Che bisogno c’e’, oggi in Italia,
di un Partito Democratico, il “Partito della Democrazia” come
gia’ lo chiamo’ 20 anni fa’ Giovanni Spadolini, primo
Presidente del Consiglio laico dalla nascita della Repubblica
?
La risposta e’ chiara. E’ ormai evidente
che il nostro quadro politico, cosi frammentato, così
“tattico”, e’ inadeguato a reggere, e tanto meno a governare,
le grandi sfide davanti a noi. E l’affermarsi dell’Ulivo e
dell’Unione, che hanno delineato una risposta concreta, di
governo - seppur con un esito elettorale non ottimale - e’
solo il primo passo verso una miglior governabilita’. Senza
ulteriori passi avanti verso la creazione di un motore
politico piu’ compatto, le indubbie capacita’
tattico-strategiche di Romano Prodi e Massimo D’Alema nel
tenere assieme la coalizione di governo rischierebbero di
logorarsi in mediazioni quotidiane tra soggetti politici
diversi.
Le sfide che si profilano
sono ingenti. La fine della contrapposizione Est-Ovest, che
con la sua “Mutual Assured Destruction”(MAD) per oltre 40 anni
aveva “impietrito” e a suo modo stabilizzato le tensioni
mondiali (anche quelle vitali di molti paesi emergenti) ha
liberato vasti e impetuosi processi di dislocazione sociale,
amplificati ora anche da media ormai globalizzati. Milioni di
persone sono in movimento fisico e mobilitazione mentale,
generando flussi migratori e aspirazioni crescenti e
multidirezionali. Molte piattaforme produttive e di servizi
(dal tessile, alle scarpe, all’acciaio, all’oreficeria, al
software, all’alimentare) si stanno riposizionando (non solo
fisicamente, ma anche come controllo strategico) in Paesi
emergenti, lasciando ampi vuoti occupazionali e strategici in
ormai attempate economie industriali come l’Italia. I mercati
finanziari, dotati di enormi e mobilissimi flussi
d’investimento, sono diventati giudici severissimi delle
competitivita’ delle nostre economie, in particolare di una
cosi’ “disequilibrata” come quella italiana. L’aumento dei
surplus commerciali e delle risorse finanziarie di molti Paesi
emergenti li spinge verso politiche estere, militari e
nucleari sempre piu’ spregiudicate. Il terrorismo
internazionale, che e’ figlio anche di queste accelerazioni,
sta mutando il profilo delle nostre vite e della nostra
sicurezza. Perfino la “tranquilla e noiosa” Unione Europea,
ancora in parte modellata sull’Europa dei 6, si appresta a
diventare l’Europa dei 30, ed e’ impegnata ad attingere alla
carica “vitalmente barbarica” dei popoli dell’Est Europeo,
governandola , senza subirla.
Di fronte a cio’, il sistema politico
sembra passivo, verboso e dispersivo, infarcito di polemiche
formali volte a rimandare le difficili scelte da compiere - a
sinistra (dove sono ancora presenti alcune tendenze
massimaliste ed un certo “buonismo” indifferenziato
imperversa) come a destra (dove, ad essere caritatevoli, il
modello prevalente e’ il capitalismo vetusto dei privilegi,
dei notabili e delle corporazioni).
Nello schieramento di Centro Sinistra urge
compiere un serio sforzo di sintesi nei prossimi 6-9 mesi,
perche’ nel 2007 lo scacchiere mondiale, soprattutto a partire
dal nostro intervento in Libano di queste settimane, ci porra’
di fronte a dilemmi intricati e urgenti. Ogni nostra “storia”
sara’ un contributo importante, ma dovremo andare oltre
perche’ rispondere alle sfide future richiede una
strumentazione ed un quadro ben piu’ ampi delle nostre singole
provenienze.
La radici storiche e
l’attuale collocazione dei Repubblicani
Europei
Quanto ai Repubblicani Europei, una
precisazione preliminare. Nell’era del bipolarismo italiano,
pur con tutte le sue incompiutezze, la scelta di campo
nell’area riformista e di CentroSinistra e’ inequivocabile ed
in linea con la storia del movimento repubblicano e con la
spinta riformatrice (rivolta verso la destra conservatrice
come verso la sinistra massimalista) di Ugo la Malfa durante
tutta la sua vita.
Del resto, il “Padre” di tutti i
Repubblicani, Giuseppe Mazzini, quasi due secoli fa
nell’Europa della Restaurazione post-Napoleonica , di fronte
ai poteri assoluti che stavano recuperando il loro assetto,
propugno’, con sommo pericolo, una delle piu’ grandi idee
riformiste della Storia europea, l’idea repubblicana, basata
sulla centralita’ del cittadino nel governare il proprio
futuro attraverso libere elezioni. Il Partito d’Azione, da lui
fondato, e’ il primo movimento democratico, fondato sulla
responsabilita’ dell’azione di governo di fronte al giudizio
dei cittadini, una posizione in quei tempi assolutamente
“rivoluzionaria”. In “Doveri dell’uomo”, la cui prima stesura
precede di qualche anno il “Manifesto” e di qualche decennio
“il Capitale” di Marx, troviamo molti dei concetti che sono
alla base del moderno intendere di uno stato laico e
riformista. Concetti che riflettono il sentire di una sinistra
“pre-marxista”, centrata sull’emancipazione dell’individuo
piuttosto che su quella della classe. Un percorso in cui oggi
riconfluiscono anche le componenti piu’ moderne della sinistra
di storia marxista.
Anthony
Giddens , in un articolo del 29 Agosto su Repubblica (“Il
socialismo e’ morto, la sinistra no”) ha inquadrato cosi il
problema del secolo “post-socialista”: il socialismo, nella
sua concezione tradizionale e rivoluzionaria, e’ probabilmente
finito nel 1989, ma i valori di sinistra no. Intendendo per
sinistra quelle forze politiche orientate verso la costante
apertura della societa’, la sua evoluzione a fini di progresso
sociale, all’“inclusione” del diverso, alla ricerca costante
dell’eguaglianza di opportunita’, dell’equita’, a prescindere
da censo, razza, religione e quant’altro.
E’ anche utile
ricordare che Mazzini , pur essendo credente e polemizzando
con loro contro l’uso della “violenza di classe” nella lotta
politica, partecipo’ attivamente insieme a Marx, Engels e
Bakunin alla nascita della Prima Internazionale nel 1864.
Nessuno scandalo quindi se oggi il nascente Partito
Democratico, con la sua componente repubblicana, fara’ parte
della sinistra democratica in seno al Parlamento
Europeo.
L’odierna
adesione dei Repubblicani Europei al gruppo Liberal
Democratico del Parlamento Europeo, attuale ieri come oggi in
un quadro politico ancora frutto di antiche appartenenze,
dovra’ evolversi in tal senso, se in Italia riusciremo a dar
luogo a questa grande forza di sintesi delle tendenze
riformiste. Ognuno dei fondatori dell’Ulivo ha una storia
importante e orgogliosa a cui far riferimento. Essa non
scompare. La portiamo dentro di noi. Il Partito Democratico
deve nascere come incontro fra le culture democratiche
italiane: il socialismo, il cattolicesimo riformista, il
liberalismo, il repubblicanesimo.
Sono le culture
che hanno fatto dell’Italia un Paese moderno e avanzato, un
Paese di democrazia - culture che hanno lottato in
clandestinita’ durante le pagine piu’ cupe del Paese. L’unità
nazionale, la democrazia, le Repubblica sono compiti che
queste culture hanno affrontato sempre insieme. Ora e’ di
nuovo tempo di riconoscersi in un approccio unitario di fronte
alle grande sfide, interne ed internazionali che ci
fronteggiano, tutti insieme con pari dignita’
politica.
La forma
“primaria” del Partito
Democratico
Tralasciamo per ora gli aspetti
organizzativi, ma ribadiamo due temi primari sulla “forma” del
PD. Innanzitutto il profilo
fondamentale del rapporto tra PD e cittadino,
dovra’ essere basato sulla laicita’
dell’operare politico. Questa e’ la “forma primaria” di una
democrazia avanzata: la liberta’ di pensiero, di coscienza, di
ricerca, di opinione, di azione all’interno di regole
condivise. Una liberta’ mentale messa al servizio
dell’espansione della prosperita’, della sicurezza e della
giustizia sociale per una base sempre piu’ larga di persone.
Consci della forza delle tradizioni storiche, religiose e
culturali del popolo italiano (nella sua straordinaria e ricca
diversita’) dobbiamo essere talmente forti da non ergerle a
bastioni artificiali contro il divenire della societa’.
Secondo, il successo delle
Primarie ha mostrato quanto sia importante
colmare il gap di partecipazione politica (soprattutto
giovanile e femminile) in Italia. Il deficit democratico si
scorge in alcuni fenomeni di malessere devastanti, dalle
periferie degradate ai giovani che si ritengono “senza
futuro”. Il Partito Democratico dovra’ strutturarsi in modo da
dare la possibilita’ a tutti i cittadini di essere
maggiormente coinvolti nei processi, ovvero
di essere responsabilizzati e non trattati da meri
consumatori. Essere un soggetto politico che ispira fiducia
non e’solo questione di un’intelligente strategia di
comunicazione , di stagioni politiche brevi ed effimere,
incapaci di dare risposte alle domande profonde di senso che
la societa’pone alla politica. E’ il frutto di una vera
apertura partecipativa a tutti i livelli a cui il PD
dovra’ dare forme organizzative convincenti.
I
contenuti programmatici
Per chi viene da una storia repubblicana
ribadire la centralita’ dei contenuti rispetto alla tattica di
schieramento e’ quasi banale. Il “ laboratorio di
contenuti ” e’ stata una caratteristica fondamentale dei
Repubblicani negli ultimi 50 anni. E’ importante che il
nascente Partito Democratico continui su questa linea. Qui ci
preme segnalare alcuni contenuti chiave, nella moltitudine che
sarebbe interessante citare, che il nuovo Partito dovrebbe
sviluppare come pilastri della propria azione:
·
La priorita’ assoluta di un
progetto riformista e’ far funzionare e rendere
credibile lo Stato, nei suoi vari snodi, come
erogatore di servizi e garante di regole, non come fornitore
di sussidi. Se lo Stato funziona e mantiene regole chiare
nella societa’ e nel mercato, il sistema economico, nei suoi
vari soggetti, e’ capace, se ha in se’ i giusti “animal
spirits”, di rispondere alle sfide della competitivita’
internazionale. Ma alla pari del cittadino-consumatore
l’impresa ha diritto ad uno Stato che dia i servizi per i
quali le tasse vengono pagate. Far funzionare meglio lo Stato
e’ la piu’ grande sfida dei democratici, perche’ questa e’ la
base per ogni speranza di ristabilire un rapporto di fiducia
col cittadino. Questa priorita’ si articola in vari contesti
:
·
Una politica fiscale che ponga
al centro la lotta sistematica
all’evasione, come il governo Prodi ha
iniziato a fare con decisione, e quindi una piu’ equa
ripartizione del carico fiscale tra le varie categorie, mentre
dal lato della spesa riqualifichi le sue varie componenti,
aumentando le risorse su quei servizi “strategici” (dalle
infrastrutture, alla sanita’, all’educazione, alla giustizia e
sicurezza) che possono aumentare l’efficacia complessiva del
sistema Paese e il grado di soddisfacimento dei cittadini
verso questi servizi.
·
Una strategia industriale
che NON si traduca in sostegni diretti alle
imprese ( nemmeno quelli fiscali sono determinanti ai
fini competitivi, come dimostra la straordinaria performance
dell’export tedesco e scandinavo) ma favorisca l’allargamento
del mercato e della competizione, meccanismi spiccatamente
“democratici” se basati su regole trasparenti ed uguali per
tutti - regole dotate anche di una certa severita’ e non
gestite discrezionalmente. Il modello “oligopolistico”
implicito nell’azione della precedente maggioranza della CDL,
e’ l’opposto del mercato come noi lo intendiamo, perche’
favorisce comportamenti distorsivi e il mantenimento di
privilegi in vari soggetti economici.
·
Una strategia energetica che
riporti in prima linea il tema del risparmio
energetico e delle energie
rinnovabili, senza protrarre la nostra dipendenza da
fonti esterne non rinnovabili. Questa dipendenza ci rendera’
sempre piu’ vulnerabili (economicamente e politicamente), ma
in ogni caso lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili
della Terra e’ in se’ un processo denso di tensioni
(ambientali, logistiche, socio-politiche) insostenibili a
medio-lungo termine. I Paesi scandinavi, invece, hanno un
track record interessante sui due fronti. Standard costruttivi
gia’ sperimentati in quei Paesi permetterebbero di risparmiare
una percentuale rilevante del fabbisogno energetico
nazionale
·
Il recupero del controllo del
territorio, particolarmente in quelle regioni nelle
quali gli onesti cittadini e imprenditori non si sentono parte
di un trasparente sistema di mercato, ma prigionieri non solo
delle mafie organizzate, ma anche dell’inerzia conseguente a
decenni di abbandono (o “scaltro” disimpegno) da parte dello
Stato. Di seguito approfondiamo con esempi concreti sia questo
tema che il seguente.
·
Una politica estera e di
sicurezza che, pur mantenendo solidi legami con gli
USA (legami dialettici ovviamente), ponga inequivocabilmente
al centro delle proprie iniziative un forte ruolo dell’Europa
nel governo del sistema
mondiale , nella riduzione delle tensioni e della
poverta’, accettando i costi e le responsabilita’ di questa
sfida. In questo sforzo e’ necessario che l’azione Italiana
sfugga all’ovvieta’, a tentazioni retoriche o di “reattivita’
meccanica” e diventi piu’ creativa e articolata.
Il governo Prodi ha gia’ dato indicazioni
importanti su molti di questi versanti. Tuttavia e’ nostro
compito proporre alla discussione anche approcci nuovi, una
capacita’ di ragionamento, “out of the box”, fuori da schemi
mentali rigidi, focalizzando su obiettivi concreti e
raggiungibili.
Due
esempi di attualita’
Due esempi possono dare un’idea del tipo di
approccio “out of the box” , cioe’ non conformista, fuori dal
coro, che sarebbe utile nell’ affrontare alcuni dei temi piu’
caldi del momento.
La politica di sicurezza Europea e
la stabilizzazione del Libano
L’intervento europeo ed italiano in Libano,
inteso a Parigi e Roma come la visibile ripresa di una
Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD) dopo il “buio
irakeno” e’ stato senza dubbio un atto di coraggio e di
respiro strategico. Una proiezione militare come strumento di
una politica estera Europea e’ una tappa essenziale
nell’assunzione di responsabilita’ globali. Tuttavia, a nostro
avviso, la decisione (pur attuata con prontezza tattica da
parte del nostro governo) nell’attuale contesto del
Medio-Oriente e del nebuloso mandato ONU presenta rischi
politici e militari molto alti rispetto ai benefici politici
ed economici sperati . Tuttavia una diversa e forse piu’
efficace politica e’ pero’ ancora possibile . Investe la
possibilita’ che l’Europa dia un ruolo strategico alla
Turchia nella stabilizzazione del Libano.
Alla ricerca di una sua egemonia regionale,
il presidente Iraniano, a partire dal mese di febbraio, ha
colto lo snodo strategico del periodo 2006-2008 : la
debolezza politica ed il sostanziale disimpegno di
Bush dai temi mediorientali nei suoi ultimi due anni
di Presidenza. Israele e’ ora piu’ solo, e lo sa (di qui le
sue mosse disperate), mentre si e’ aperta una finestra di
opportunita’ nello scacchiere geo-strategico medio-orientale
per chi la vuole sfruttare al fine di destabilizzare
ulteriormente gli alleati dell’Occidente nella zona.
Ahmadinejad, che ha un disegno strategico
ampio ora che l’Irak di Saddam e’ nel caos, ha quindi
“attivato” gli Hezbollah libanesi, creando i presupposti di un
secondo fronte nel quale impegnare e possibilmente fare
impantanare gli USA ed i suoi alleati, proprio nel momento in
cui il suo programma nucleare sta per raggiungere uno stadio
critico e l’ Occidente si appresta a imporre sanzioni
all’Iran.
In questo quadro, nonostante le nostre
costruttive intenzioni nell’area, la presenza di truppe con
una forte componente europea, e quindi cristiana, rischia di
essere critica, sia da un punto di vista militare che
politico. Innanzitutto esse sono troppo scarse, e troppo
diversificate; per essere efficaci ci vorrebbero almeno
30mila uomini perfettamente integrati da un
punto di vista operativo (cioe’ “interoperabili”) e con un
raggio di azione piu’ vasto di quello previsto dall’ONU. Di
fatto, potranno non prevenire ma solo rispondere ad atti
ostili, trovandosi cosi in difetto di iniziativa tattica, una
posizione contraria ad ogni logica militare.
Politicamente la
situazione e’ altrettanto critica. La presenza di truppe
“cristiane” nella regione puo’ dare l’opportunita’, a chi
“governa” il fanatismo o anche solo i normali sentimenti
islamici, di denunciare una nuova “crociata” contro l’ Islam.
D’altra parte, anche prima di scatenare la “resistenza verso
la nuova Crociata”, l’Iran usera’ il nostro evidente stato di
debolezza militare in Libano come arma di contrattazione nel
negoziato sui suoi progetti nucleari nei prossimi mesi. Ma
fondamentalmente, le nostre scarse forze militari in Libano
potrebbero divenire ostaggio di uno schema pilotato da chi ha
la capacita’ di mobilitazione di milioni di persone in Medio
Oriente (e perfino in Occidente). Mobilitazione che puo’
preludere all’acquisizione di un’influenza schiacciante su
Paesi finora “pro-occidentali” come Giordania, Egitto e magari
Arabia Saudita. Sara’ sufficiente, dopo un decente intervallo
“ricostruttivo” che potrebbe durare mesi (e in cui Hezbollah
si rafforzera’), “riattivare” gli Hezbollah, dopo il
dispiegamento delle truppe Europee costringendole a
reagire insieme ad Israele.
Su questo sfondo la strategia per cui
mobilitarsi in Europa potrebbe essere diversa e piu’
articolata : un chiaro mandato politico dell’ONU alla NATO -
che ha le strutture per portarlo avanti efficacemente ed e’ da
qualche anno sempre piu’
“europea” e meno identificabile con gli USA.
L’incarico dovrebbe essere quello di “normalizzare” una zona
piu’ vasta del Sud-Libano, anche a Nord del Fiume
Litani (dato che la gittata dei razzi sciiti puo’
oltrepassare i 70 Km). La NATO “europea”, pur mantenendo il
comando strategico della missione, potrebbe utilizzare sul
campo (almeno nei primi 12 mesi) prevalentemente
truppe turche, che sono “ampie e robuste”(la
Turchia ha oltre 500mila uomini ) e interoperabili tra loro,
islamiche ma secolari. Con forze navali e aree europee solo in
appoggio tattico-logistico. In tal modo la nozione di una
“crociata” perderebbe molta trazione. I rischi militari
sarebbero minori perche’ una forza unica sul terreno e’ ben
piu’ efficace di un mosaico di forze nazionali distinte e di
sistemi operativi differenti. Nel caso della Turchia, i
ricordi dell’Impero Ottomano pongono dei problemi
storico-politici nella regione, ma questi possono essere
ricomposti all’interno di una maggiore affinita’ culturale e
religiosa.
Potenziare il ruolo strategico della
Turchia, nazione islamica ma secolare ed appartenente alle
istituzioni del sistema di sicurezza occidentale, e farne uno
degli stabilizzatori della regione, come contrappeso all’Iran,
potrebbe essere un opzione
strategica degna di approfondimento.
Dibattito che ovviamente investe anche una
accelerazione del negoziato sull’adesione della
Turchia alla Unione Europea.
Chiedere alla Turchia di schierare 3
divisioni in Libano e’ un atto che implica una forte
contropartita politica ed economica da parte nostra. Un’Europa
a 25 paesi, e tra poco ancor piu’ allargata, e quindi con una
massa critica “cristiana” rafforzata dai Paesi dell’Est, puo’
agevolmente accogliere un Paese musulmano senza che vengano
compromessi i suoi valori culturali fondamentali.
Competitivita’, produttivita’ e
controllo del territorio .
Il dibattito
sulla competitivita’ e la produttivita’ del sistema Paese a
nostro avviso ha focalizzato prevalentemente su serie
statistiche “impersonali” e non sulle vere cause, sociali, del
fatto che alcune importanti regioni del Sud Italia diano un
scarso contributo alla creazione del reddito nazionale, almeno
di quello “ufficiale”. Questa “sottoperformance”, questo
dualismo, dipende non da mancanza di talento o incapacita’di
lavoro, ma in gran parte perche’ in quelle regioni lo Stato
non ha il controllo totale del territorio e del contesto in
cui le attivita’ economiche in esso presenti (o possibili)
dovrebbero svolgersi senza condizionamenti. I condizionamenti
malavitosi, che hanno costi sociali enormi e si diramano anche
in talune aree del Nord, sono ormai un freno inaccettabile non
solo per la liberta’ degli individui , ma anche per la
competitivita’ complessiva del Paese.
In un Paese “
normale” il primo atto di politica economica focalizzato al
problema sarebbe quello di ripristinare un maggior grado di
controllo sul territorio da parte dello Stato, senza
“benaltrismi”, con decisione e con misure concrete,
non di natura straordinaria ma ordinaria e
continua. Allora discutiamo un’idea
provocatoria, ma forse utile a sbloccare il dibattito
stagnante sul tema.
Il bilancio
dell’Arma dei Carabinieri (un’istituzione che ha la stima
degli Italiani e che il mondo ci invidia per professionalita’
e affidabilita’) e’ di soli 4 miliardi di Euro circa, che
finanziano tutte le attivita’ dei suoi 115mila uomini e, non
dimentichiamo donne, sparsi sul territorio nazionale.
Aggiungendo un solo miliardo l’anno (una
inezia rispetto ai torrenti di trasferimenti al Sud gia’ fatti
e da fare) si potrebbe:
- aumentare la
forza di almeno 30 mila unita’;
- concentrarla
stabilmente nelle 4 aree “ critiche” e
bisognose di una maggior presenza dello Stato, raddoppiando o
triplicando su base stabile la sua presenza in queste aree a
rischio.
E’ ovviamente
arduo quantificare a priori gli effetti di questa misura sul
quadro economico meridionale, ma e’ ragionevole supporre che
persino a Locri o a Corleone le ricadute positive sulla libera
attivita’ economica e socio-politica sarebbero visibili.
Questo atto, a nostro avviso, porterebbe ad un concreto
miglioramento del potenziale economico complessivo, sia del
Sud che del Paese. E sarebbe di per se’ un potente segnale ai
cittadini di quelle regioni che lo Stato e’ determinato ad
assisterli nello sviluppo della loro vita civile, nella loro
capacita’ di lavorare in modo libero, di intraprendere, di
creare valore, di attrarre investimenti. Senza misure di
emergenza, ma con una continua, stabile, crescente pressione
sulle attivita’ criminali, organizzate e non.
Le critiche non
mancheranno certo. Misura “irrealistica e
tecnicamente non-fattibile?” E’ chiaro che non
si formano 30mila nuovi Carabinieri dal nulla, ci vuole un po’
di tempo, ma ne e’ stato sprecato tanto che questo non puo’
turbare un Paese privo dell’urgenza del tempo. “Misura
parziale ed inadeguata alla complessita’ sociale?”
Cominciamo con atti concreti, perche’ le famose
“risposte globali” sono effimere, se non si compongono di atti
specifici. “Misura antidemocratica e militarizzazione
del Sud Italia?” Sciocchezze: i Carabinieri sono
stati una componente importante del progresso democratico,
civile, economico e del quadro di legalita’ del Paese, una
componente stabile, di protezione preventiva dei cittadini. E
poi chiediamoci :e’ piu’ “democratico”, “riformista “ e “di
sinistra” proteggere gli onesti cittadini nelle loro varie
attivita’ o lasciarli ancora in balia della malavita,
come spesso succede in aree critiche del Paese ?
In conclusione,
la discussione e la gestazione del Partito Democratico devono
essere l’occasione per sviluppare senza remore i nuovi
parametri del riformismo italiano. Dobbiamo essere consci che
risposte miracolose non esistono, ma che se vogliamo tendere a
risultati significativi la ricerca di nuovi contenuti non puo’
essere ingabbiata in schemi ossificati, insostenibili nel
mondo globalizzato in cui viviamo.