, coll’abolizione della diplomazia segreta, col diritto di pace e di guerra trasferito dalle dinastie ai popoli, sarà possibile assicurare alle nazioni una giusta e libera convivenza».

Dal 1919 la militanza/leadership repubblicana
Il 1919 – il primo del dopoguerra e della traversata pubblica di Silvio Mastio – è un anno di grandi trasformazioni politiche. Si concluderà con le elezioni politiche all’insegna del suffragio universale maschile e dello scrutinio proporzionale; le grandi forze organizzate (dal Partito Popolare di don Sturzo, di recentissima costituzione, al Partito Socialista turatiano ma estremamente composito al suo interno) porteranno a Montecitorio tanti deputati da costringere la galassia liberale, che ha governato l’Italia per un mezzo secolo e oltre, a venire a patti con la novità, di fatto sfibrando ancor più l’equilibrio politico.
Anche perché il 1919 è pure l’anno dei primi fasci mussoliniani, l’anno delle ingiuste umiliazioni alle masse dei reduci che tornano a casa, l’anno delle suggestioni leniniste in parte della sinistra politica.
Il PRI che nel quadriennio di guerra ha sofferto un’autentica emorragia nei suoi quadri – e per la pronta risposta alla prima chiamata, e per la corsa all’arruolamento volontario di tanti che avvertono l’urgenza del soccorso latino alla Francia – ha anch’esso da pensare ai suoi problemi, che non possono certo essere annullati dalle nuove simpatie acquisite per merito qua e là...
Diversi suoi esponenti, nel superiore interesse nazionale, soprattutto dopo Caporetto, hanno abbandonato quasi ogni distinguo di dottrina e collaborato con il governo del re (un suo dirigente – Comandini – è diventato ministro della propaganda ed assistenza, un altro – Chiesa – ha guidato l’alto commissariato dell’aeronautica).
La nettezza ideologica è sfumata sotto la pressione degli eventi; in più o per contro, nella militanza, agli anziani dei tempi “furiosi” dell’anticlericalismo e dell’irredentismo, si sono affiancati numerosi giovani, meno attrezzati ideologicamente o meno legati alla tradizione, ma carichi, o sovraccarichi di ansia sociale e rivoluzionaria.
Mastio appartiene a questa area generazionale, anche se lui muove da robuste idealità e buona conoscenza della tradizione.
La parola d’ordine per i repubblicani, nel 1919, è “Costituente” (superamento cioè dello Statuto Albertino). Fra gli altri aderiscono ad essa, con l’Unione Socialista Italiana, i sindacati più rappresentativi: la Confederazione Generale del Lavoro e l’Unione Italiana del Lavoro.
Purtroppo però il grande progetto si infrange, prima ancora che tra i flutti dell’avversario, tra le incertezze e divisioni degli stessi proponenti. Troppi e troppo concentrati nel tempo sono i lanci di sassi nell’acqua ideologica rimasta calma per cinque anni, mentre sui campi di guerra ci si scannava. Il partito di Mastio rimane imprigionato nei dilemmi.
Le questioni: restare nel fascio dei partiti interventisti collaborando ai testi dei trattati di pace? combinare addirittura con i nazionalisti per ottenere l’annessione all’Italia della Dalmazia, del Brennero, di altri territori oltre confine, e magari partecipare con lo stesso spirito annettente di Francia e Inghilterra al tavolo di pace di Versailles? combattere il bolscevismo del PSI transigendo con la monarchia e facendo fronte comune con altre formazioni moderate (replicando il Mazzini avversario della Comune parigina del 1871)? insomma, come impegnarsi in una politica di sinistra, e, nel contempo, non lasciarsi condizionare dalle suadenze del socialismo dottrinario, dai dogmi della lotta di classe e dell’unità proletaria internazionale?
Grandi questioni. Alle elezioni di novembre i repubblicani pagheranno l’incertezza di dirigenza e militanza: i suoi deputati scenderanno – anche per il cambio di sistema elettorale – da 17 a 4 per 80.000 voti.
C’è ancora confusione, ed emotività a mille, al congresso di Roma, all’indomani del voto: partecipano numerosi reduci e anche mutilati; si ha, comunque, il coraggio dell’autocritica e di guardare all’oggi e al futuro.
E’in questo quadro che Silvio Mastio giovane neppure ventenne, militante con naturale vocazione di leader, gioca la sua battaglia politica a Cagliari, iniziando dal suo partito ma per allargarsi poi al complesso fronte antifascista.
Pozzi, il segretario della sua sezione (che non ha neppure sede e si fa ospitare dalla Camera del lavoro), è per la linea di netta avversione al socialismo leninista e quindi – in accordo con le associazioni combattenti – anche contrario alla partecipazione ad uno sciopero internazionale di solidarietà con le repubbliche russa e ungherese minacciate militarmente, nell’estate 1919, dalle potenze dell’Intesa franco-britannica.
Il manifesto affisso dalla Camera del lavoro dice cose forti: «I reazionari, gli affamatori del proletariato, annidatisi nei pozzi neri delle questure e delle varie Case del popolo, consigliano il proletariato a negare la loro solidarietà agli affamati ed agli oppressi di tutto il mondo. Queste pseudo organizzazioni questurinesche a capo delle quali vi sono moltissimi generali ma pochi soldati incitano, anzi invitano la cittadinanza a lasciarsi affamare, calpestare, assassinare dal primo aguzzino che capiti tra i piedi.
«Lavoratori! Proletari! Agli affamatori, ai complici di tutte le sofferenze che il popolo à sofferto, rispondete con le parole di Cambronne: Merde!
«Oggi il vostro pensiero, l’azione fattiva dei lavoratori sia rivolta verso i popoli Russo e Ungherese sorti a nuova e libera vita. Il vostro pensiero sia rivolto agli infelici che, negli ergastoli, scontano il loro odio alla infame guerra! Il vostro pensiero sia rivolto ai figli che, lontani dalle loro case, marciscono nelle putride caserme…»
Ma se la sinistra estrema è impegnata a sostenere lo sciopero generale fissato per sabato 20 luglio, non così – nell’Isola – le altre organizzazioni popolari, politiche o sindacali: dall’Unione del Lavoro di Cagliari e provincia ai lavoratori postelegrafonici, dal Partito Popolare di recentissimo impianto ai combattenti e invalidi. E anche, appunto, la sezione repubblicana che, richiamandosi anch’essa all’invito diffuso di «astenersi dallo sciopero, perché non determinato da interessi economici, ma politici e rivoluzionari», notifica la propria contrarietà.
All’inizio, in verità, ci si era detti politicamente disponibili «in linea di massima con la riserva che essa (l’adesione) possa solo esprimere – così in un comunicato ufficiale – l’avversione della democrazia italiana contro la nefanda opera politica della diplomazia del governo monarchico in merito alla pace di Versaglia», deplorando ad ogni modo «le conseguenze di uno sciopero che arresta la vita e la produzione nazionale».
In limine, comunque, lo sciopero viene sospeso (nell’Isola esso si sarebbe incrociato con quello dei ferrovieri, dichiarato per ottenere dal governo il riscatto della rete ferroviaria delle Reali). La Camera del lavoro irride ai… sabotatori, inclusa la sezione repubblicana: «Lo sciopero generale che virtualmente avrebbe dovuto iniziarsi domani e contro il quale i nostri avversari – a incominciare dalla questura e i suoi surrogati per finire nella Sezione di Cagliari del partito repubblicano e nella Unione del Lavoro dei preti – avevano già messo in opera le arti più subdole e più sleali, d’ordine della Confederazione Generale del Lavoro, non deve attuarsi».
Mastio diciottenne e altri con lui hanno contestato e contestano la linea della segreteria politica locale e si richiamano al documento approvato dal Comitato Centrale del partito che esprime un indirizzo tutto diverso: «In occasione dello sciopero di protesta contro la pace di Versailles, promosso dalla Direzione del partito Socialista Italiano, e che sarà effettuato dal proletariato francese con la platonica adesione del proletariato inglese;
«constatato che i lavoratori italiani, mentre si contestano ostinatamente indiscutibili diritti della nostra nazione, hanno ancora una volta dimostrato il loro idealistico disinteresse associandosi alla tacita complicità dei lavoratori inglesi e francesi per la conclusa pace di ingiustizia e di violenze;
«rinnova la sua esplicita avversione al trattato di Versailles che tradisce i principi mazziniani per i quali il P.R. volle la guerra e la pace vittoriosa; principii che nei quattordici punti di Wilson avrebbero dovuto, secondo le solenni promesse fatte ai popoli vinti e vincitori, regolare il nuovo assetto internazionale del mondo e che in realtà non servirono che a porre germi di nuovi conflitti;
«afferma la sua fede che in un avvenire non lontano un più sereno esame degli interessi comuni, da parte dei popoli diventati padroni delle loro sorti, imporrà una revisione del trattato per eliminare tutti i motivi di nuovi rancori e di nuovi conflitti;
«condanna la politica di intervento armato in Russia e in Ungheria, affinché anche per ammaestramento comune l’esperimento bolscevico abbia il suo completo sviluppo, reclama una rapida smobilitazione, perché si affretti al ritorno alla vita normale e pacifica del lavoro;
«con questi criteri aderisce allo sciopero generale di 24 ore».
Anche Mastio, dunque, vuole solidarizzare. Perciò disobbedisce ai suoi dirigenti locali e sul quotidiano socialista di Cagliari – Il Risveglio dell’isola – firma una lettera con la singolare formula di «nucleo di giovani operai e studenti, mazziniani estremisti»: non basta più, scrive, essere un «centro di propaganda elettorale», bisogna guardare a un più largo orizzonte. Insomma, bisogna recuperare e rilanciare quell’afflato universalista che è proprio della democrazia di Mazzini e Garibaldi.
Ecco il documento, uscito nell’edizione del 31 luglio: «… teniamo a dichiarare quanto segue: che in seno alla sezione stessa esiste un nucleo di giovani operai e studenti, mazziniani estremisti, i quali restando fedeli alla pura concezione rivoluzionaria, separano nettamente la loro responsabilità da tutti coloro che approvarono e fecero pubblicare il manifesto del 20 della sezione repubblicana;
«che questi giovani, seguendo le tradizioni di chi fu anima e pensiero del Partito Repubblicano, si dichiararono favorevoli allo sciopero generale di 24 ore giusta anche i deliberati del comitato Centrale di Roma.
«Per conseguenza a tutti coloro che al movimento proletario negarono il loro appoggio e risposero con un “no” reazionario, noi giovani, fedeli alla tradizione mazziniana e garibaldina, essenza del pensiero repubblicano, fisa la mente alla barricata e alla carabina, gridiamo vibratamente ed energicamente: “non siamo, né saremo con voi” e sia il nostro grido un monito a tutti quei repubblicani sinceri che vogliono che la Sezione di Cagliari sia veramente una Sezione repubblicana e non un centro di propaganda elettorale».
La risposta degli organi sezionali è la più dura: egli viene espulso, con gli altri nove disobbedienti. E della delibera viene data notizia attraverso L’Unione Sarda (che la pubblica, a firma del segretario Pozzi, il 6 agosto): «La sezione di Cagliari del Partito Repubblicano Italiano, vista la lettera pubblicata dal socio Silvio Mastio a proposito dello sciopero internazionale nel n. 202 (31 luglio 919) del giornale “Il Risveglio dell’isola”, per sé ed a nome di un gruppo di altri soci;
«Considerato che tale lettera è ingiustamente e gravemente oltraggiosa per la Sezione stessa; «Vista la lettera in data 4 agosto corr. diretta al Segretario della Sezione e firmata dallo stesso Mastio e dai soci E. Piga, M. Perasso, E. Puxeddu, G. Ragazzo, F. Renis, A. Gariel, T. Asili, G. Pirisi e G. Zuddas, con la quale si ripetono i concetti contenuti nella detta pubblicazione, ad unanimità di voti delibera di radiare dall’albo dei suoi soci i detti Mastio, Piga, Perasso, Puxeddu, Ragazzo, Renis, Gariel, Asili, Pirisi e Zuddas».
Ma Silvio (con i suoi) non si perde d’animo e, fedele al pensiero positivo che lo distingue, dà vita ad una associazione che peraltro si dichiara aderente, su posizioni autonome, allo stesso Partito Repubblicano Italiano: è il Fascio mazziniano all’insegna di Patria e Umanità, di cui dà conto nel primo degli articoli, prima citati, usciti sull’Iniziativa.
Il circolo dura qualche mese – dal settembre 1919 – e , come emerge dalle stesse corrispondenze al periodico, si fa promotore della ricostituzione del Fascio Anticlericale d’Azione (ultima edizione di una lunghissima e non ingloriosa serie di stampo bruniano che a Cagliari la sinistra radical-repubblicana, neppure legata alla tessera e invece quasi sempre accosta al movimento universitario, ha animato per almeno tre lustri). Al rinnovo parlamentare di novembre, esso poi si pronuncia per l’astensione, mentre la sezione ufficiale del partito è invece per l’appoggio alla lista dell’Elmetto espressa dall’ANC.
E’ proprio in queste settimane (novembre 1919) che muore Salvatore Mastio, il padre di Silvio.

Diciannovenne, il recupero della leadership
Fra giugno e luglio 1920, insieme con la maturità liceale Silvio agguanta la leadership della sezione, dopo la pacificazione interna: ne diviene il segretario e, nella sua nuova veste, interviene ad un pubblico comizio, insieme con gli altri esponenti dei partiti popolari e dell’ANC, contro il carovita.
E’ forse l’occasione del primo incontro importante con Emilio Lussu. Giovani entrambi – diciannovenne Silvio, 29enne Emilio, il mitico capitano ora fra i leader del movimento dei Combattenti in provincia di Cagliari – sono fra i protagonisti, la tarda sera di domenica 27 giugno, della manifestazione : prima il corteo dal Bastione alla via Manno, al largo Carlo Felice, alla piazza 27 Marzo (o del Carmine che dir si voglia); molti cartelli innalzati dai dimostranti hanno deprecato con gli “abbasso” il lusso ed il “pescecanismo”, il profitto di guerra che sarà presto messo al servizio della causa fascista anche in Sardegna ed a Cagliari…
Il tema è quello: contro «gli sfruttatori ed i parassiti che vivono alle spalle dei consumatori». Apre la serie dei comizi il popolare Mastino, tocca poi a Silvio per i repubblicani seguono Lixi per i socialisti e De Martino per l’Unione del Lavoro, quindi Ciuffo per il circolo giovanile socialista. Chiude Lussu per i combattenti.
Molti applausi ed approvazione, ovviamente per acclamazione, di un ordine del giorno proposto da Lussu stesso che lancia la sfida: lo sciopero degli acquisti, finché sarà possibile…
Comincia ad essere conosciuto nel mondo della politica, e dalla gente, Silvio. Il partito lo rispetta ed ammira per il dinamismo, ma egli è ancora minoranza, e deve coabitare con un direttivo costituito da compagni con i quali, per essere essi più maturi d’età e lontani di mentalità, l’intesa non è ottimale.
Sono questi ultimi, peraltro, che – ad ottobre – riusciranno ad essere eletti, con il listone liberal-democratico di Ottone Bacaredda, nel nuovo Consiglio comunale di Cagliari: Agostino Castelli, Raffaele Meloni, Enrico Nonnoi, Pietro Spano (con Mario Lay primo dei non eletti). Castelli e Nonnoi entrano perfino in giunta. (Va rammentato che, in questa fase, se la maggioranza dei repubblicani cagliaritani è per l’accordo con i liberali, a Sassari il PRI conferma il cartello con i combattenti/sardisti).
L’intransigenza di Silvio Mastio – che adesso ha come referente politico, a Roma, Fernando Schiavetti, nuovo segretario nazionale – è anche modernità di visione, oltre che consapevolezza della gravità dell’ora. Ha ben scritto Borghesi, affermarsi con lui – leader ora ventenne d’un partito antico e onorato – «la propensione… (ad) un attivismo che proietti fuori dal chiuso delle sezioni e degli sterili contrasti dottrinari, verso l’esterno e nel vivo della lotta politica le idee-forza e le proposte del PRI».
Scadenza prioritaria per i repubblicani sardi deve essere – a suo avviso – «la realizzazione di un efficace coordinamento tra l’attività dei gruppi di Cagliari e Sassari, che devono diventare poli di riferimento per le forze sparse» sul territorio, cioè per gli aderenti isolati, «in modo da poter giungere in tempi brevi alla ricostituzione della Federazione regionale».
Anche di questo discuteranno i quadri repubblicani della provincia riuniti nell’autunno del 1920 ad Oristano: collegarsi organizzativamente con i compagni di Sassari e con quelli delle varie isolette, dove l’adesione ideale non si è mai trasformata in militanza.

Gli anni 1921-1922
Nel 1921 risorge il conflitto interno, ma stavolta è Mastio, con placet nazionale, ad espellere il suo competitore disobbediente Enrico Nonnoi – avvocato e letterato, esponente del partito da un quarto di secolo e più volte candidato e alle amministrative e alle politiche: questi ha dichiarato la sua simpatia per una “listaccia” che, forse impropriamente, è stata definita “della Massoneria” e che, comunque, non si presenterà alle elezioni di maggio.
Alla conta i repubblicani migliorano, a livello nazionale, la loro forza parlamentare, eleggendo 6 deputati. In ambito regionale, sono paghi del successo sardista e del debutto a Montecitorio di Emilio Lussu (insieme con altri tre colleghi dello stesso Partito Sardo d’Azione formalmente costituitosi appena un mese prima, il 17 aprile).
In tale contesto temporale – comprensivo anche, per strano che possa sembrare, del servizio di leva militare svolto nella capitale, perché studente universitario, come sergente allievo ufficiale –, Mastio promuove, aderendovi personalmente, la ricostituzione del circolo giovanile: statutariamente autonomo dal partito e in qualche misura suo araldo, esso è intitolato a Vincenzo Brusco-Onnis – come quello di Sassari si intitola ad Efisio Tola e quello di Nuoro alla Gioventù ribelle.
Meriterebbe qui ricordare che la Federazione Giovanile Repubblicana ebbe la sua prima presenza organizzata a Cagliari nel 1904, giusto al lancio – ma in logica quasi di autocefalia, secondo volontà spontanea dal basso e non per strumentale scelta del vertice – dell’organizzazione a livello nazionale. Fu all’indomani del congresso nazionale repubblicano svoltosi a Forlì nel 1903 (che un movimento giovanile autonomo aveva escluso dalle stesse ipotesi organizzative del movimento) che i gruppi giovanili presenti e attivi dentro e a fianco delle sezioni del partito presero a darsi regole statutarie autonome, a costituirsi in cosiddetti Fasci, cosicché infine, a Terni, vide la luce il giorno di Santo Stefano del 1904 la Federazione Giovanile Repubblicana. Con una missione che miscelava il dato istituzionale e quello movimentista,la predicazione e l’antimilitarismo. Anima di tutto – come ben ricorda il libro La libertà, la repubblica, l’altra Italia di Roberto Balzani e Davide Giacalone con prefazione di Giovanni Spadolini e introduzione di Giuseppe Galasso – , un quindicenne anconetano, Oddo Marinelli, prima sponda isolana il sassarese Renzo Mossa, prossimo giurista di fama internazionale. Così dal 1904 anche a Cagliari (come a Sassari con il Giuseppe Giordano Sanna) cominciò l’attività del Fascio giovanile che si volle giustamente intitolare ad Efisio Tola, il fucilato di Chambery perché aderente alla Giovine Italia.
Il 1921è l’anno del rilancio del movimento giovanile repubblicano in tutt’Italia: novemila i tesserati, ma qualcuno fa calcoli diversi e arriva addirittura a quindicimila. Si svolge un congresso – l’ottavo della serie – a Roma, a febbraio, e vi interventono150 delegati dei trecento o forse quattrocento circoli di tutte le regioni. L’organo settimanale della Federazione è L’Alba repubblicana che ha un’ottima tiratura e pari energia spende contro l’incalzare delle violenze fasciste (cui ormai si oppongono le Squadre d’Azione o le Avanguardie) e contro le deviazioni o le deformazioni del pensiero mazziniano che si ritiene siano predicate qua e là da ex militanti fattisi progressivamente transigenti anche verso la monarchia.
Dopo la cosiddetta marcia su Roma, il giornale della FGRI raddoppierà il suo formato e rafforzerà la sua critica al governo che ogni giorno di più si fa regime, e surrogherà se stesso, vittima insieme con La Voce Repubblicana dei ripetuti sequestri di polizia, con un’infinità di volantini e manifesti diffusi ovunque (uno tutto contro il re Vittorio Emanuele III complice spudorato di Mussolini) e perfino con un numero unico intitolato L’Idea Repubblicana
L’indirizzo politico intransigente della FGRI, alla sinistra del partito, avrebbe messo sempre più in guardia la maggior comunità repubblicana, sensibile ovviamente ai rischi imposti dalla incipiente dittatura, da una sottovalutazione del permanente pericolo costituito dalla monarchia Savoia e dalla sottovalutazione dunque dell’equivoco rappresentato da una opposizione costituzionale di fatto conservatrice delle regole statutarie.
Nel 1921 ricostituisce, Mastio, anche la sezione politica intitolata, non a caso, a Mazzini; ed inizia a collaborare a La Voce Repubblicana (dopo un biennio cederà l’ufficio di corrispondente a Cesare Pintus). Dalle autorevoli colonne del quotidiano porta alla ribalta nazionale l’intensa attività politica ed organizzativa che svolge nell’isola.
Tra febbraio e luglio dello stesso 1921 vengono a Cagliari, per illustrare il programma autonomistico (e magari anche per celebrare Giordano Bruno), prima lo stesso segretario nazionale Schiavetti, poi Oliviero Zuccarini, il teorico del moderno federalismo repubblicano e “ponte” ideologico verso il sardismo. Sono posizioni, le prime soprattutto, che rafforzano la leadership di Mastio. Un cui coetaneo – Anselmo Contu – parlerà di “Mazzini e i tempi moderni” nel nuovo circolo La Giovane Sardegna, giusto nell’anno anniversario della fondazione del Partito Sardo d’Azione (aprile 1922).
Dalla stampa locale – dai cagliaritani Il Solco e Il Risveglio dell’isola alla sassarese La Nuova Sardegna – sappiamo che egli partecipa un’altra volta ancora a un comizio collettivo in piazza 27 Marzo (o del Carmine), stavolta per celebrare la festa del lavoro. E’ il 1° maggio 1922.
Come quell’altra volta contro il carovita, sono cinque o sei gli oratori che si susseguono rapidamente nella tribunetta per confermare le già note posizioni della propria parte: apre stavolta il segretario della Camera del lavoro Matteucci, segue lui – Silvio – per il repubblicani, quindi ecco Carmine Orano per i socialisti, l’operaio Cipriani per la FIOM, l’on. Corsi per il gruppo parlamentare socialista, Alberto Figus (repubblicano in gioventù) per i comunisti da un anno anch’essi sulla scena politica. Mancano i sardisti: Lussu è stato trattenuto a Calasetta, e non ha potuto inviare altro che la sua adesione.
Lo scenario sta cambiando rapidamente. La pressione dark si fa sempre più pesante con le minacce, le prepotenze, le violenze e anche con la copertura de L’Unione Sarda.
Il quotidiano, nato liberale con Cocco-Ortu, è ormai di proprietà di Ferruccio Sorcinelli – il padrone della miniera di Bacu Abis diventato multimiliardario, negli anni della grande guerra, con le sue forniture di carbone al governo, e schieratosi da subito, nel dopoguerra, col fascismo, da lui utilizzato per difendere i propri interessi economici (con i picchiatori e ora, appunto, anche con il giornale).
Nell’estate dello stesso 1922 si sviluppa una dura polemica fra un redattore de L’Unione Sarda, tale Mariano Cugusi, e il maggior esponente repubblicano di Sassari nonché corrispondente dall’Isola de Il Giornale d’Italia, l’avv. Michele Saba (che nei decenni avvenire farà tre volte il carcere per antifascismo).
Tutto nasce dai commenti, opposti fra le due testate e rimbalzati anche sulle colonne de La Nuova Sardegna, circa i negativi risultati elettorali del Partito Sardo d’Azione nel Sassarese alle provinciali di quell’estate. La cosa poi degenera: c’è una denuncia di Saba – repubblicano ma amico del PSd’A – al procuratore del re, c’è una proposta di Cugusi di sistemazione cavalleresca (col duello cioè), c’è un alterco manesco (dalle contrastanti versioni) in Sassari.
Silvio Mastio prende le parti, ovviamente, del compagno di partito, pubblicando su L’Unione una lettera che viene, altrettanto ovviamente, irrisa dalla direzione fascistizzata del giornale tanto più nelle parti che rivendicano originalità e irriducibilità repubblicana, nell’ideale e nella testimonianza, nonostante la prossimità al movimento dei Combattenti ed al Partito Sardo d’Azione. Lo sguardo è sempre volto, infatti, ai valori universali di giustizia, libertà e democrazia, non meno che ai pur sacrosanti interessi socio-economici della Sardegna, che costituiscono l’obiettivo primo (e per taluni esclusivo) del sardismo.
Scrive fra l’altro Mastio: «Non è niente vero, anzi tutto, che l’essere repubblicano sia una ragione di più per appartenere al PSd’A in quanto gli iscritti al Partito Repubblicano Italiano non possono far parte di altri partiti politici… In secondo luogo, a proposito dei posticcini semi-guerreschi, cui potevano aspirare i repubblicani nei momenti dell’unione sacra, mi permetto ricordarLe che nel 1914 il primo a proclamare la necessità dell’intervento a fianco dell’Intesa, fu il Partito Repubblicano Italiano, che organizzò, fra l’altro, la spedizione garibaldina delle Argonne. Spedizione che costò molto sangue al nostro Partito e che riaffermò la fratellanza del popolo italiano con i combattenti per una causa molto giusta, molto alta che noi abbiamo servito».
E più oltre: «quando la politica della Monarchia Sabauda dimenticava, nei suoi patteggiamenti con l’Austria, gli italiani dell’altra sponda adriatica, fu precisamente il Partito Repubblicano che rialzò le sorti del pensiero irredentistico e rivendicò l’italianità delle terre irredente al Parlamento, attraverso la parola di Giovanni Bovio e di Matteo Renato Imbriani…».
Così, irridendolo e sempre senza argomenti, risponde il giornale: «Bravo il signor Mastio! Dimostra che già ha cominciato a leggere la storia Patria e da bravo figliolo ne dà un piccolo saggio, con qualche errore. Non fa nulla… Ci saluti tanto il suo amico Michele Saba e si riguardi la salute».
Comunque, non è che Mastio ed i repubblicani s’aspettino niente dai fascisti de L’Unione Sarda. Sono paghi di quel che sono e sanno. A marzo dello stesso 1922 hanno pubblicato, come sezione intitolata a Giuseppe Mazzini, un manifesto celebrativo del nuovo anniversario – ora è il 50° – della morte del Profeta della democrazia italiana: per invocare dalla sua memoria il risollevamento degli «animi dalla morta gora in cui diguazzano tra piccoli uomini e tristi cose», l’educazione dei «cuori alla virtù del sacrificio, allo sprezzo delle petulanze ingloriose», la salvezza dal «camaleontismo dei raggiratori naturalisti»…
La commemorazione ufficiale, al Politeama Margherita, organizzata dall’Associazione universitaria, l’ha tenuta, domenica 17 marzo, l’avv. Agostino Senes di Oristano, e Mastio ne ha fatto la cronaca per La Voce Repubblicana.

Le squadre d’azione e il primo arresto
E’ ancora in questo contesto che Mastio si distingue tra gli organizzatori delle squadre d’azione (democratiche) che contrastano le altre squadre, quelle dei picchiatori.
Gli episodi più noti, perché più cruenti, sono quelli della fine di novembre del 1922, nei giorni della fiducia parlamentare al primo governo Mussolini: quelli che vedono il sacrificio del giovane sardista Efisio Melis – carrettiere di 27 anni – infilzato per non aver voluto salutare un gagliardetto fascista, nella zona di via Sonnino, verso il Macello, e che hanno già visto l’aggressione a Emilio Lussu, deputato al Parlamento, che per questo dovrà passare – con commozione cerebrale – alcune settimane in ospedale.
Il calendario delle violenze è noto e coinvolge uomini e cose. Cose che valgono gli uomini, perché sono la loro testimonianza morale e civile. Mercoledì 20 le squadre fasciste sequestrano e incendiano («per ragioni d’igiene», scriverà l’indomani L’Unione Sarda) tutte le copie del Solco «messe in circolazione dal letamaio di via Porcile». Giusto commento dei dark di Terrapieno: «I falò hanno dato un aspetto gaio alle vie cittadine… purificate». Perché è il verbo “purificare” quello che meglio, in questa stagione, rende comprensibili intenzioni ed azioni: «Nella giornata d’ieri si sono verificati alcuni tafferugli tra fascisti e teppisti in camicia grigia, i quali ultimi hanno naturalmente pagato a caro prezzo l’improntitudine e la provocazione che da tempo avevano elevato a sistema. Come si vede i fascisti questa volta fanno sul serio e tutto fa sperare che manterranno quanto hanno promesso: di purificare cioè, nella incapacità delle autorità, la vita cittadina dal teppismo elevato al grado di organizzazione politica dalla libidine antifascista di un incosciente e di un deficiente, disonorevoli entrambi».
E’ in questo stesso contesto anche temporale che viene violata anche la sezione repubblicana. Se ne dà vanto, ancora una volta, L’Unione Sarda, il 22 dicembre 1922: «Ieri sono stati occupati dai fascisti i seguenti covi: Cooperativa rossa Ferrovieri di via Cavour, Ufficio del Sindacato ferrovieri sardi di via Principe Amedeo, Sede dei sardisti in via Sonnino, Circolo giovanile sardista in via Torino e attiguo ufficio dei combattenti, la sede dei repubblicani e quella dell’impiego privato nel viale Regina Margherita. Il tutto eseguito senza spargimento di sangue. Durante tutta la giornata di ieri, sono state distribuite molte ed abbondanti purghe d’olio di ricino. Ieri mattina alcuni fascisti si sono recati nella casa del futuro… presidente della Repubblica sarda e ne hanno asportato la onorevole camicia grigia nonché alcune fotocopie. Sul tardi poi un corteo composto di oltre un migliaio di fascisti ha attraversato le vie della città, fra gli applausi della popolazione, al canto degli inni nazionali».
La politica vive di simboli, e le divise apparentemente militari, ma con la forza degli ideali civili, sono ripetutamente le protagoniste, sulla scena cittadina, dell’incontro-scontro fra partiti, correnti e fazioni.
Se i fascisti sono tristemente dark ed i nazionalisti azzurri, le squadre sardiste Forza Paris, Brigata Sassari e Giuseppe Garibaldi e Carlo Pisacane (quest’ultima in verità di tono piuttosto anarchico) indossano la camicia grigia, mentre tocca alle Avanguardie repubblicane intitolate a Mazzini – talvolta in assemblea nelle grotte della periferia cittadina – mettere la camicia rossa dell’Eroe dei due mondi: per confermare la sequela a un ideale patriottico e democratico.
Lussu, in una Memoria di Lipari pubblicata postuma (nel 1977), ricorderà quei «giovani repubblicani sardi, operai e studenti, i quali a Cagliari formavano col PSd’A un fronte unico di organizzazione, loro in pochi e noi in molti, contro le squadre fasciste». E comunque all’interno di uno schieramento di solidarietà democratica che giusto alla vigilia della famigerata “marcia su Roma” è così bollato in un manifesto che vanamente un certo “comitato segreto di azione” ha cercato di affiggere alle cantonate delle strade cagliaritane (e il cui testo è riportato da La Nuova Sardegna del 4.5 ottobre 1922): «Il fronte unico antifascista altro non è che una coalizione amorfa, che dovrebbe risuscitare un passato d’infamie, e garantire ai mestieranti della politica vecchi e nuovi, posizioni immeritatamente conquistate!... L’antifascismo, mosso dall’odio inestinguibile che cova in seno ad avversari mai disposti a vedere, nella nuova era di progresso iniziata dal fascismo, la condanna e la fine delle loro speculazioni politiche e dello loro lucrose fortune, ha ordinato e messo in opera la caccia al fascista… sappiano gli avversari, la cittadinanza e le autorità, che i fascisti non sono più oltre disposti a tollerare, ma puniranno e severamente, con rappresaglia fulminea ogni ulteriore gesto di violenza avversaria…».
Questa è la testimonianza di Cesare Pintus: «fu arrestato due volte dalle guardie regie durante i vivaci scontri con gli avversari politici. Una domenica, mentre imperversava la lotta tra i partiti e la polizia infieriva contro gli esponenti dell’antifascismo perquisendone i domicili, procedendo a fermi arbitrari e minacciando sempre più gravi repressioni Silvio, insieme con alcuni altri suoi coraggiosi compagni di fede, indossò la camicia rossa garibaldina ed attraversò impavido le vie cittadine suscitando allarme e stupore tra i fascisti che però non osarono torcergli un capello. Naturalmente, fu arrestato l’indomani e trattenuto in carcere alcuni giorni; ma la sua sortita dimostrativa diede coraggio ai pavidi e servì a rinsaldare le fila dell’antifascismo».
Borghesi, che ha visto le carte dell’Archivio Centrale dello Stato, ha rinvenuto nel Fondo del Ministero dell’Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Casellario Politico Centrale la traccia documentaria di questo attivismo: «All’inizio del 1924, Mastio era stato coinvolto in una ventata di perquisizioni insieme ad altri esponenti dell’opposizione cagliaritana».
Fra i più attivi è sempre lui, Silvio Mastio, che Lussu richiama come studente in chimica e che, dopo la laurea, se ne partirà per Cuba: «Ma la vita all’estero non sarà che un mezzo per continuare la lotta al fascismo e cadrà combattendo da maggiore dei “granaderos” in una spedizione in Venezuela contro il dittatore Gomez».
Le occasioni di contrasto al fascismo saranno diverse, e Mastio – fisicamente prestante e soprattutto fiero e audace, quasi spavaldo, di temperamento – sarà costantemente in prima fila. Ricorda in proposito Pintus che Lussu «che lo aveva caro per la comune fede repubblicana e che lo prediligeva per il coraggio fisico e l’audace fervore dell’iniziativa», gli donò, forse proprio in una di quelle occasioni, una fotografia con la dedica, veramente profetica: «A Silvio Mastio / goliardo / che ricorda / gli Eroi / di Villa Spada, e tutti gli audaci / dell’Idea». La data segnata è quella del 12 aprile 1924. (Pintus scrive di Villa Glori, ma il riferimento corretto è proprio a Villa Spada, ultimo riparo dei garibaldini nella strenua ma sfortunata difesa della Repubblica Romana del 1849).

La scissione sardista e il quotidiano “Sardegna”
Quelle perquisizioni domiciliari richiamate da Pintus sono documentate dalla stampa isolana nel febbraio 1924, quando anche più stretto e definitivo, può dirsi, si fa il rapporto con il Partito Sardo d’Azione che nella primavera dell’anno precedente ha subito una scissione dolorosa e massiva di dirigenti e di militanti i quali, nel nome della comune radice combattentistica, hanno aderito alla proposta di Mussolini (e del suo prefetto a Cagliari gen. Gandolfo) di confluenza nel PNF.
In cambio essi ottengono una doppia promessa: la guida effettiva, nell’Isola, del Partito Nazionale Fascista ed una legislazione che, se non sarà autonomistica, sarà però generosa nelle erogazioni finanziarie per l’infrastrutturazione idrica e rurale – bonifiche e dighe – soprattutto nella Sardegna centro-meridionale.
Certo, la solidarietà fra repubblicani e sardisti (o presardisti) è, s’è visto, di antica data: alle elezioni del 1919, ancora a quelle del 1921 – quando il candidato repubblicano avv. Senes sarà il secondo dei non eletti sardisti, con seimila preferenze – e ancora nel 1924, quando è Lussu l’uomo da votare nella circoscrizione di Cagliari, ed egli è intervistato da Pintus per La Voce Repubblicana. Oltre che con l’appoggio al simbolo elettorale dei Quattro Mori, tale rinnovata solidarietà si esprime nella condirezione del quotidiano Sardegna, alla vigilia della consultazione di maggio.
Da un anno ormai, dai fatti cioè del novembre-dicembre 1922, Il Solco sardista ha sospeso (dovuto sospendere) le pubblicazioni, e il vuoto è riempito, almeno all’inizio, appunto dal giornale di cui Raffaele Angius – avvocato, esponente sardista che conserva (se n’è accennato e potrebbe aggiungersi: al pari di altri, come Armando Businco) perfetta memoria della giovanile militanza nel Partito Repubblicano Italiano – assume la direzione, e Mastio – adesso 23enne – la responsabilità della redazione volontaria.
Con redazione e amministrazione nella sezione sardista di via Sonnino 19, dov’è anche la Tipografia Industriale che materialmente stampa il giornale, Sardegna – «quotidiano politico della sera» – esce dal 22 marzo all’11 aprile.
Certo, individuare gli articoli dovuti certamente alla penna di Mastio è fatica improba, anche perché il grosso dei redazionali – commenti, corsivi, ecc. – non sono firmati. Un solo pezzo è sottoscritto da lui. Esce nel n. 11 del 3 aprile, in seconda pagina, sotto il titolo su tre colonne “In giro di propaganda con l’onor. E. Lussu”.
Che la mano di Silvio Mastio sia attiva nella composizione del menabò è comunque evidente. Il richiamo frequente di distici mazziniani – di fianco alla testata e anche nelle pagine interne – fa pensare a un suo diretto intervento, anche se è da ricordare che lo stesso Solco, prima e dopo la sospensione delle pubblicazioni, riporta spessissimo le frasi d’oro della predicazione parlata e scritta di Giuseppe Mazzini:
«Senza libertà non esiste morale, perché non esistendo libera scelta fra il bene e il male, fra la devozione al progresso comune e lo spirito d’egoismo, non esiste responsabilità…. Dove non è libertà la vita è ridotta ad una pura funzione organica», «Amate la Patria e più ancora la Libertà», «Dio ci ha dato il pensiero: nessuno ha diritto di vincolarlo o sopprimerne l’espressione ch’è la comunione dell’anima vostra con l’anima dei vostri fratelli e l’unica via del progresso che abbiamo», «La libertà d’associazione fra i cittadini è sacra, inviolabile, come il progresso che ha vita in essa»…
Occorrerà anche ricordare che nella serie di Sardegna appaiono ripetutamente i contributi di Michele Saba e di altri esponenti anche nazionali repubblicani, notizie sulle candidature repubblicane nei collegi del continente, così come stralci dal quotidiano nazionale del PRI, ecc. E naturalmente anche il comunicato della sezione Mazzini, su doppia colonna e per tutta una prima pagina: «Col Popolo e per il Popolo! I Repubblicani di Sardegna si schierano a fianco del P.S. d’Azione».
Firmato «il gattino», a Mastio deve senz’altro riportarsi il corsivo che esce sul n. 13 del 5 aprile. Due giorni prima il PRI cagliaritano (che ha avuto segretari, dall’estate 1921, oltre a Mastio anche Gino Anchisi ed infine Anacleto Mereu – fratello della medaglia d’oro al valore militare Attilio), ha diffuso un manifesto elettorale pro-sardista scrivendo fra l’altro:
«Appoggiando la lista del Partito Sardo d’Azione e portando quindi il nostro contributo all’opposizione al governo fascista, noi intendiamo dare al nostro voto un significato di protesta anticostituzionale e antimonarchica; di solidarietà con gli oppressi e le vittime di un’antistorica dittatura; di sdegno e di rivolta per le sopraffazioni e le violenze in cui si riassume ormai la vita politica italiana.
«Noi intendiamo, o cittadini, concentrando i nostri voti sulla purissima figura di Emilio Lussu, interpretare l’anima eroica e rivoluzionaria di Vittorio Veneto, che rivive oggi non nelle dorate sale del Quirinale o di Palazzo Chigi, ma nel Popolo, forza eterna e varia, elemento principe della storia nazionale».
Ecco poi il corsivo di Mastio. Titolo “Repubblicani e sardisti”. Testo: «L’ultra-umoristico di Viale Trieste si è accordato (recte: accorto) finalmente che i soliti quattro gatti repubblicani hanno dato il loro fervido, sincero consenso alla nobile lotta intrapresa dal Partito Sardo; e, a sentirli, pare non siano contenti. Eh, via, non si spaventino i zelanti puritani a mille franchi al mese! Qui si tratta solo di quattro gatti, anzi di tre, perché proprio di questi giorni uno di essi, un gatto rosso rosso ha passato, dopo una crisi violenta di coscienza, il Rubicone. E non a guado stavolta, ma si è servito di una zattera un po’ tarlata: il Sale e Pepe. «Ah, le crisi di coscienza! Questa misera scusa poteva attaccare fino all’ottobre del 1922: ma oggi, no. C’è molta gente disposta a credere che si possa passare al Fascismo per lo stipendio, per la fame, per un posto, per un grado; non c’è nessuno che oggi creda a queste convulsioni di isterismo e di lacrime! «Ma il miagolio dei tre gatti superstiti pare dia tremendamente ai nervi ai redattori della Traversa di Sardegna… Hanno forse paura di perdere l’impiego! Si rassicurino: nessuna crisi, per ora. Avessimo dimenticato la tendenzialità repubblicana di Benito Mussolini, sulla quale soprassediamo per non dare un forte dispiacere a suo “cugino”».
Meriterebbe un’attenzione a sé lo scambio polemico, concentrato fra aprile e maggio, fra Mastio, o Sardegna, ed Il Giornale di Sardegna – che è il quotidiano dei fasciomori, in attesa di sottrarre L’Unione Sarda a Sorcinelli, che è fascista della prima ora e non ama quelli della seconda (i sardisti convertiti cioè, e anzi li combatte).
Basterà cogliere qualche passaggio soltanto per dare una idea della qualità. Scrive ilare il giornale dei sardo-fascisti: «A noi risultava che la Sezione repubblicana di Cagliari, che con tanto ardore sorregge la candidatura lussiana e ne contraddistingue il vero contenuto politico, era composta di soli quattro gatti. La Sardegna ci corregge ricordando che i quattro gatti sono oggi ridotti a tre.
«Eravamo effettivamente caduti in un errore. Però siamo in grado di dire, senza tema di smentita, che i tre gatti son ridotti soltanto a due poiché uno di essi, in omaggio al culto degli affetti familiari predicato dal verbo mazziniano, ha passato in buona compagnia di due angeli custodi l’arco della torre di San Pancrazio per godere le fresche aure del turrito Buon Cammino».
Interessante, anche per la biografia lussiana, è la cronaca del “giro di propaganda” che Mastio registra al seguito del leader sardista («Partiamo da Cagliari verso le tre del pomeriggio. L’auto fila rapidamente sullo stradale fangoso mentre la pioggia insistente e sottile tictaccheggia sulla capote della vettura…»). In sequenza i centri visitati sono Assemini, Uta, Siliqua, Vallermosa, Villacidro, Guspini, San Gavino, Collinas (la patria di Giovanni Battista Tuveri), Gonnostramatza, Masullas, Mogoro, Simala, Senis, Curcuris, Ales, Genoni, Nurgus, Barumini, Villamar… «Lungo la strada, alcuni gruppi di combattenti riconoscono il mio compagno di viaggio e gridano: Viva Lussu».

Le elezioni del 1924 e la missione in Tunisia
Al centro della competizione elettorale del maggio 1924 è – a vederla dalla parte di Mastio – la soccombenza, o la resistenza dei sardisti che debbono fronteggiare non soltanto l’avversario aggruppato nel listone fascista che conquisterà infine otto seggi dei dodici disponibili, ma anche le conseguenze più dirette della scissione del febbraio-marzo 1923. Non è però una debacle, per il PSd’A: i voti passano dai 35.000 del 1921 a 25.000. Colpita è invece la deputazione, che viene dimezzata.
I repubblicani hanno dato il loro meglio per l’affermazione dei Quattro Mori, per la difesa delle posizioni elettorali dell’alleato PSd’A. Su La Voce Repubblicana del 16 aprile 1924 Agostino Senes ha dottamente enfatizzato il senso dell’accordo con i sardisti. E’ un articolo importante questo di Senes – massone impegnato nella loggia di Oristano abbandonata invece da Paolo Pili, divenuto nuovo “duce di Sardegna” –, che ricorda come negli anni immediatamente precedenti il Partito Sardo, tutto preso dalle necessità ed urgenze della “piccola patria”, abbia dato la sensazione come di una sorta di indifferenza a quei valori universali che invece costituiscono il faro orientatore della democrazia repubblicana. E invece ecco emergere nel «Partito dei combattenti sardi» (che appunto sembrava aver smarrito «nel contingentismo di un’azione pratica localizzata ad una pura questione regionale» – già riprovata dal PRI con l’accusa di «partito elettorale» – quell’«indubitabile vigile senso d’educazione politica» che pur era sembrato connotarlo all’inizio) una chiara consapevolezza del bisogno storico dell’Italia tutt’intera…
L’alleanza fraterna che ora unisce repubblicani e sardisti – non nuova ma spesa in precedenza forse soprattutto per ragioni di comune interesse elettorale – vale oggi proprio perché rappresenta una conquista: la conquista che è derivata dalla virtù che l’ingiusta pressione, cui un movimento politico al pari del singolo uomo è costretto, genera sovente come a restituire purezza a sé, al contesto, alla relazione.
Dicendo del movimento repubblicano e di quello sardista un anonimo commentatore certamente isolano – e questi potrebbe essere proprio Silvio Mastio ventunenne (o chissà, magari Saba…) – svolge la seguente analisi critica sull’Almanacco Repubblicano del 1922: «L’opuscolo sull’Autonomia che è apparso nel 1918 non ha nulla di nostro: è una protesta retorica, una chitarrata senza conclusioni e con scarso valore… Il primo Congresso dei combattenti non precisò la portata delle tendenze autonomiste: ma nel secondo Congresso, tenuto nel settembre 1920, si spiegò che l’autonomia non avrebbe potuto essere altro che la Federazione repubblicana delle regioni. Questo programma repubblicano, esplicitamente, doveva essere fondamento di un nazionale movimento: ma poiché in un Congresso nazionale, tenuto a Napoli, il programma non venne approvato, ne seguì che le sezioni dei combattenti crearono il Partito Sardo, nel quale i combattenti dovevano essere iscritti d’ufficio. La confusione che ne seguì, l’intrufolamento di non combattenti che potevano soddisfare le proprie ambizioni, l’arrivismo degli arrivati, soprattutto la mancanza di organizzazioni economiche ed operaie, in quanto l’attività del Partito si svolgeva solo nei periodi elettorali e intorno a Cooperative di lavoro, hanno conseguito un successo elettorale al Partito Sardo, ma non ne assicurano la vitalità e la combattività. I deputati alla Camera si sono confusi nelle maggioranze ministeriali, nell’isola il movimento non ha saputo distinguersi dai consueti Partiti personali…
«I repubblicani hanno seguito colla più schietta simpatia il sorgere e l’affermarsi del movimento autonomista: ora, visto che ogni tendenza repubblicana è allontana, visto che il movimento non è che un affannamento di ambizioni elettorali,i repubblicani hanno separato le responsabilità e lavorano per creare un movimento che sia solo ed esclusivamente repubblicano. Il nostro movimento è agli inizi: molti giovani ci seguono e ci seguono soprattutto i giovani intellettuali. Per un Partito che non può soddisfare ambizioni, che non può offrire cariche pubbliche ma che si propone di educare le masse e mostrare su tutto la inanità dei movimenti che prescindano dalla forma delle istituzioni ciò non è poco e noi speriamo bene che il repubblicanesimo sardo abbia la maggior fortuna e che gli amici non si stanchino di lavorare con serenità e con fede».
Questo ieri. E ora la fraternità. Il piccolo partito grande di ideali abbraccia il grande partito legato al mito e anche alle urgenze della “piccola patria sarda”.
Soltanto Lussu e Mastino tornano dunque alla Camera (per qualche mese soltanto, dato lo stop volontario dell’Aventino prima – quando i silenzi omertosi e complici del governo Mussolini inducono una larga parte del Parlamento ad astenersi per protesta dai lavori di aula – e per la decadenza decretata dal regime poi).
E’ proprio nel periodo dell’Aventino – all’indomani della scomparsa di Giacomo Matteotti, il deputato socialista riformista che a Montecitorio ha denunciato violenze elettorali e chiesto l’invalidazione del voto – che Mastio compie un viaggio semiclandestino in Tunisia, per prendere contatto e accordi con le comunità italiane di democrazia impegnate in un qualche disegno antifascista. Nell’occasione licenzia per un giornale socialista francese alcuni articoli descrittivi della situazione politica nazionale. Lussu insiste perché ritorni in patria. C’è bisogno di lui.
Appare evidente – anche per quanto accadrà dopo – che si tratti di una prima prova di antifascismo “possibile” o più realisticamente “efficace” , da parte del giovane ma ormai collaudato leader repubblicano, il quale vuole sfogare quell’energia antitotalitaria che sente nell’animo là dove il terreno sembra più fertile; se non in Italia, all’estero.
La testimonianza di Pintus relativamente al periodo cruciale 1923-1927 è molto sbrigativa e fornisce solo alcune coordinate: il sodalizio (che lui stesso condivide) con Emilio Lussu, l’arresto dopo i fatti di piazza Martiri (il tentativo di scavalcamento dell’abitazione del parlamentare, da parte del giovane Porrà, e la sua uccisione, per legittima difesa, da parte dello stesso Lussu che per questo sconterà un anno di prigione e, benché assolto, dovrà poi subire il confino). Si vedrà.
L’ultimo episodio che vede Silvio Mastio politicamente attivo a Cagliari è del 15 marzo 1925 – mattinata di una domenica – quando, nella sede del Solco di via Nuova o Sonnino che dir si voglia – si riuniscono insieme i militanti del PSd’A e quelli dell’Edera e della Vanga per commemorare l’Apostolo genovese nel 53° anniversario della morte, avvenuta (da clandestino in patria) a casa Rosselli in Pisa.
Si sa che la sala è strapiena. Introduce il segretario della sezione, che è ormai Cesare Pintus, poi parla lui, l’oratore ufficiale Silvio Mastio. Che di Pintus riprende il severo giudizio verso il fascismo fattosi ormai regime, oltre la prepotenza delle squadre, e dice poi del Profeta dell’unità, Messia della democrazia ed Apostolo repubblicano. Può immaginarsi il suo discorso: un discorso che tiene presente l’ora difficile vissuta dalla patria e insieme la sensibilità del suo uditorio per la parte strettamente sardista, emotivamente ancora scombussolata dal passaggio di campo di tanti quadri dirigenti (e leader elettorali) e militanti di base. Il Mazzini amico della Sardegna (i cui articoli del 1861 in difesa «dell’isola abbandonata» sono stati di recente ripubblicati in opuscolo con uno scritto anche di Aurelio Saffi), il Mazzini che ha proposto l’inscindibile nesso di Patria ed Umanità forse non basta.

Tempo di laurea
Scorre il 1925 e scorre il 1926, per finire male il 1926. Il noto episodio di casa Lussu, il 31 ottobre, conduce a numerosi arresti e fra essi c’è quello di Silvio. Un mese giusto di detenzione in una cella del carcere circondariale, poi la diffida ai sensi dell’art. 166 della legge di PS. L’obbligo è alla astensione «da qualsiasi azione politica». Un monito che avrà conseguenze. Il suo fratello repubblicano Cesare Pintus, per essersi ostinato in un’«azione politica» condotta in clandestinità, sarà arrestato con altri di Giustizia e Libertà (approdo unitario antifascista di molti repubblicani) giusto quattro anni dopo, rinchiuso in prigione e sposato alla tubercolosi che lo porterà a prematura morte; lui – Silvio Mastio – un anno soltanto dopo questa rinnovata prova del carcere deciderà per il suo esilio mettendo in calendario il proprio sacrificio, degno erede di un Carlo Pisacane…
Ricorda a tal proposito Borghesi che nel 1931, che è poi l’anno della sua morte in Venezuela, il nome di Mastio compare fra i primi dell’ “Elenco nominativo dei componenti la sezione dell’associazione del partito repubblicano”, trasmesso dalla Prefettura di Cagliari alla Direzione generale di PS; la definizione che gli si dà è di «propagandista, violento e poco rispettoso verso le autorità».
Su Pibireddu, un giornale umoristico («organo piccante della gioventù cagliaritana») che esce in città da qualche mese ed è ben allineato al regime, lo fotografa scherzosamente, in un numero della fine estate 1926 – vigilia o quasi di quegli altri drammatici fatti – , fra i passanti della via Manno: «Vi è pure Silvio Mastio che dimenticando la sua prossima laurea in chimica corre dietro alla bella Paola…».
Ha dato un’accelerata agli studi che per forza di cose aveva dovuto rallentare, se non accantonare, completandoli «con uno sforzo di volontà» ed ottenendo – nel ricordo di Pintus – una «brillante votazione» nella discussione della tesi di laurea in chimica, venerdì 10 giugno 1927. Titolo dello scritto: “L’ammoniaca sintetica nella storia scientifica e nell’industria moderna”.
Nell’anno in cui si laurea gli iscritti all’Università di Cagliari retta ormai da un decennio e più dal professor Roberto Binaghi, sono 422 di cui quasi un terzo a Medicina e chirurgia (132), un’ottantina a Giurisprudenza (82 per la precisione), 47 a Lettere e filosofia – la facoltà è appena stata ricostituita dopo un sonno cinquantennale –, una sessantina nelle scuole di Farmacia (63) e di Ostetricia (3); la facoltà di Scienze – quella frequentata da Silvio sotto l’inamovibile presidenza del fisico prof. Giovanni Guglielmo – conta cinque indirizzi e 95 studenti così distribuiti: 8 a Scienze naturali, 20 a Matematica, 33 ad Ingegneria, 11 a Fisica, 23 (per metà sono ragazze) a Chimica che è un corso quadriennale. Complessivamente il corpo docente di Scienze comprende 27 unità integralmente al maschile, con tre sole eccezioni: la botanica Giuliana Mameli Calvino (madre del celebre scrittore Italo) e le matematiche Giorgina Madia e Silvia Martis. Incaricato di chimica generale e chimica fisica è il prof. Ernesto Puxeddu, l’anima del movimento bruniano dei primi anni ’10 a Cagliari; direttore dell’istituto di chimica generale è il prof. Lino Vanzetti Bartolo. Per la laurea è necessario superare gli esami in almeno undici materie, tre delle quali biennali, e la frequenza quadriennale del laboratorio di chimica e annuale di quello di fisica.
Ha in mente vari progetti, Silvio, circa il post-laurea, o almeno questo è quanto rimane nelle memorie familiari. Fra essi una missione di lavoro in un giacimento petrolifero nel nord della Russia.

L’ultimo tempo, la partenza per Cuba
Nello stesso anno ottiene finalmente il passaporto e, raccogliendo l’invito di Francesco, suo fratello da qualche anno residente a Cuba ed attivatosi perché sia assunto da una industria locale, parte per l’isola caraibica. E’ il settembre del 1927. Starà in centro e sud America giusto quattro anni, fino alla morte immatura e tragica.
Scrive Cesare Pintus: «Silvio non si faceva illusioni. Nell’ultimo scambio di saluti, prima dell’imbarco, egli mi disse abbracciandomi: “Tornerò in Italia, per combattere insieme l’ultima battaglia contro il fascismo”».
Con Lussu – tanto più dopo la fuga da Lipari e l’arrivo nella libera terra francese – i contatti, anche epistolari, rimangono nonostante le difficoltà. Sarebbe bello – fantastica Silvio – che Lussu lo raggiungesse oltre oceano. Egli sarebbe in grado di sostenerlo finanziariamente, ma il leader sardista, e ora anche del movimento Giustizia e Libertà, crede di non potersi allontanare troppo dal teatro italiano che costituisce il suo interesse prioritario. La polizia segreta sa tutto, registra tutto. Il sogno di Mastio in questa fase sarà quello di combattere sì le tirannie di quel mondo lontano, ma anche di procurarsi adeguati mezzi finanziari per combattere appunto «l’ultima battaglia» contro il fascismo italiano. Dal Venezuela, dopo che sarà stato capace con i suoi compagni rivoluzionari di rovesciare il dittatore e consegnare il governo a uomini di sicura fede democratica.
Della esperienza di esiliato volontario e combattente per la libertà in centro e sud America al servizio della causa della libertà, hanno scritto molti e approfonditamente: Manlio Brigaglia e Aldo Borghesi per primi, quindi Gianfranco Contu, anch’egli con dovizia di particolari (“Un episodio dimenticato dell’antifascismo sardo” in Il Popolo Sardo, nn. 14-15, luglio-dicembre 2007).
Qui di seguito riprendo, ancorché per sommi capi, quanto questi studiosi hanno scritto a tale proposito (ciò perché non ho svolto ricerche originali mie).
La partenza, intanto. Scrive Borghesi: «la Prefettura non lo considera pericoloso – dopo la diffida Mastio non si è fatto troppo notare – anche in considerazione del fatto che le sue idee repubblicane “non hanno trovato e non trovano qui possibilità di penetrazione”; ottenuto il passaporto, il 12 settembre 1927 Mastio lascia Cagliari». Il viaggio è lungo e prevede una tappa a Parigi, dove pare egli abbia degli abboccamenti con Mario Bergamo ed Eugenio Chiesa, esponenti del repubblicanesimo ormai già esule in terra francese. Circostanza registrata dalle spie del regime fascista e ragione in più per vigilare le mosse del giovane cagliaritano.
A Cuba la sua prima residenza di lavoro – durata sei mesi – è a La Habama. La seconda a Cartagena (barrio di Barracabermeja), in Colombia, dove s’impiega per circa tre anni in una società petrolifera: la Tropical Oil Company. La terza in un imprecisato luogo dello stesso continente ancor più interessandosi, o appassionandosi, alla realtà sociale e politica locale fra nicaraguensi e venezuelani, haitiani e messicani. Sembra maturare una visione universale della rivoluzione, i rimandi ideali garibaldini (e più in alto mazziniani) – ogni patria sofferente è la tua patria – favoriscono non soltanto l’interpretazione delle situazioni di fatto, ma proprio la comprensione o la messa a fuoco della propria missione in quei contesti particolari, di speciale patimento democratico e sociale. Il fascismo è il grande oscuro mantello che vuole soffocare lo sviluppo democratico delle società, nell’Europa evoluta come nell’America centrale e meridionale.
Lo sostiene, in tale visione, un meraviglioso capitano di naviglio mercantile, compagno repubblicano originario di Firenze, figlio di comunista ma nipote di repubblicano – di Fernando Schiavetti, esule in Francia – e pressoché suo coetaneo. E’ Leopoldo Caroti, e l’incontro – come altri ce ne sono in quello stesso tempo con gli esuli italiani – avviene in Messico. Con lui, qualche mese dopo, Silvio partirà per l’avventura tragica e gloriosa insieme che conclude la sua vita. Con lui, intanto, proprio in Messico, intensifica le relazioni con gli esuli soprattutto venezuelani alla cui causa entrambi si legheranno definitivamente.
Intanto ha perso la compagnia del fratello, rimpatriato nell’autunno 1930 ed impiegatosi all’Università di Cagliari (facoltà di Scienze, laboratorio naturale dell’Orto botanico di Palabanda). Potrebbe anch’egli rientrare in Italia, potrebbe impiegarsi presso la scuola Enologica di Sant’Alenixedda, ma rifiuta l’offerta. Lo spiega in una lettera a Francesco, intercettata dalla polizia, che Borghesi ha scovato all’Archivio Centrale dello Stato e che costituisce, nella sua essenzialità, un capolavoro di coscienza civile e democratica: «non ho certo lasciato l’Italia in quelle stesse condizioni nelle quali ora si trova, per ritornarvi in veste di peccatore pentito. Non ho nessun bisogno di ritornare in Patria perché posso stare materialmente meglio dovunque io voglia andare, e d’altronde, se anche mi trovassi in condizioni ben tristi preferirei sempre, ed è questa la mia assoluta decisione, di restare all’Estero finché le cose continuano a marciare nel modo attuale». Datata da Barrancabermeja il 14 settembre 1930.
Molta parte del 1930 e dell’anno successivo Mastio la spende incontrando le esperienze e le organizzazioni progressiste e rivoluzionarie, sovente clandestine o esuli, di tutta l’area settentrionale latino-americana, fra Colombia e Messico, le repubbliche centro-americane e il Venezuela. Soprattutto il Venezuela, dove il potere (politico, economico e militare) è da più di vent’anni saldamente nelle mani del dittatore Jan Vicente Gomez.
I contatti, così in Messico come in Colombia, sono con gli esponenti-esuli del Partito Revolucionario Venezolano, formazione repubblicana e insieme rurale e proletaria, con cui hanno un rapporto organico un ex ministro – Carlos Leon – ed un generale – Rafael Simon Urbina (nome di battaglia Carlos Martinez l’ingegner Martinez), le menti di una spedizione militare ora alle viste, che si prefigge di suscitare nella popolazione il coraggio della insurrezione e il rovesciamento del regime attraverso una felice “marcia su Caracas”.
La partenza avviene, la notte del 30 settembre 1931, da Veracruz. A bordo della nave denominata “El Superior”, qualche decina di operai messicani reclutati con una falsa promessa: quella di una destinazione lavorativa stagionale in regione Quintana Roo, nello stesso Messico regione Yucatan. Le armi – fucili, carabine, pistole e munizioni – sono nascoste in alcune capienti casse fatte passare per tutt’altro e più tranquillizzante contenuto: macchine per l’estrazione della gomma da effettuarsi nel campo “chiclero”. A bordo salgono naturalmente anche alcuni (sia messicani che venezuelani) ben consapevoli della missione da compiere nonché, a dar maggior credibilità al viaggio, due donne, una bambina e altri tre quidam che hanno destinazione Progreso. Regista di tutto il generale Urbina-Martinez il quale esce allo scoperto, a navigazione avviata, la mattina del 1° ottobre, all’ora di pranzo per equipaggio e passeggeri. S’impadronisce della nave affidandone il comando a Caroti il quale converte la rotta per il Venezuela.
Informati del colpo di mano e soprattutto dei progetti rivoltosi covati in segreto, gli operai – taluni dei quali, usciti superstiti dall’avventura renderanno minuziosa testimonianza dell’accaduto al giornale messicano El Universal il quale (con un tanto di ammirazione per i “pisacaniani” italiani, assai di meno per Urbina) ne riferisce nelle sue edizioni di fine gennaio 1932 – aderiscono chi con maggiore chi con minore convinzione, tanto più sulle modalità di conduzione di un’impresa che pare sempre più un’avventura arrischiata se non proprio allo sbaraglio. E comunque tutti quanti, forse anche per mancanza di alternative, iniziano – armi alla mano – la preparazione militare. Si discute. Al giudizio dei più va pure il dettaglio tattico, e le proposte degli italiani – generosi sì ma non uomini d’esperienza – lasciano perplessi, ancorché questo non diminuisca la loro autorevolezza…
S’è detto di quel certo identikit “pisacaniano” di Mastio e Caroti. E per associazione geografica non sarebbe forse da liquidare fra le astratte possibilità, ma piuttosto da includere fra le probabilità, una riflessione del rivoluzionario cagliaritano sulla partecipazione di un suo concittadino – Antioco Sitzia – alla famosa e non meno sfortunata spedizione di Sapri del 1857…
Riassumendo efficacemente i dati essenziali di quella fase dell’azione che sarebbe finita in tragedia, ecco quanto osserva Borghesi: «Quanti hanno scritto sinora su Mastio hanno lasciato intendere – almeno come arrière-pensée – quello che El Universal scrive a chiare lettere, e cioè che i due italiani fossero delle teste piuttosto calde, partite molto più per amore dell’azione fine a se stessa e per un malinteso spirito di avventura che sulla base di riflessioni ponderate».
Poco altro, invero, si sa dell’impresa e più ancora dei disegni e delle riflessioni di Caroti e di Silvio Mastio. Ciò anche perché una conclusiva lettera di quest’ultimo – proprio una lettera testamentaria – è andata perduta a seguito delle vicissitudini di fuga del destinatario – Emilio Lussu – dopo l’invasione nazista in terra francese (1940).Certo è da immaginarsi che lo spirito insurrezionale che muove il giovane cagliaritano sia quello stesso condiviso e anzi diffuso da Lussu e dal movimento Giustizia e Libertà proprio in quella fase dell’avversione democratica al fascismo internazionale. «E’ l’appello alle armi e all’insurrezione che in quello stesso momento GL, e più in particolare Lussu (che è una specie di responsabile dell’ “organizzazione militare del movimento) lanciavano da Parigi», annota ben a ragione Manlio Brigaglia nel suo breve saggio “Silvio Mastio: il ragazzo di Cagliari che morì per la libertà del Venezuela” (pubblicato nel primo volume de L’antifascismo in Sardegna a cura dello stesso Brigaglia, Antonello Mattone e Guido Melis: una collettanea che dà giusto riconoscimento alla partecipazione delle minoranze democratiche – qui l’aggettivo vale nel suo senso risorgimentale – alla lotta antifascista negli anni fra ’20 e ’40 .
Il viaggio dura ben undici giorni, per concludersi ad un centinaio di chilometri da Coro, la capitale dello stato Falcon, nella parte settentrionale del Venezuela. Non a Puerto Vela, come era previsto, essendo la zona presidiata da armatissimi contingenti dell’esercito, ma a Puerto Zamora (Bellavista). E pazienza se i doganieri scambiano i rivoltosi per contrabbandieri… Il 12 ottobre – data fatale per l’America! – i rivoltosi entrano a Capatàrida, assoggettandola facilmente. E da qui muovono per l’azione di forza vera e propria, e definitiva, contro i miliziani governativi. In breve: l’attacco è pressoché immediato e frontale, sdoppiando – per indirizzarne gli effettivi su Coro – la colonna dei 140 uomini che altri – gli esperti messicani – avrebbero voluto invece tenere uniti sopra le montagne per iniziare da lì la guerriglia.
Cento uomini in una colonna,al comando del generale Urbina, quaranta nell’altra, comandata dal colonnello Hernandez; in quest’ultima anche Caroti e Silvio Mastio. Una marcia di poche ore, poi un’imboscata dell’esercito di Gomez in località La Rinconada. La disperata ma infausta resistenza, la sproporzione delle forze e il vantaggio della sorpresa chiudono la tragica partita in due ore con l’annientamento dei rivoltosi. Silvio, pur ferito, non abbandona il campo e combatte fino allo stremo, sempre incitando i suoi compagni: «Viva la Revoluciòn!». E’ il primo pomeriggio. Scriverà Carlos Leon alla famiglia Mastio a Cagliari: «su valor heroico lo llevò a la muerte», «il suo valore eroico lo condusse a morte». «Aveva il grado di maggiore dell’esercito ed era stato nominato comandante dei Granatieri,… continuò a combattere sino all’ultimo respiro, animando con la parola e con l’azione i suoi compagni». Ed il manifesto diffuso dal Comitato esecutivo del PRV alcuni mesi dopo (aprile 1932) ripeterà: «digno hijo de Garibaldi...el doctor Silvio Mastìo, haciendo honor a la bandera antifascìsta italiana, exclamò “Viva la Revoluciòn!” al sentirse presa de la muerte».
Il corpo di Silvio finisce fra le fiamme appiccate dai soldati del dittatore. Un gran falò di carne umana, un falò per distruggere forse anche la memoria di un’azione militare volta a restituire il Venezuela alla democrazia. Coloro che se la scampano – i messicani imbarcati con l’imbroglio ma poi complici nell’impresa – rimpatriano e forse dimenticano anch’essi.
Di tutto questo la famiglia saprà soltanto nella primavera del 1932.
Come a stornare ogni pur vago addebito di imperizia nella conduzione della sfortunata azione militare, lo stesso Emilio Lussu, scrivendone a Carlo Mastio quasi quarant’anni dopo (1970), ne esalterà il senso e il valore. E già nel 1946 – quando, all’indomani della faticosa esperienza di sindaco di Cagliari, si accinse a scriverne per Il Convegno – Cesare Pintus volle rendere testimonianza della competenza di Silvio in cose militari: «pur essendo antimilitarista convinto studiò sempre sin dagli anni della sua prima giovinezza, libri di tattica, di logistica, di balistica, di organizzazione militare». Tutto poi si spiega nell’obbedienza di Silvio alla teoria della “nazione armata”, che fu un caposaldo del repubblicanesimo post-mazziniano (proseguito, perché diretta derivazione della opposizione alla monarchia autoritaria quale fu sempre quella Savoia) fino al giolittismo.

Addenda

1 - Il giudizio di Asproni su Francesco Mastio, il nonno di Silvio deputato governativo
Le annotazioni asproniane riguardo a Francesco Mastio nonno paterno di Silvio sono numerose e (al di là del merito) gustose. Eccone alcune in rapida rassegna: «Tutto l’intrigo dell’Intendente associato al clero; tutte le intimidazioni e promesse per incettar voti furono vane. Ho veduto che la libera volontà degli elettori era manifesta per me. Ma nelle altre sezioni il sopruso era sfacciato, e il Mastio ha avuto una maggioranza complessiva e grande sopra di me. So di preciso che il Vicario Generale Capitolare ha ordinato ai preti che votassero nella Diocesi per i candidati ministeriali» (19 novembre 1857); «I fautori dell’elezione del Mastio sono in gioia, non tanto per vittoria riportata, quando perché credono me umiliato» (20 novembre 1857); «Del povero deputato Mastio (il deputato Naitana) mi ha raccontato fatti che umiliano per la sua ignoranza e servilità» (5 luglio 1858); «Di Mastio (il conte di Santa Rosa, segretario generale degli Interni) mi ha detto che era un asino dispregevole» (4 dicembre 1858); «Oggi ho scritto una lettera al cav. Capriolo… interessandolo a conservare Nuoro capoluogo di provincia. Ho anche scritto al deputato Mastio che sene occupi con impegno e sollecitudine. Ma che farà quel povero tonto?» (18 ottobre 1859); «Lorenzo Valerio mi scrive che è afflitto della soppressione della provincia di Nuoro; ma soggiunge che quei popoli vi hanno parte di colpa dopo aver eletto un uomo nullo e servile come il Dr. Mastio» (10 novembre 1859); «Non ho ancora notizie dell’esito del ballottaggio di Nuoro. Parmi che l’Avvocato Mureddu, mio competitore, sarà vincitore, perché i voti per Mastio si devolveranno a lui...» e «Vinca chicchessia, mene preme un corno. Sarebbe però una vergogna se si rieleggessero Mureddu e Mastio – due muli» (1° aprile 1860 e 29 gennaio 1861).
Altre note sono piuttosto cronachistiche, afferendo a incontri o voci riportate sull’attività del candidato parlamentare e poi parlamentare eletto (proprio in suo danno): così l’1-7 novembre 1857, circa il sostegno formale del consigliere d’Intendenza Murgia al Mastio, contro quello sostanziale e segreto al Siotto-Pintor; il 15 novembre 1857, sui risultati di una sezione elettorale – Asproni 63, Mastio 52, Siotto 14, marchese di San Saturnino 9 – e vari episodi di ricerca del voto: «Costantino can. Manca era infaticabile per il Mastio, d’accordo con l’Intendente Generale. Il Mastio nel ’43 si adoperò con me per conferire al Manca il Canonicato di cui è provvisto in questa Cattedrale. Spera di avere in lui un intercessore di grazie per i suoi nipoti, che son gente da bagno pubblico»; il 16 novembre 1857, ancora sul voto ormai al ballottaggio: «I clericali e i partigiani di Giovanni Siotto Pintor lavorano per fondersi in appoggio del candidato Mastio. Ad Orani è stato spedito Don Salvatore Nieddu clericale di puro sangue, ma servo dell’Intendente per indurre Sig. Giuseppe Sechi a convergere i 39 suffragi dati all’Avvocato Mureddu in favore del Mastio, sostenuto dal ministero»; il 29 novembre 1857, all’indomani del voto: «L’Avvocato Fiscale Suarez mi ha detto che nei giorni che egli assentavasi per affari urgenti di uffizio, il Consigliere d’Intendenza Battista Murgia indusse il Sostituto Avvocato Fiscale Gavino Chessa a scrivere una circolare segreta infervorando Giudici e Segretarj mandamentali ad impegnarsi con tutte le forze per combattere il candidato dell’opposizione liberale, e assicurare la elezione del Dottor Mastio. Il Suarez n’è indignato, e sene lagnò coll’Intendente, al quale disse essere questa manovra una “birbanteria”. Lo stesso Intendente confessa ora che nella briga elettorale vi fu “eccesso di zelo”»; il 4 dicembre 1857, riferendo dei contatti con l’ex deputato Francesco Sulis che vorrebbe pubblicare un periodico –
L’ Epoca – e sollecita collaborazioni: «Nel caso che la elezione Mastio fosse annullata, egli mi profferisce l’ajuto dei suoi parenti per eleggere me… Eletto deputato senza opera mia… accetterei per amore alla patria: a impegnarmi per essere eletto, non sarò io che lo farò mai. E molto meno accetterei di essere eletto da un collegio che mi pospose ad un uomo ignorantissimo come è il Dottor Mastio»;il 6 dicembre 1857, sempre sul post-elezioni: «La “Gazzetta Popolare” di Cagliari arrivatami questa sera contiene una corrispondenza che io mandai all’Avvocato Giuseppe Sanna Sanna sopra le elezioni del Dottor Mastio… Questa corrispondenza è letta con avidità, e desta il malumore di coloro che vi sono nominati… Uno dei più malconci è il mio parente Canonico Fedele Dore che, spasimante in nome della religione, correva e brigava accattando voti per il Mastio, dopo fallita la candidatura clericale del Marchese Quesada San Saturnino».
E ancora: il 16 ottobre 1858, soltanto per segnalare che «Oggi è arrivato a Nuoro il deputato Mastio»; il 6 giugno 1859 – e cioè proprio nei giorni della seconda guerra d’indipendenza – per appuntare l’incontro casuale fra Novara e Torino: «Poi ho trovato il deputato Mastio con cui abbiamo fatto il viaggio sino alla stazione di Santhià. Mi ha dato notizia di una vittoria che ieri costò molto cara ai francesi. La battaglia è stata data a Magenta»; e così ancora l’indomani, 7 giugno: «Mastio ritornò da Ivrea con lo stesso convoglio e abbiamo ragionato in Chivasso nell’ora che aspettavamo il treno di Vercelli»; il 3 febbraio 1860, circa una polemica pubblicistica in ordine all’auspicato ripristino della provincia di Nuoro: «Il Ministro Cavour ha risposto a me e a Satta-Musio con un dispaccio del suo gabinetto particolare… Immediatamente ho distesa la relazione ai Municipj, e l’abbiamo spedita alla direzione della “Gazzetta Popolare” di Cagliari per stamparla e diffonderla… Ho anche mandato alla stessa “Gazzetta” una risposta all’opuscolo del Prof. Mastio» (“Condotta sul proposito dell’abolizione degli ademprivi e della soppressione di quella divisione amministrativa”, Torino, 1860); il 16 aprile 1862, ormai in tutt’altro contesto: Asproni è deputato e Mastio, sconfitto nel ballottaggio del 29 marzo 1860: «Continuiamo il nostro lavoro per la Circoscrizione territoriale… io sostengo la necessità della Sottoprefettura, con un Tribunale a Macomer… Ho pur parlato all’Ispettore medico Francesco Mastio. L’hanno posposto ad un suo subalterno piemontese come Capo del Corpo Sanitario dell’Esercito, dandogli la Croce di Commendatore. Il povero uomo non s’accorge che si rovinò nella deputazione, perché allora fece vedere senza velo la ignoranza e pochezza sua».


2 – Emilio Lussu scrive a Carlo Mastio: obiettivo biografia
Le tredici lettere (e le prime undici in particolare) costituenti un piccolo fondo documentario “ad nomen”, insieme con la figura centrale di Silvio Mastio onorano – viste nel tempo – il donante suo fratello Carlo ed il senatore Lussu per la premura da entrambi mostrata affinché la memoria del «dottore» (come Silvio veniva chiamato o evocato nei giorni dell’impresa venezuelana e dopo) restasse nella grande storia del movimento democratico così come nella sua città (attraverso anche un richiamo toponomastico, poi formalizzato per la sensibilità del sindaco Paolo De Magistris nel 1970). Il tutto ruota attorno alla biografia di Silvio: la raccolta di certo materiale biografico era servito a Fernando Schiavetti per stendere un articolo (più volte aggiustato o integrato) destinato alla rivista Il Movimento di Liberazione in Italia; successivamente – e già all’indomani della sopraggiunta e improvvisa scomparsa dello stesso Schiavetti (senatore del PSIUP con Emilio Lussu negli ultimi anni) – per una possibile nuova e più ampia e completa ricostruzione, per intanto da anticipare con le recensioni che dello scritto di Schiavetti ci si aspettava da testate di “area” e progressiste in genere: entrano nel novero delle attese Belfagor, Resistere G.L., Patria Indipendente, La Voce Repubblicana, L’Espresso, La Nuova Sardegna (e magari anche L’Unione Sarda dove – scrive Lussu - «io non ho nessun amico»), ma altresì Il Ponte, Rinascita, Mondo Nuovo, Paese sera… Infine soltanto un numero minimo di giornali accoglierà l’invito alla recensione, e sarà un’occasione persa…
Ma qui importa l’insistenza con cui, da entrambe le parti – Lussu e Carlo Mastio –, si accompagni il sentimento del “dovere” di rilanciare la memoria di Silvio. Bene, fra tante manifestazioni di indolenza, soprattutto Manlio Brigaglia, che di Mastio parla a Radio Cagliari e che poi sarà lo storico del movimento Giustizia e Libertà e dell’antifascismo democratico, lui di formazione tanto diversa e forse lontana dall’area repubblicana. Brigaglia, che di Mastio sarà il primo biografico capace di stimolare, fra i più giovani storici, ogni nuova ricerca.
Toccante il pur fugace accenno a Bruno Josto Anedda e alla sezione Asproni del PRI cagliaritano anni 1968, 1969, 1970 e successivi: quella sezione che aveva la sua sede al civico 128 della via Sonnino, di lato alla piazza Gramsci, dove nel 1971sarebbe stata accolta quella cospicua quota di dirigenza e militanza uscita dal PSd’A tre anni prima e costituitasi nel frattempo in movimento autonomo… Sarà
L’Edera, poco più che un bollettino, a direzione proprio Anedda, ad ospitare, nel marzo 1970, il testo assolutamente anticipatore di Brigaglia presentato, come detto, in una conversazione radiofonica.
Il carteggio fra Lussu e Carlo Mastio inizia forse, il 28 gennaio 1969, con una lettera di quest’ultimo. Il senatore risponde il 10 del mese successivo: «Tuo fratello – qui il riferimento è a Cicito – ti avrà detto che Schiavetti, prima di far parte di “Giustizia e Libertà”, era nel Partito Repubblicano, in corrispondenza con Leopoldo Caroti. Egli vuole ricordare degnamente e Silvio e Caroti. Le poche cose che hai sono utilissime. Ma il documento migliore è quello che io ho perduto a Parigi: la lunga lettera di Silvio che, prima di imbarcarsi per l’impresa, mi diceva quanto pensavano di fare per l’Italia, se il successo nel Venezuela avesse coronato la loro azione».
E’ ancora sull’epilogo venezuelano della vita di Silvio che Lussu ritorna nella lettera datata da Fiuggi il 20 luglio: «E’ stato qui Schiavetti 15 giorni, per la cura delle acque. Su mia insistenza ha fatto anche il lavoro di 3 (s)chizzi geografici di tutto l’itinerario della spedizione nel Venezuela: una all’1:20.000.000, 1:10.000.000 e 1:7.000.000».
Il 27 novembre – e in replica sostanziale il 23 dicembre – un aggiornamento. Schiavetti ha scritto, verso la fine dell’estate, l’articolo in memoria di Silvio che ha mandato ad un periodico,
Il Movimento di Liberazione in Italia. Se ne prevede la pubblicazione verso dicembre: «Sono molto contento che esca in questa rivista: arriva in tutti i centri culturali, e anche all’estero», commenta Lussu che intanto si sta attivando per diffondere quel testo: «Per conto mio, io provvederò a farne spedire 10 copie a te, 1 copia la faccio spedire a Belfagor, 1 a Resistenza “G.L.” a Torino, 1 a Patria Indipendente che è il settimanale dell’A.N.P.I., molto diffuso, e 1 all’Espresso, perché ne facciano una recensione. Un’altra copia, ne faccio mandare alla Nuova Sardegna, e scrivo al direttore A. Satta, che, malgrado il giornale sia ormai di Rovelli, è un vecchio amico mio e lo prego di farlo recensire. All’Unione Sarda mandalo, o fallo mandare da un amico, perché sia recensito». Una precisazione e un invito operativo: «Per me, è un piacere poter far questo, a ricordo di Silvio. Al P.R.I. puoi mandarlo tu, non io».
Carlo Mastio ha letto e riletto l’articolo di Schiavetti e muove alcune osservazioni critiche relative probabilmente al deficit di… pathos nella sua stesura. Lussu condivide, ovviamente nel vivo apprezzamento della iniziativa Il 31 gennaio 1970 scrive: «per arrivare al testo definitivo, che ho poi posto al tuo controllo, per due volte ho dovuto fare amichevoli pressioni per fargli accettare modifiche in più parti. Lo si deve al fatto che egli, che pure nel periodo dell’avvento del fascismo al potere, come direttore della Voce Repubblicana è stato all’avanguardia per intelligenza e coraggio, non ha fatto più niente. L’esilio l’ha vissuto con estrema dignità, ma non è stato in Spagna e non è rientrato in Italia per la resistenza armata. Per paura? Manco per sogno. Per inerzia. Io e Joyce, dalla Francia occupata, abbiamo corso il rischio d’essere fucilati dai tedeschi, passando la frontiera svizzera per metterlo in movimento. Non sente quindi la grandezza dell’anima rivoluzionaria della spedizione nel Venezuela. Sconfinatamente superiore alla guerriglia in Bolivia di “Che” Guevara, pur maestro di strategia guerrigliera e teleguidato da Fidel Castro. Ma l’insieme dell’articolo è letterariamente e politicamente degno».
Dalle varie redazioni sono giunte promesse che poi non saranno tutte adempiute: «Il giornale dell’A.N.P.I. ne farà un’ampia recensione. Belfagor lo segnalerà con una nota. Schiavetti farà avere il n. a Reale, per i repubblicani. E spero che la Nuova Sardegna lo metterà in evidenza».
La notte del 17 febbraio Schiavetti improvvisamente nuore, «stroncato da un infarto». Lussu, scrivendone l’indomani, ricorda: «Ci conoscevamo ed eravamo diventati amici fin dal ’21, quando dirigeva la Voce Repubblicana. Sempre siamo stati amici, molto vicini. Il 16 mattina, ci eravamo incontrati al Senato, e, siccome gli avevo telefonato che tutto il materiale, su Silvio, dovevo riconsegnartelo, me l’aveva portato, in una grande busta. Te la darò a Cagliari, a primavera». Per certo – scrive Lussu il 23 dello stesso mese – Schiavetti ha ricevuto la lettera che Carlo Mastio gli ha inviato per ringraziarlo di tanto interesse. Sia lui che la compagna «l’hanno letta assieme e ne sono stati profondamente commossi, e lei ha versato anche qualche lacrima».
Ci sono difficoltà a pubblicare qualcosa su
L’Unione Sarda. La cosa dispiace, ma bisogna prenderne atto. Le riflessioni di Lussu circa le libertà redazioni sono acute. Certo non avrebbe immaginato che di lì a un lustro appena a lui stesso e a Joyce sarebbero state offerte pagine e pagine nel restyling insieme politico e grafico, e nella rinnovata terza pagina affidata ad un signor giornalista d’ampie visioni… Difficoltà inaspettate anche da La Nuova Sardegna, perché Arnaldo Satta Branca – il direttore e già proprietario, amico da tutta una vita di Lussu e della stessa grande famiglia repubblicana sarda (ad iniziare da Michele Saba) – è da tempo malato.
Circa i repubblicani la simpatia rimane, nonostante le incomprensioni parlamentari con l’altro azionista di grido, Ugo la Malfa… Da Cagliari il PRI vorrebbe acquisire una personale testimonianza di Lussu, che però è costretto a negarsi: «Per la Sezione Asproni, ti prego di dire al dott. Anedda che, per principio, da più di quattro anni non parlo più in riunioni pubbliche o private. E’ la salute che mi ha obbligato a farlo. Ho parlato, poche volte anche al Senato e, sempre, la pressione saliva a 150». Sulla scena nazionale: «A Reale, il n. della Rivista – gliela avevo data io – l’ha mandata Schiavetti qualche giorno prima che morisse. Una recensione apparirà sul giornale dell’A.N.P.I., su “Giustizia e Libertà” e su “Belfagor”».
(Breve parentesi su Lussu e la sezione repubblicana di Cagliari. In una lettera datata 2 ottobre 1921Michele Saba così scrive, indirizzando a Giovanni Conti che in proposito lo ha interrogato, di Emilio Lussu, trentenne da pochi mesi deputato a Montecitorio: «Lussu esercita grandissimo fascino presso i combattenti e la sua adesione a noi sarebbe indubbiamente un bene. Però, bada, che egli è filosocialista… Egli dice che il nostro partito non esiste, che alla Camera il gruppo è scomparso e subisce quindi l’influenza del “numero” e del “rumore” socialista. Egli era tesserato alla sezione del PRI a Cagliari, prima della guerra: ora è spostato e poiché è molto, ma molto ignorante ed impulsivo, passa da atteggiamenti bolscevichi ad una supina rassegnazione… »).
Il 10 marzo c’è l’apprezzamento per l’«ottima» conversazione di Manlio Brigaglia dai microfoni di Radio Cagliari. Anche se… sarebbe stato meglio adoperare il termine «esuli» piuttosto che quello di «fuoriusciti», osserva Lussu, ricordando come questa seconda definizione era usata, al tempo, dai fascisti… Silvio Mastio merita una biografia approfondita. «Occorrerebbe trovare altre testimonianze e documenti». Di questo si parlerà presto a Cagliari in un auspicato incontro a tre, fra Lussu stesso e i due fratelli di Silvio, Carlo e Cicito (anche quest’ultimo è entrato in corrispondenza con il senatore). Per il resto è tutto un riferire dei passi compiuti verso i direttori dei vari giornali della sinistra per segnalare il lavoro di Schiavetti: Ferdinando Russo di
Belfagor («recensirà lo scritto di Schiavetti, di cui gli ho mandato il n. 97 della Rivista. Uscirà quindi nel prossimo n. : la Rivista è trimestrale»), Fausto Nitti di Patria Indipendente «il settimanale dell’A.N.P.I.» («spero esca in questo n. e te lo manderò. Il Direttore, Fausto Nitti, è un vecchio amico e la pubblicherà certamente, fatta da lui o da un altro. Vi apparirà anche la fotografia di Silvio, che gli ho dato»)… Qualche difficoltà con Il Ponte, che dopo la morte di Calamandrei è sembrato aver spostato il suo orizzonte ideologico… Idem L’Espresso. Ancora da contattare è la direzione di Resistenza, mensile torinese. Mentre circa La Nuova Sardegna l’interessamento di Stanis Dessy non ha dato esito, perché Arnaldo Satta Branca non va al giornale da molti mesi, trattenuto dalla sua malattia. Si fa quel che si può. E con le parole deve comunque giocare anche l’immagine. Il volto serio e cordiale di Silvio. «Poiché è importante che i giornali sardi, anche se “perduti” pubblichino qualcosa, e con la fotografia». E’ stato raggiunto anche Reale, leader repubblicano. «Ho fatto controllare. Schiavetti non aveva avuto il tempo di mandarglielo: io gli avevo dato, anche il n. della Rivista del Mov. Lib. It. Alla moglie, a nome della Signora Flora Colzai, compagnia di Schiavetti, ho mandato l’estratto».
Una settimana dopo, il 19, le testate vanno in rassegna, e spiace constatare che per una ragione o per l’altra tutti ritardano, e qualcuna forse ha già deciso di passare oltre. Il momento politico generale consiglia molti anche della sinistra a non sventolare troppo le gloriose bandiere.
Il 25 – il mese è sempre marzo – Lussu informa che ha fatto spedire dal gruppo PSIUP al Senato a diversi giornali – quelli del primo elenco e altri – l’estratto dell’articolo di Schiavetti. «A questo punto, dopo più di un mese, sono portato a credere che, trattandosi dello scritto di una rivista, sia pure la sola d’importanza o prestigio storiografici, nessun’altra rivista e giornali, tranne quelli direttamente interessati, saranno portati a fare recensioni. Non rimane che attendere. Siccome non leggo mai la Voce Repubblicana, l’ho controllata ieri all’Ufficio Stampa del Senato: finora non c’è niente. Ma è molto probabile che qualcosa vi sarà pubblicata. Finirà che sarà solo il periodico dell’A.N.P.I. che farà una recensione degna, con fotografia di Silvio. Belfagor, che è rivista letteraria, non potrà che segnalare l’avvenimento con poche righe», è il commento, anzi la previsione finale.
Altri tre giorni ed ecco ora, il 28, l’apprezzamento per la decisione del sindaco di Cagliari De Magistris di intitolare una strada a Silvio, sperando che non si tratti di «un vicolo cieco». Sarà a Pirri, dove un certo rione sarà tutto dedicato alle memorie del secondo risorgimento, la resistenza partigiana. Intanto però è uscita la recensione di Nitti su
Patria Indipendente: «Ti ho mandato, con raccomandata, il n. del periodico dell’A.N.P.I. con un articolo, accompagnato da una fotografia, su Silvio. Non conosco dove vivono i parenti di L. Caroti, altrimenti mi sarei rivolto a loro per farmi mandare anche la fotografia del compagno di Silvio. Solo il P.R.I. può riuscire a trovare tutti, se La Voce è disposta a pubblicare un articolo con le 2 foto. Non vedo quale altro giornale, a sinistra, possa pubblicare articolo e foto».
Si conclude così, con una sospensiva, la corrispondenza a passi veloci fra Carlo Mastio ed Emilio Lussu. Che avrà come un’appendice nell’aprile 1974 (undici mesi prima della scomparsa del grande leader sardo-giellista e, bisognerebbe dire, tante altre cose…). Riordinando (o meglio: cercando di riordinare la sua biblioteca indirizzata già per il grosso, come Fondo, all’Università di Cagliari) Lussu ha avuto bisogno di recuperare il numero, andato disperso, di
Movimento di Liberazione in Italia contenente il saggio di Schiavetti. Il dottor Carlo ha provveduto sollecitamente a recapitargliene una copia. Ma intanto lui stesso se l’era procurato con una telefonata a Nitti… La conclusione è già un saluto, per sempre: «Roma non può essere la mia residenza: è solo un posto di lavoro, prezioso per la vicinanza della biblioteca del Senato, che consulto sovente. Dove e quando ci potremo rivedere? E’ un problema…».

3 – Nuove piste per altri approfondimenti e contestualizzazioni
La bellezza della ricerca storica è l’incompiutezza di qualsiasi lavoro. Di più: la possibilità, la necessità, talvolta l’urgenza di sempre nuovi approfondimenti seguendo piste dirette o collaterali, sui protagonisti o sul contesto che ne ha conosciuto ed accolto l’opera. Basta anche soltanto un nuovo documento, magari modesto all’apparenza, perfino marginale, per riaprire un discorso, per riorientare lo sforzo interpretativo dopo aver integrato il quadro.
Restando alla eccellente figura umana e civile di Silvio Mastio io credo occorra ancora insistere sull’ambiente familiare, per quanto si sappia esser state le memorie derivate e giunte fino all’ultima discendenza tutte abbondantemente “strizzate”; e così sui vari fronti della sua formazione sia di bambino sia di adolescente. Per il che occorre guardare meglio fra le carte scolastiche, ora alle elementari frequentate al Satta (in una sede nuovissima e ancora in parte cantiere) ora al ginnasio e poi al liceo frequentati al Dettori (nell’antico collegio gesuitico della Marina). Qualcosa è stato trovato, molto di più si può ancora, sia circa le primarie sia riguardo ai corsi delle medie e superiori. Anche perché si tratta di meglio comprendere – e i registri scolastici e altre evidenze scolastiche lo potrebbero rivelare – una carriera assai più accidentata di quella che Cesare Pintus ha descritto nel suo saggio biografico del 1946. Un anno perduto al ginnasio, due anni di incertezze al liceo in relazione forse alle vicende della guerra, forse alle ricadute che la guerra ha avuto nelle famiglie e nella famiglia Mastio: con tre fratelli al fronte ed uno di essi fatto prigioniero e portato a morte in una terra lontana, con lui – Silvio – che vorrebbe, diciassettenne, partire volontario. C’è forse un altro (e forse doppio) abbandono scolastico e un recupero da privatista – è una pista questa, non altro – così da poter spiegare una maturità liceale acquisita con un ritardo pur leggero, nell’estate 1920. E comunque, secondo alcuni, con una buona e precoce conoscenza delle lingue francese e inglese.
Per quanto appaia qui più complicato, occorrerà vedere se testimonianze di chi già pur lui è passato, lo diano – quanto meno negli anni dell’infanzia – presente in qualche circolo parrocchiale, fra la Marina e Stampace, fra Sant’Eulalia (o Sant’Agostino o l’asilo della Marina) e Sant’Anna, o interessato ad attività di altre associazioni che naturalmente potrebbero essere diverse a seconda di quando siano intercettate, se da bambino o da adolescente e giovanotto. (E con riferimento particolare agli anni intorno al 1905-1907, verificare se la famiglia abbia seguito, e per quanto tempo, il dottor Salvatore in quel di Salerno).
C’è poi il capitolo dello sport: dello sport praticato sul campo o la pista o il mare, e dello sport vissuto come attività di squadra, come esperienza collettiva, e dunque formativa sotto punti di vista diversi e complementari.
Quindi ecco la pagina del servizio di leva, nella capitale, di cui ancora quasi nulla si sa, e l’università tirata dal quadriennio canonico ai sette anni, non certo per disamore agli studi bensì certo come conseguenza di altre priorità che la coscienza di cittadino e di democratico appassionato gli detta. Ma si potrà ripercorrerlo questo corso accademico conclusosi all’inizio dell’estate 1927: riscontrare le preferenze fra le materie del corso, misurare le soste e collegarle alle varie vicissitudini della sua vita privata e soprattutto di quella pubblica: fra battaglia politica effervescente già dal penultimo anno di liceo con supplemento di arresti e detenzioni, fra impegno giornalistico e militanza di partito, alfiere sempre dell’antidiplomazia.
C’è questa famiglia da vedere nelle sue dinamiche domestiche, con un genitore che lascia, nel 1919, quando la sua casa è stata appena toccata da un lutto giovane dolorosissimo e quando i piccoli di casa sono ancora prole giovane e giovanissima: Silvio ha compiuto da qualche mese i 18 anni, Carlo ha soltanto 13 anni. Dirà spesso Maria Giovanna Sedda, la madre, di avere lei «fatto uomini» i suoi figli. Muore ad Ussana, nella dimora dei Sedda, Salvatore Mastio, funzionario statale dell’Amministrazione marittima ora già in pensione, consapevole della precarietà in cui lascia i suoi, ad un anno soltanto dalla fine della guerra, nel rischioso ribollimento dell’intera società, anche e soprattutto quella cagliaritana.
Solo i grandi – Francesco e Luigi – sono sistemati in quanto alla fine degli studi, prossimi adesso all’esordio professionale. Francesco sposerà una Biddau, Luigi laureatosi farmacista lavorerà nella rivendita sanitaria del suocero di Cicito, nel corso Vittorio Emanuele. Ettore si è involato nel più crudele dei modi, lontano dalla famiglia, nei campi di guerra e poi di prigionia, lontano, a vent’anni, senza che i suoi possano neppure piangerlo sopra una tomba.
E’ credibile che di Milovice si siano informati, i Mastio; qualcuno forse avrà fatto un viaggio per salutare e onorare, a nome di tutti, chi più di tutti è stato sfortunato. Milovice (Milowitz), in Boemia, dista una trentina di chilometri da Praga; campo di deportazione di prigionieri già dai tempi di Napoleone, trasformato in poligono di tiro per i contingenti di artiglieria dell’esercito austro-ungarico nel 1904, non dismettendo però l’antica vocazione e orientandola ora ai prigionieri russi e serbi.
Erano tre i campi di prigionia negli anni della grande guerra, con una popolazione che a lungo sfiorava e perfino superò le ventimila unità: una città intera. Tanto più dopo la catastrofe di Caporetto accolse i soldati italiani, i ventenni come Ettore Mastio. Oltre cinquemila italiani. Moltissimi – e fra essi era Ettore – feriti e malati, affamati, più morti che vivi.
Gli alloggiamenti delle truppe (fino a 3.400 uomini), gli appartamenti per i militari del comando e di controllo, un ospedale con un padiglione per l’isolamento degli infettivi, le stalle per i cavalli e le officine delle manutenzioni, e poi anche la chiesa e l’abitazione del prete o del pope, l’ufficio postale, qualche bottega per la popolazione ancora risiedente nella zona, tutto questo fu integralmente conferito al campo di prigionia allo scoppio della guerra e ben presto si rivelò neppure sufficiente: le sue dimensioni furono raddoppiate, triplicate. Vennero costruite, giusto in tempo per accogliere le migliaia di poveri ragazzi sconfitti, ben 101 baracche in legno rivestite di carta catramata lunghe dai 30 ai 45 metri e larghe 10, capienti ciascuna dai 200 ai 300 prigionieri. Qualche spazio era riservato ai servizi generali, soprattutto erano vasche per l’igiene personale. E un altro campo fu presto associato al precedente, con altre 46 baracche, per le maggiori necessità. S’erano toccati i 25mila prigionieri d’ogni nazionalità, quando l’Italia scese in guerra, dopo l’anno di dubbi neutralisti. Allora si approntò un cimitero.
Dopo Caporetto e lo smistamento di Sigmundsherberg, nel 1917 cioè, i prigionieri censiti – in una specie di fisarmonica statistica di nessun rispetto per l’umanità delle persone coinvolte – superavano i 6mila, per più che raddoppiarsi dopo pochi mesi.
Ettore Mastio era nel mucchio, nella massa.
Non si conoscono le sue condizioni di salute al momento della segregazione, non si sa se abbia potuto lavorare con gli altri disgraziati finiti lì con lui. Lo sfinimento generalizzato delle condizioni fisiche non consentiva grande produttività ai prigionieri. Sembra che l’alimentazione sia stata adeguata, o almeno questo le circolari disponevano in adempimento della normativa internazionale sui prigionieri di guerra. Così l’assistenza medica a un numero di soggetti sempre crescente, per patologie in gran parte sviluppate all’interno del campo. Queste le notizie: dieci baracche trasformate in lazzaretto e due in reparto d’isolamento, come dipendenze dell’ospedale; prevalenti le patologie degli apparati respiratorio, digerente e cardiaco, diffusa la tubercolosi, così il tifo e la spagnola, così il colera e più numerosi ancora gli edemi e le polmoniti… Si cercava di mantenere il controllo igienico della situazione con l’utilizzo anche di grandi disinfettori mobili ma era tutto un inseguire il bisogno. La statistica della mortalità degli italiani rileva 4 o cinque casi al giorno, ma con picchi pur sporadici che quasi decuplicano i numeri.
Si riferisce – e ne scrive in un attento report Beniamino Colnaghi (Il campo di prigionia di Milovice, http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.com/2009/12/il-campo-di-prigionia-di-milovice-rep.html, dicembre 2009) – di un minimo di vita culturale, nella forma della distribuzione di libri e di qualche giornale ad iniziativa della Croce Rossa internazionale. Si sa di una piccola banda musicale messa su dagli italiani che con essa accompagnavano alla fossa chi non resisteva. Allora veniva assicurata la presenza di uno della decina di cappellani di ogni religione che curavano le cose spirituali del campo: padre Pavel Svankmaier forse è stato il prete cattolico che consolò Ettore nel suo momento estremo.
Per la massima parte (quasi la totalità) i caduti venivano sepolti senza bara e in fosse comuni. A tanta indifferenza per la dignità di ognuno faceva stridente contrasto la diligenza burocratica delle annotazioni nel registro dei morti: nominativo, luogo di morte, reparto di appartenenza, grado ricoperto, data di nascita, indirizzo, stato civile, credo religioso, nazionalità, impiego, causa di morte, nome del medico diagnosticante il decesso, e del ministro di culto officiante il rito di congedo.
Ettore, il fratello per età più prossimo a Silvio – quattro anni di differenza – aveva preso la maturità agraria alla scuola Enologia di Sant’Alenixedda, attiva dal 1889.
L’indagine biografica su Silvio Mastio dovrà puntare, per riuscire più significativa dal punto di vista della storia civile della sua città, su questo doppio binario della sua formazione personale e familiare e delle occasioni che la contingenza politica offre al suo spirito generoso, per individuare anche i possibili incroci. Lo spirito eroico e risorgimentale degno dei fratelli Bandiera e di quant’altri del movimento cospirativo mazziniano, sviluppato negli anni della grande guerra e maturato poi, con caratteristiche sue proprie, nella tormenta di un movimento rivoluzionario/reazionario – il fascismo – che si farà regime di dittatura per due decenni addirittura, non può comprendersi avulso dal contesto delle sue relazioni. Ed è in tale contesto che sarebbe anche estremamente interessante vedere se si possano ricostruire i tratti almeno essenziali dei suoi rapporti personali con quegli amici e compagni che l’abbandonano, per repentina conversione, scegliendo per sé collocazioni di comodo. Quando i sentimenti non possono non giocare anch’essi, al pari delle idee, nel porsi davanti agli imperativi del dovere – del dovere “comunque” –, cui l’educazione di casa ha certamente allenato.
Perché se, volendo dare retta alla ricostruzione di memoria offertaci da Cesare Pintus, possa datarsi dal 1916-17 – dai quindici anni compiuti al ginnasio cioè – la presa di coscienza piena di una missione che sarebbe bello compiere nella sequela ideale di Mazzini e Garibaldi, attraversando nel concreto quella drammatica contingenza bellica che sta per familiarizzare con la tragedia di Caporetto e con la massiva chiamata alle armi dei “ragazzi del 99”, allora bisogna misurarlo nel metro del decennio l’impegno politico, di mente e poi d’azione, di Silvio. Un terzo pieno della sua vita. Per sommargli poi un altro estremo quadriennio di servizio rivoluzionario in centro e sud America, fisso il pensiero però all’Italia in cattività.
Dalla consapevolezza delle dimensioni della partita che è in corso e nel passaggio di un sentire diffuso dall’angoscia per Caporetto agli entusiasmi per Vittorio Veneto, nel novembre 1918, alla partenza per Cuba, nel settembre 1927 –, la missione politica di Silvio prende forma concreta. Giovane ideologo e giovane leader – apostolo nell’una e nell’altra veste, naturaliter – egli pone la sua vita personale tutta all’interno, deve ripetersi, di una missione. Neppure è così difficile per un ragazzo, per un giovane, che Mazzini l’ha letto davvero, l’ha studiato, l’ha compreso nelle sue verticalità etiche, nell’originalità della dottrina umanistica tutta orientata alla trasformazione storica della società: per la redenzione dei ceti poveri, per l’equità delle leggi economiche, per l’affermazione dei principi partecipativi che soltanto in un regime repubblicano possono trovare efficace attuazione… Né i principi possono dirsi cosa astratta, perché anzi sono la direttrice valoriale dei comportamenti più concreti quali l’attualità del primo dopoguerra impone come risposta agli aggiustamenti territoriali fra gli Stati già in conflitto, ai nuovi equilibri fra le classi sociali in Italia e fuori – si pensi alla vicenda dello sciopero generale “per le repubbliche russa e ungherese” – e altro ancora.
Soprattutto c’è il fascismo violento, quello delle squadre che impazzano anche a Cagliari, anche nei centri viciniori, e nel bacino minerario, con morti e feriti e danneggiamenti gravi…
L’atteggiamento verso uno squadrismo al momento in preparazione e comunque a quanto da esso deriverà sia in termini di pace sociale (nel mentre che si procede alla complessa smobilitazione dei militari e perciò al ritorno di centinaia di migliaia di uomini dal fronte e dalle caserme alle loro residenze ed attività) e quello, in qualche modo collegato, della prefigurazione degli assetti politici nuovi – con l’avvento del proporzionale e delle nuove regole della rappresentanza e la proposta, destinata a sconfitta, di una costituente – anche questo porta progressivamente in emersione orientamenti diversi e perfino opposti, o contrastanti, all’interno di un Partito Repubblicano che deve interrogarsi dopo sulla sua essenza e la sua funzione nel nuovo quadro storico.
C’è da chiedersi chi siano i repubblicani, chi gli attivisti con tessera e votanti alle assemblee della sezione, e poi alle urne politiche (novembre 1919, aprile 1921) o amministrative (ottobre 1920), provenienti da quali studi e da quali esperienze, e anche di quale generazione e di quale ceto, con quale storia di militanza…, quanti e quali della leva ante-guerra, e quanti e quali del nuovo accesso per fascinazione neorisorgimentale, giovani soprattutto questi ultimi… proprio come Silvio e come Cesare Pintus, e come Anchisi, e come Mereu…
Bisognerà tentare un censimento delle forze, una loro caratterizzazione. Un primo elenco io stesso l’ho tentato, partendo proprio dagli anni 1895-96 (dal busto collinese a Giovanni Battista Tuveri e dalla lapide scoperta al cimitero di Bonaria), passando per le notizie di cronaca che citano repubblicani ora ai congressi regionali (1901, 1903 e 1905) o alle varie manifestazioni di partito, ai turni elettorali come candidati oppure polemisti nei dibattiti sulla stampa, e ancora corrispondenti, notisti, redattori dei giornali politici di parte (dall’Edera alla Scure e più tardi
Il Popolo di Sardegna, ai numeri di serie come Il Dovere o d’occasione come A Garibaldi o XX Settembre…) o d’area pur anche sassaresi (La Nuova Sardegna, ma anche radical cagliaritano Paese…). Poco meno d’un centinaio di nominativi nella città capoluogo e nel suo largo hinterland (oggetto della ricognizione), con le attribuzioni alle varie piazze provinciali, fino ad Iglesias, fino a Villacidro e San Gavino Monreale, fino a Guspini e Arbus, fino a Collinas e ad Oristano addirittura…
E dunque è possibile tentare una analisi per comprendere quanta militanza sperimentata ancora concorra o competa con quella dei nuovi, dei giovani neorisorgimentali, nel governo del partito, nell’orientamento della sua barra politico-ideologica e programmatica…
Perché per comprendere Silvio Mastio, cogliere il suo vero profilo intellettuale e poi le ragioni della azione, è necessario collocarlo dialetticamente nel suo ambiente politico. Se, come si è accennato, il suo esordio del movimento e nel partito data dalla sottoscrizione, ai primi del 1919, a
L’Iniziativa, è elemento acquisito che lo studio dei sacri testi mazziniani lo ha preparato per tempo, addirittura accendendo in lui, sei mesi prima della fine della guerra e quando ancora pesava nel morale dell’esercito la pena di Caporetto, la fiamma della partecipazione diretta, da soldato, nell’impresa solenne e tragica di sconfiggere il nemico austriaco e portare nei confini della patria i fratelli trentini e triestini… nel nome di Nazario Sauro, di Cesare Battisti, e di Guglielmo Oberdan martire precursore.
Ancorché attraverso rapidi stelloncini, la cronaca dei giornali riferisce dell’attivismo repubblicano del capoluogo. Dice di quelle assemblee che si svolgono, ora per rinnovare le cariche direttive ora per discutere le questioni più urgenti, nell’ospitale sede della Camera del lavoro; dice anche dei contrasti, all’interno della sezione, riguardo allo sciopero “internazionale” (destinato a fallimento): «La sezione cagliaritana del Partito Repubblicano Italiano, l’Unione del Lavoro ed altre organizzazioni operaie, nonché i combattenti e invalidi di guerra – scrive
L’Unione Sarda del 20 luglio – hanno pubblicato vibranti appelli alle masse lavoratrici invitandole ad astenersi dallo sciopero, perché non determinato da scopi economici, ma politici e rivoluzionari».
In effetti il documento diffuso dalla Camera del lavoro era intriso di ideologia greve e umorale: «I reazionari, gli affamatori del proletariato, annidatisi nei pozzi neri delle questure e delle varie “Case del Popolo”, sconsigliano (recte: consigliano) il proletariato a negare la loro solidarietà agli affamati ed agli oppressi di tutto il mondo. Queste pseudo organizzazioni questurinesche a capo delle quali vi sono moltissimi generali, ma pochi soldati…».
La sezione del partito, affidata alla segreteria di Pozzi – uomo vicino a Enrico Nonnoi, leader storico del PRI locale con il quale s’è affacciato alla ribalta già dalla fine dell’Ottocento –, si è distinta radicalmente da questa impostazione, al di là degli orientamenti nazionali del Comitato centrale che invece, non senza dibattito e in una situazione oggettivamente confusa, ha optato per la solidarietà internazionalista.
In un primo tempo la sezione ha corrisposto a tale indirizzo, esprimendo anch’essa un orientamento favorevole, sia pure con riserva. Per meglio dire, ha formalizzato «la propria adesione in linea di massima con la riserva che essa (la manifestazione) possa esprimere l’ avversione della democrazia italiana contro la nefanda opera politica della diplomazia del governo monarchico in merito alla pace di Versaglia…»… Quindi ha cambiato opinione trasformando il “ni” in un “no” pieno e lo ha fatto pubblicando un manifesto nel quale sembra evidente, per i tratti letterari che fanno bella mostra di sé, la mano di Enrico Nonnoi, novelliere e autore di teatro oltre che avvocato e candidato permanente (e qualche volta fortunato) ad ogni tipo di elezioni. La presa di distanze è soprattutto verso l’ondata massimalista che sembra abbia preso molti che guardano con qualche simpatia alle esperienze dell’est europeo (quando i bolscevichi non fanno giustamente più paura dell’autocrazia zarista che perpetua ancora nel Novecento la servitù della gleba!).
Ma certo non è per il ripensamento repubblicano che lo sciopero, fissato per martedì 22, fallisce o s’arresta all’uscio. Fallisce già prima di iniziare. Lo stesso comizio previsto in piazza del Carmine per la mattina di domenica 20 luglio salta per il vuoto della piazza. I ferrovieri che avrebbero dovuto sostenere l’iniziativa associandola alla propria agitazione volta ad ottenere la statizzazione delle linee, paghi della condiscendenza governativa, hanno dichiarato l’immediata ripresa del lavoro…
Al giornale socialista non rimane che masticare amaro, come fa la stessa Camera del lavoro che sputa fuoco: «Lo sciopero generale virtualmente avrebbe dovuto iniziarsi domani e contro il quale i nostri avversari – a incominciare dalla questura e i suoi surrogati per finire nella Sezione di Cagliari del partito repubblicano e nella Unione del Lavoro dei preti – avevano già messo in opera le arti più subdole e più sleali, d’ordine della Confederazione Generale del Lavoro, non deve attuarsi…».
Il Risveglio dell’isola, sponsor, con gli altri soggetti dell’area socialista, della mobilitazione nella piazza di Cagliari e provincia, ne ha subito preso atto scrivendo in prima pagina il 22 luglio: «Che vi siano stati dei truffaldini, siano essi repubblicani o preti mestatori e politicanti, i quali abbiano usato, in combutta con la questura e con tutti i ruffiani del Prefetto, tutte le arti più vigliacche e più invereconde per deviare l’azione del nostro proletariato, non è cosa che dobbiamo rilevare noi che intendiamo la lotta ben diversamente dal modo come la intendono i nostri avversari. Certo di fronte al comunicato ufficiale del Comitato Centrale del Partito Repubblicano Italiano che dava la sua adesione incondizionata allo sciopero generale, nessuno poteva immaginare che la minuscola sezione di Cagliari, con a capo il fiero seguace di Bovio avv. Enrico Nonnoi , saltasse fuori all’ultimo con un manifesto pieno d’immagini rettoriche molti discutibili… per predicare ai nostri operai, i quali nulla hanno da spartire con i ridicoli Nonnoi e simile genia, un atto contrario alla disciplina ed al buon senso. La repubblica cagliaritana, che per lungo silenzio parea fioca, non vuole scherzare col fuoco ed attende la realizzazione del suo programma dalle prossime elezioni politiche col beneplacito del molto riverito Conte di Costagliola e del questore commendator Troise».
E’ ritornato in argomento il 28: «La Sezione di Cagliari ha preferito invece seguire la vita opposta inasprendola, per sovrappiù – scrive in una nota sull’edizione del 28 luglio –, di frasi evidentemente ostili al proletariato organizzato e ai socialisti. Ed ha fatto male, perché simile atteggiamento non è stato neppure assunto dalle Associazioni milanesi dei volontari di guerra, degli arditi, degli smobilitati, dei combattenti… A Milano, dunque, come nelle altre città più progredite d’Italia anche i combattenti e gli smobilitati dimostrano una diversa mentalità e considerano il tentativo comunista di Russia e d’Ungheria non come un movimento dannoso che debba reprimersi, o sopprimersi, ma come un esperimento contro il quale nessun uomo del mondo deve adoperare alcun’arma. Diversa mentalità degli smobilitati cagliaritani, come si vede…».
Silvio Mastio e altri con lui non hanno condiviso, si sa, sulla sponda repubblicana, quanto deliberato dalla sezione di appartenenza e lo hanno denunciato pubblicamente con una lettera allo stesso giornale riformista che l’ha pubblicata con buona evidenza il 31 luglio: «Caro Risveglio, in merito alla tua dichiarazione del 22 c.m. circa l’atteggiamento del PRI nei riguardi dello sciopero generale teniamo a dichiarare quanto segue…». Firmato: «Per un gruppo della Sezione Repubblicana Silvio Mastio».
Ne hanno poi confermato i contenuti in un’altra indirizzata direttamente, il 4 agosto successivo, al segretario della sezione Pozzi. Questi, convocata d’urgenza l’assemblea, propone ed ottiene l’espulsione dei ribelli. Chiede poi ospitalità a
L’Unione Sarda, per rendere di pubblico dominio la delibera. Cosa che L’Unione fa il 6 successivo: «La sezione di Cagliari del Partito Repubblicano Italiano… ad unanimità di voti delibera di radiare dall’albo dei suoi soci i detti Mastio…». E’ la rottura.
Non può certo bastare, a consolare, il riconoscimento che, da parte del giornale socialista, viene a Silvio ed agli altri di quel «sentimento di coerenza che, specie ad uomini di parte, è assolutamente indispensabile». Non può bastare, perché né Silvio né gli altri sono socialisti, e per certi aspetti sono anzi molto lontani dalla ideologia di classe e materialista del socialismo italiano. Le sintesi rivoluzionarie Silvio e i suoi compagni le vogliono trovare all’interno della dottrina tradizionale del mazzianesimo…
Il gruppo, si sa,si costituisce in Fascio mazziniano “Patria e Umanità”ma comune rimane il sentimento e, per gran parte, il giudizio verso quanto ribolle nell’attualità politica e sociale dell’Italia ora affidata al governo Nitti: «Ai Fiumani, sacrificati dal martirio di una passione di italianità che non muore; ai “disertori”che li difendono, giovinezza viva e vivificante di fede e di ideale, votata all’estremo sagrifizio del sangue contro la profonda miseria morale di servitori striscianti la Sezione di Cagliari del partito Repubblicano Italiano manda il suo fervido e reverente saluto augurale», dice un comunicato del 1° ottobre.
A proposito. Nell’anniversario di Ronchi, un nuovo saluto parte dalla rappresentanza regionale repubblicana datasi convegno domenica 12 settembre 1920 ad Oristano. E’ alle viste il congresso nazionale del partito, convocato ad Anona dal 25 al 27 settembre. Il proposito è di ricostituire la rete della militanza regionale da vario tempo andata in crisi. Presiede Edoardo Rossi, un marmista toscano che ha piantato famiglia e lavoro a Cagliari ora già da trent’anni; vice presidenti l’oristanese avv. Giovanni Battista De Martis (dalla fede in verità alquanto fragile, non tanto per la rapsodica simpatia socialista ma soprattutto per la prossima definitiva e… fortunata opzione fascista, che lo porterà alla vice segreteria federale del PNF all’indomani dell’operazione Gandolfo…), ed il guspinese Mario Mocci; segretario Gino Anchisi (un altro che migrerà presto per i lidi fascisti ma che intanto, forse anche in nome della colleganza liceale con Silvio, si è da subito adoperato per il rientro di questi nel partito).
Le elezioni amministrative d’autunno che sono un successo per l’anima moderata del PRI registrano una permanente riserva di Silvio Mastio sulle prospettive politiche generali e forse in essa cova perfino un dubbio che la volontà dei più nel suo partito, a livello nazionale ma ben più a livello locale, guardi alla scena politica ormai con l’occhio rassegnato dello sconfitto. Anche alle politiche del novembre 1919 la sua posizione si è differenziata da quella ufficiale del suo partito, propendendo egli per l’astensione e il partito invece per il sostegno alla lista dell’Elmetto (poi partito del Rinnovamento). Non può non rilevare però che a Cagliari il listone Bacaredda (48 eletti) ha accolto e portato al governo della città ben quattro repubblicani: Agostino Castelli (medico igienista e professore) con 2.298 preferenze, Enrico Nonnoi (avvocato) con 2.060, Pietro Spano (farmacista) con 2.052 e Raffaello Meloni (pure avvocato) con 2.049. All’opposizione 11 popolari ed un combattenti (il sempre inquietante Umberto Cao).
Sarà importante ripassare la stagione delle avanguardie repubblicane, minoritarie sì ma non meno coraggiose delle cugine sardiste in camicia grigia.
Il Solco sardista documenterà questa prossimità antifascista fra repubblicani e sardisti, prima della svolta opportunistica modellata dal gen. Gandolfo. Bisognerà scorrere e spulciare la collezione del Solco (e anche quella della sassarese Voce dei Combattenti) alla doppia ricerca delle sintonie ideali sul programma socio-economico e, in parte, anche politico-istituzionale e di quelle sollecitate dalla bruciante cronaca del contrasto al montante squadrismo.
Il 21 dicembre 1922 la sorcinelliana
Unione Sarda scrive del sequestro e dell’incendio delle pile del Solco appena esitato dalla tipografia, e poco dopo riferisce delle invasioni di sedi – compresa quella repubblicana del viale Regina Margherita – e delle numerose dosi di olio di ricino distribuite a destra e a manca con intento sempre purificatore… E anche della «asportazione», in occasione di una specifica e giusta visita alla casa di Emilio Lussu («futuro… presidente della Repubblica sarda»), della sua «onorevole» camicia grigia… Naturalmente neppure si contano i sequestri anche dell’altra stampa democratica, e di continentale che arriva alla stazione di Cagliari, La Voce Repubblicana compresa.
Ecco, la stampa e Mastio: sia dal punto di vista della attività, del suo volontariato redazionale o di corrispondente – al
Sardegna con Angius nella primavera di quel tremendo 1924 tempo di ferocie elettorali, all’Alba repubblicana o all’Iniziativa o a La Voce Repubblicana –, e la stampa come fonte informativa per noi sul suo conto.
Il fugace e sapido riferimento di Su Pibireddu «organo piccante della gioventù cagliaritana» diretto da Vincenzo Ambrosini nel 1926 – pagina 2 del n. 10 – fa intuire o presumere che altre volte il suo nome possa esser apparso nelle cronache anche leggere cittadine, così nei giornali universitari come in quelli del buonumore (magari a comando fascista come appunto
Su Pibireddu) e d’occasione perfino sportiva. Per non dire poi delle testate politiche più o meno schierate, e pro e contro, che potrebbero averlo citato per ragioni le più diverse per meriti o per (presunte) colpe.
Sono addirittura una cinquantina le testate giornalistiche che, con i tratti ideali i più vari, con la più diversa missione pubblicistica così come la cadenza periodica della serie, potrebbero essere utilmente compulsate, lungo l’arco temporale 1918-1927. Le biblioteche pubbliche custodiscono, tanto più a Cagliari, ricche emeroteche di relativa facile consultazione.
Lì puoi trovare alcune delle prove che cerchi: della partecipazione alle attività sportive dell’Amsicora o della Rari Nantes o del Cagliari calcio…, ma anche del coinvolgimento forse con ruoli perfino di promotore nei sodalizi ideologici, magari all’interno di quella galassia anticlericale che a Cagliari è germinata già da tre o quattro decenni passando dalle prime logge postunitarie per arrivare al Libero Pensiero (anni 1904), all’Unione Anticlericale (anni 1905), all’Associazione Anticlericale Studentesca, poi “Roberto Ardigò”(anni 1907), alla “Giordano Bruno” - Martiri del libero pensiero (anni 1908), all’Associazione dell’Avanguardia (1911), ecc. Fino appunto al Fascio anticlericale d’azione 191.
E naturalmente traversate in ripetute circostanze il protagonismo del repubblicano e quello dell’antifascista in un’epoca in cui le due militanze si offrono reciproca specialissima motivazione. Un repubblicanesimo, quello di Mastio che conosce le distinzioni di dottrina da altre espressioni politiche pur prossime, per taluni aspetti, come sono quelle del combattentismo e poi del sardismo. Ma che, proprio per avere consapevolezza di una certa alterità da ogni altra corrente politica organizzata e da ogni altra pulsione ideologica, pure cerca e trova, davanti al pericolo sovrastante, il momento delle aggregazioni.
Firmandosi «Segretario della Sezione Repubblicana di Cagliari», egli è intervenuto nella polemica che, nel luglio 1922 oppone
L’Unione Sarda fattasi sorcinelliana (e dunque fascista della prima ora, dura e pura) a Michele Saba repubblicano (e corrispondente dalla Sardegna de Il Giornale d’Italia) e ad un Partito Sardo irriso per l’arretramento («impressionante debacle») alle provinciali di Sassari. Siamo temporalmente ad un anno e qualcosa dalla fondazione del Partito Sardo d’Azione e dalle elezioni parlamentari che hanno visto Agostino Senes partecipare, come repubblicano, alla lista dei Quattro Mori con un eccellente risultato, e siamo anche alla vigilia quasi della “svolta” governativa con Mussolini incaricato dal re della guida del ministero.
Scrive Saba: «io sono, e son stato sempre, del tutto estraneo all’organizzazione del Partito Sardo d’Azione per la ragione semplicissima (…) che spinto da smodata ambizione di cariche pubbliche, di fortune elettorali sono un tesserato del PRI. E tutti sanno come così sia facile arrivare.
«Per il Partito Sardo ho vivissima simpatia e se continuerà ad essere avversato e combattuto ad armi corte da prefetture, sottoprefetture e uomini politici che sono espressione delle Prefetture e Sottoprefetture, la mia simpatia per esso aumenterà sino a farmi dimenticare gli errori in cui può essere caduto».
Tutto è polemica, fra Saba e i fascisti in generale e quelli de
L’Unione Sarda in particolare. Per quanto egli ha scritto circa l’esito elettorale nel Sulcis-Iglesiente (terra di spropositato arricchimento per Sorcinelli e anche di più violente bastonature dispensate dai fascisti agli operai minatori e ai militanti socialisti e democratici), è giunto pronto, a firma di Mariano Cugusi, un telegramma: «Esprimiamole profondo disprezzo per inqualificabili insinuazioni contenente sua pubblicazione odierna GiorItalia – veniamo informati che suoi precedenti vietano qualsiasi azione cavalleresca con lei – favorisca confermare ovvero smentire».
Su
L’Unione Sarda di due giorni dopo il 21 luglio, scrive il ventunenne segretario della sezione repubblicana di Cagliari: «Egregio Sig. Direttore, nella polemica che il Suo giornale sostiene con l’avv. Michele Saba e che ogni giorno va prendendo proporzioni spaventose “L’Unione Sarda” è incorsa in due errori, che mi permetto di farle rilevare.
«Non è niente vero, anzitutto che l’essere repubblicano sia una ragione di più per appartenere al PSd’A in quanto gli iscritti al Partito Repubblicano Italiano non possono far parte di altri partiti politici esponendosi, qualora sia provato il caso contrario ed essere espulsi dal nostro Partito.
«In secondo luogo (e mi duole che in questo caso si fanno con malafede delle insinuazioni maligne) a proposito dei posticini semi-guerreschi, cui potevano aspirare i repubblicani nei momenti dell’unione sacra mi permetto ricordarLe che nel 1914 il primo a proclamare la necessità dell’interventismo a fianco dell’Intesa fu il Partito repubblicano Italiano che organizzò, fra l’altro, la spedizione garibaldina delle Argonne. Spedizione che costò molto sangue al nostro partito e che riaffermò la fratellanza del popolo italiano con i combattenti per una causa molto giusta, molto alta che noi abbiamo servito, con fede e pagando di persona.
«Inoltre, poiché i ricordi storici dell’Unione arrivano sino a Maurizio Quadrio, ad Aurelio Saffi, al Montanelli, mi permetterà ancora di ricordare che quando la patria della Monarchia Sabauda dimenticava nei suoi patteggiamenti con l’Austria, gli Italiani dell’altra sponda adriatica fu precisamente il Partito Repubblicano che rialzò le sorti del pensiero irredentista e rivendicò l’italianità delle terre irredente al parlamento, attraverso la parola di Giovanni Bovio e di Matteo Renato Imbriani.
«Ancora: Guglielmo Oberdan, che è stato ora inscritto d’ufficio nell’archivio patriottico della Monarchia italiana, apparteneva al Partito Repubblicano.
«Rimembranze ammuffite, rimasticature inutili, vero, signor Direttore? Ma che vuole? noi repubblicani abbiamo talvolta la mania di dire certe verità, che fanno a cazzotti con la storia che gli scrittori amici rimodernano ad usum delphini, verità molto utili, molto povere, che certo non possono rivaleggiare con quelle dei cosiddetti partiti normali, per i quali l’ “Unione” è molto ma molto tenera…».
Scontata la volgare (e impropria) risposta del giornale:“Bravo il signor Mastio! Dimostra che già ha cominciato a leggere la storia patria e da bravo figliolo ne fa un piccolo saggio, con qualche errore. non fa nulla; errando discitur!.Ci saluti tanto il suo amico Michele Saba e riguardi la salute”.
Le cronache – vedi soprattutto
La Nuova Sardegna e Il Giornale d’Italia – dicono poi di una provocazione (mutatasi poi in vero scontro in piazza d’Italia a Sassari) – del redattore de L’Unione Sarda Cugusi a Michele Saba.
Quando firma quella lettera indirizzata, senza paura, al direttore de
L’Unione Sarda fascistizzata dalla proprietà Silvio è protagonista della scena repubblicana già da quasi quattro anni.
1921. Ripresa alla grande l’attività in sezione, Silvio partecipa alla riunione di Macomer che, giusto all’inizio di luglio – domenica 3, per la precisione –, riprende i fili delle intese di dieci mesi prima, ad Oristano, per la ricostituzione di una federazione regionale del partito. Egli è “classificato” fra i giovani, e intanto i vecchi hanno da litigare – tanto per unire – per loro conto, se è vero che Agostino Senes dà forfait accusando gli amici di un certo disimpegno nei suoi confronti in occasione delle recentissime elezioni parlamentari (5.934 voti personali!).
Elezioni a parte, i mesi che precedono hanno registrato la visita di Fernando Schiavetti, nuovo segretario nazionale del partito – 70mila iscritti all’ultimo congresso – , e primo direttore de La Voce Repubblicana ora agli esordi con 12mila abbonamenti, il quale incontra ad Oristano quella militanza locale che ha cercato, domenica 27 febbraio, di rappresentare alla meglio le liturgie di un congresso regionale ad un nuovo inizio. L’indomani egli ha poi parlato nella sala di ricevimento del municipio di Cagliari sul tema “Autonomie regionali e momento politico attuale”, spiegando che l’autonomismo repubblicano è tutto il contrario di quello caldeggiato «dagli autonomisti della borghesia ufficiale, i quali intendono instaurare una nuova burocrazia nell’autonomia regionale sicché ai popoli non sarà mai possibile disporre a loro talento della propria indipendenza». Per concludere: «I giovani sardi, specie i combattenti, non si illudano sulle eventuali promesse del governo di Roma, ma si preparino a un governo libero da ogni burocrazia che solo il regime repubblicano può dare». Un bel discorso che ha prodotto anche un discreto gruzzolo a favore della Croce Verde che si intende rilanciare a Cagliari.
A maggio poi c’è stata una presa di posizione ufficiale, su
L’Unione Sarda antipatizzante repubblicana, di Gino Anchisi, ventenne segretario della sezione contro un diciottenne che attraverserà anche lui i mari nazionalisti e fascisti,il quale ha osato attaccare su L’Azione Italiana il PRI («un altro vegetale ha relativamente prosperato nell’invasione di male erbacee del dopoguerra: la muffa repubblicana») prendendo lo spunto da qualche opuscolo di propaganda forse non curato al meglio: «Il PRI non “se la barcamena rubacchiando qua e là da ogni piccolo programma discorso che ogni smanioso candidato alle elezioni si fa un dovere di esprimere dal giovine capo ambizioso” un sacco di rimedi e pannicelli caldi. Il programma del PRI ha quasi un secolo di vita, ed è sorto tra le congiure e le battaglie di coloro che vollero ridare e ridiedero l’Italia all’Italia».
Nello stesso mese è stato espulso Enrico Nonnoi e la sezione si è sciolta. I giovani sono schierati con l’area intransigente e autonomista interpretata da Ghisleri Conti e Zuccarini
Verso metà febbraio (12-14) si è tenuto l’VIII congresso nazionale della FGRI, presenti i delegati di circa 300 circoli per 9.000 iscritti (ma con un’area militante quasi doppia): la linea uscitane vincitrice è stata chiara: antifascismo senza sconti, lotta alla degenerazione del costume politico e contro i maldestri ma continui tentativi di deformare il pensiero mazziniano in chiave filofascista; organizzazione in avanguardie o squadre d’azione .
Il 1° luglio è a Cagliari Oliviero Zuccarini, direttore de
La Critica Politica. Egli parla al bastione di San Remy dell’attualità politica su cui gravano tutte le ipoteche della guerra e di un dopoguerra che non trova una classe dirigente all’altezza di governarla: così nelle pubbliche finanze come nell’economia. Dopo Orlando Nitti, dopo Nitti Giolitti ora al suo epilogo «fallimentare»… La severità del giudizio colpisce però anche i socialisti che «si sono soverchiamente illusi del loro effimero successo elettorale e han creduto di potere con le proprie forze esclusive, trascurando gli altri aggruppamenti e organizzazioni affini, raggiungere la società di fratellanza e di eguaglianza universale. In tal modo, volendo conseguire l’irrealizzabile hanno smarrito il senso della misura e il popolo, a causa di ciò, ha dovuto rinunciare alle prime conquiste certe che era la Costituente». Conclusione: poiché la riforma economica è di necessità figlia della riforma politica, occorre muratore radicalmente la forma del governo «come l’intesero Mazzini e Cattaneo».
1922. Il manifesto repubblicano il 10 marzo, e la celebrazione mazziniana – stavolta ad iniziativa dell’Associazione universitaria – domenica 19, al Politeama Margherita. Oratore ufficiale Agostino Senes, tornato in pace con gli amici e compagni.
Nel cinquantesimo della morte dell’Apostolo repubblicano la sezione cagliaritana – è adesso segretario Silvio Mastio – ripropone alla cittadinanza il grande messaggio di democrazia che la mente e il cuore di Giuseppe Mazzini hanno offerto: «all’Italia diede una grande idea storica, l’unità, e all’Umanità intera una rande idea filosofica del diritto». La priorità che la sezione cagliaritana assume per sé è «l’dea del dovere su quella a sperare». Essa auspica «non lontano il giorno in cui sulle rovine della società presente si leveranno, come vuole la natura, come vuole la giustizia, come vuole la storia, i templi sacri del popolo libero; auspica non lontano il giorno in cui, all’ombra della bandiera repubblicana che tanti eroismi vide e tante glorie seppe, l’umanità travagliata riprenderà il suo cammino verso… quel sogno d’amore e quell’alta idea di bene che fu la gioia e il tormento, l’angoscia e la speranza dell’anima immortale di Giuseppe Mazzini».
Nell’estate – se n’è detto – la polemica fra Michele Saba e
L’Unione Sarda di Mariano Cugusi; a dicembre (e poi ancora a marzo) un giurì d’onore dovrà risolvere un’altra vertenza ancora fra Michele Saba e L’Unione Sarda di Ferruccio Sorcinelli.
E a dicembre – il 4 – un dirigente repubblicano passato ai dark – Publio Mulas – inaugura la sezione del PNF a Pirri; ancora a dicembre – il 21, i fascisti occupano varie sedi politiche degli avversari, fra cui quella repubblicana della Marina (angolo fra Su Stradoni, ossia il viale Regina Margherita e la via Sardegna). Ancora pochi giorni ed ecco – nella notte fra il 29 e il 29 – la replica con fuoco a Sassari, fra le vie Turritana ed Università, come rappresaglia a un attentato (addebitato ai repubblicani) che ha colpito il segretario provinciale dei Fasci.
1923. Una corona sul busto di Bovio nel XX della morte. La sede repubblicana è di nuovo obiettivo d’aggressioni. Protagonisti stavolta dell’occupazione alcuni nazionalisti, cui presto subentra la polizia, acquiescente il generale prefetto Gandolfo. «Ci riuniremo nelle grotte», promettono i vari Mastio e Pintus…
1924. Su Sardegna esce la polemica riguardante…i gatti.
Il Giornale di Sardegna ne scrive il 6 aprile: non più quattro ma tre, aveva scritto Sardegna per la penna di Silvio Mastio, alludendo alla migrazione di Gino Anchisi fra le sponde fasciste; no, i gatti sono diventati due – assicura adesso il giornale fasciomoro – perché uno «ha passato in buona compagnia di due angeli custodi l’arco della Torre di S. Pancrazio per godere le fresche aure del turrito Buon Cammino». Di chi si tratta?
Il 4 maggio, ancora Il Giornale di Sardegna lancia la sua freccia: «Un triumvirato giovanile repubblicano regolarmente costituitosi in comitato – segreto per via della famosa reazione trionfante – (significativa questa tendenza ed una specie di carboneria 1924) ha lanciato un nobile (?) manifesto agli adolescenti del repubblicanesimo italiano.
«Nel capolavoretto letterario e stiracchiatuccio anzichenò, c’è il conto degli angeletti, il ronzio dei maggiolini, l’alitare delle farfalle, il fiammante sole, la rutilante primavera: c’è il significato di ribellione del prima maggio, la libertà della patria, l’Hermada insanguinato, il sole della giustizia, ecc. Tutta questa bella roba (che sa un po’ del pesto genovese) è condita abbondantemente con delle aristocratiche invettive contro il fascismo che opprima, schiaccia, massacra, tritua, soffoca, dilania (e chi più ne ha più ne infilzi) il povero proletario ecc. Caso strano! non potendo mordere… applaude ai manganellatori della … ricostruzione. O buffo, buffo!...
«Ma tanto parto letterario non poteva fare a meno del pistolotto finale in veste di gala, sciarpa e decorazione (si tratta di repubblicani che da qualche tempo hanno monopolizzato il combattentismo!) come premio di consolazione per i poveri allocchi che… bevono il verbo di… (e Mazzini che c’entra) e starnutano augurandosi reciprocamente il tradizionale. salute!
«Il triumvirato conclude (la montagna partorisce il topo): “Nell’urlo sinistro (è il 21 aprile che urla) della bufera, torna all’animo stanco (si tratta di giovani) e lo ritempra l’affermazione superba del Poeta d’Italia (che sia Carducci’): Solcati ancor dal fulmine / Pur l’avvenire siam noi!”.
«Meno male, sono modesti. Chi non ha potuto esser il passato; chi non è il presente, speri pure di essere l’avvenire. Ma c’è di mezzo il fulmine e il fascismo.
«Alla bandiera dell’avvenire non c’è la guardia che domanda se c’è niente di dazio ma tali… porcherie non passano lo stesso. Nemmeno in nome di Mazzini. nemmeno coi versi del poeta».
E’ drammatico il 1924. Il rinnovo parlamentare suggella il passaggio del comando politico, anche nella rappresentanza, ai fasciomori. Sconfitti i fascisti della prima ora, i sorcinelliani duri e puri, sconfitti però soprattutto i democratici.
L’alleanza sardo-repubblicana è uno degli argomenti forti della quotidiana polemica della stampa regionale fascista o sardo-fascista. Il giornale fasciomoro tenta di annettersi anche la memoria di Giovanni Battista Tuveri, scrivendone ripetutamente fra luglio e agosto.
E continua intanto la fuga opportunistica dalle sponde anche della democrazia repubblicana verso quelle volgari ma allettanti del fascismo. A marzo è stata offerta a Garavetti, che l’ha ben accolta, la tessera del PNF.
La Voce Repubblicana – il cui ufficio di corrispondenza da Cagliari e andato da Silvio Mastio a Cesare Pintus – passa ancora da un sequestro all’altro, una volta per propaganda eversiva antifascista, un’altra per propaganda eversiva antimonarchica. A dicembre, giusto per chiudere l’anno, lo stop è stato imposto alla stazione ferroviaria. Scrive nell’occasione, Il Solco, che dopo le elezioni ha ripreso le pubblicazioni sospese ormai da un anno e più: «Non siamo a conoscenza di quali terribili delitti fosse materiata qualche corrispondenza dall’isola al giornale repubblicano. Ma dato l’oculatissimo e pronto intervento delle autorità locali per privare i cittadini di Cagliari della lettura dei crimini contenuti nel foglio romano possiamo giurare che era proprio necessario salvare la patria… in Sardegna».
Il Solco. Fra il 1924 e l’anno del “canto del cigno” per la democrazia italiana – il 1925 – l’accordo ideale e politico e perfino organizzativo fra repubblicani e sardisti è pieno, ed il giornale del PSd’A – così come avviene a livello nazionale per i sardisti con
La Voce Repubblicana – si fa ospitale e amico con la militanza del PRI isolano. A gennaio è Eugenio Mulas – avvocato e già consigliere provinciale repubblicano lanuseino – a pubblicare una lunga denuncia, sotto forma di «lettera aperta a S.E. il ministro di giustizia» sulla cattiva amministrazione giudiziaria nel suo circondario (“Come il governo nazionale tratta l’Ogliastra”, in cui l’aggettivo «nazionale» è evidenziato dalle virgolette). A febbraio è Lussu a pronunciarsi sull’imminente congresso nazionale del PRI, e sul tema il giornale tornerà ancora con il commento del deputato sardista e con la pubblicazione della relazione dell’on. Gaudenzi e la mozione conclusiva . Il notiziario del Solco prende e mette: ora è per la remissione di querela del prof. Guidi contro Cesare Pintus – difeso dagli avvocati Giovanni Conti e Randolfo Pacciardi – per un suo articolo uscito su La Voce Repubblicana (“Il prof. Guidi insiste col suo difensore per ottenere dal Pintus un riconoscimento di stima e di correttezza, che l’imputato rifiuta di concedere”), ora è per annunciare il grave (e infausto) malore dell’on. Ubaldo Comandini, ex deputato repubblicano e già ministro per la propaganda e assistenza negli anni della grande guerra e della intesa nazionale… Il 16-17 giugno, di spalla in prima pagina, una lettera di Mazzini «Apostolo dell’altra era». Giusto tre mesi prima è uscita, sotto il titolo di “Commemorazione mazziniana”, la cronaca dell’assemblea di sardisti e repubblicani nella sede del giornale, nella quale ha parlato Silvio Mastio.
Così il giornale ha riferito dell’evento: «Domenica (15) la Sezione repubblicana ha commemorato il 53° anniversario della morte di Giuseppe Mazzini. I locali del Solco erano letteralmente gremiti di repubblicani e di amici politici ai quali era stato esteso l’invito di partecipare all’austera cerimonia. Il segretario politico della sezione dott. Cesare Pintus, con acconcie e vibranti parole dove ha avuto modo di accennare lungamente all’attuale non lieta situazione politica, ha presentato l’oratore ufficiale dott. Silvio Mastio, il quale ha parlato per circa un’ora, lumeggiando con profondità di dottrina e fervore di discepolo, il pensiero e l’azione del maestro, nella sua duplice manifestazione nazionale e universale. Gli oratori sono stai applauditi. L’adunanza si è sciolta senza il minimo incidente». Cronaca che il giornale ripubblicherà altre due volte, nei giorni successivi.
C’è poi la conclusiva e tragica (e gloriosa) pagina americana. Quattro anni di una vita giovane eppure già bruciata dal fare dall’esserci e dunque del testimoniare. Ci sono, certo, i documenti ora custoditi nell’Archivio di Stato di Cagliari che Carlo Mastio ha donato per la consultazione da parte degli studiosi; ci sono anche le memorie, certamente da ponderare, di qualcuno dei famigliari come Ettore jr., uno dei figli di Francesco-Cicito, il primogenito di Salvatore Mastio e Maria Giovanna Sedda; i ritagli di un giornale colombiano che in prima pagina scrive di Silvio, o delle intenzioni di quest’ultimo, vagheggiate in un qualche momento di… programmazione della vita anche professionale lontano dall’Italia fascista, di un impiego in una società petrolifera nel nord della Russia…


Gianfranco Murtas - 11/10/2011



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