FEDERAZIONE
REGIONALE P.R.I. DELLA SARDEGNA XIX CONGRESSO REGIONALE 28-29 NOVEMBRE 1987 – QUARTU S. ELENA – HOTEL DIRAN Relazione del
Segretario Regionale SALVATORE GHIRRA
Congresso
importante e difficile questo nostro XIX Congresso regionale. Segue ad
avvenimenti politici nazionali e regionali di notevole rilievo e precede
impegni ed avvenimenti politici altrettanto importanti. Il Congresso
segue infatti alle elezioni del 14 giugno, coincide, in parte, nella sua fase
precongressuale con l’impegno referendario dell’8 novembre, segue alla
elezione alla guida del Partito dell’On. Giorgio La Malfa, cui va il
ringraziamento ed il saluto cordiale e caloroso di tutti i Repubblicani
sardi; saluto che rivolgiamo anche al Sen. Giovanni Spadolini che ha lasciato
la segreteria politica per assumere – primo repubblicano nella storia della
Repubblica – la presidenza del Senato. Il
Congresso ha luogo in una situazione politica nazionale caratterizzata da
tutte le incertezze e le tensioni presenti fra le forze politiche alla
vigilia e durante la campagna elettorale che il risultato del voto non ha
sanato, e per certi aspetti, ha aggravato. Ci
troviamo in una situazione internazionale che, se da una parte lascia aperti
elementi di speranza sul miglioramento dei rapporti tra le due grandi
potenze, dall’altra vede aggravarsi conflitti di carattere regionale
particolarmente nelle aree a noi più vicine che richiedono una iniziativa
dell’Italia e dell’Europa. Il
Congresso si tiene in una situazione economica interna ed internazionale
caratterizzata da rischi di recessione e dall’insidia dell’inflazione tale da
richiedere un governo rigoroso ed oculato dei processi economici. Sul
piano regionale il Congresso ha luogo alla vigilia di una tornata elettorale
amministrativa, prevista per la primavera prossima, molto impegnativa per il
numero dei Comuni interessati al rinnovo dei Consigli – in molti dei quali si
tratta di riconfermare ed estendere la nostra presenza, ed in altri di
assicurare per la prima volta la nostra rappresentanza – e precede di circa
venti mesi la consultazione elettorale regionale, traguardo decisivo per la
verifica della ripresa del ruolo del Partito nella vita autonomistica. Il
XXXVI Congresso di Firenze ebbe luogo in una fase di acuta crisi politica e
di grave deterioramento dei rapporti tra le forze politiche del pentapartito
che pure avevano assicurato, dopo le elezioni dell’83, uno dei più lunghi
periodi di stabilità governativa della vita repubblicana. Siamo stati con il
necessario equilibrio e la dovuta fermezza, soprattutto nei momenti più
difficili della vita della coalizione, il Partito delle Istituzioni che ci
siamo adoperati di salvaguardare. Ricorderete
che, nella parte finale della Legislatura, traumaticamente interrotta,
accadde di tutto e che la rissa tra la DC ed il PSI fu l’elemento
caratterizzante del dissolvimento della coalizione pentapartitica. Fummo,
come è noto, estranei alla rissa ed assumemmo un ruolo di ”equidistanza”
quale ”scelta di campo fuori di cautele non appropriate e non adeguate al
livello dei problemi dell’Italia”. Quella
posizione – che sostanzialmente riaffermava il nostro ruolo di terza forza –
si faceva carico della grave situazione dell’oggi ma si proiettava al domani,
al dopo elezioni, prevedendo che tutto sarebbe stato più difficile. Così è
stato. Anche perché il risultato elettorale, se da un lato ha penalizzato il
bipolarismo DC – PCI, dall’altro ha premiato i due contendenti rissosi ed ha
indebolito le forze laiche, compreso il PRI. È
difficile dire se la linea ed il ruolo di arbitrato – pur non premiati –
abbiano perso ogni validità politica, perché subito dopo le consultazioni le
forze politiche hanno chiamato Spadolini alla carica di Presidente del
Senato, riconoscendo ed attualizzando questo nostro ruolo. Forse
nel Partito non è pacifico il giudizio su questo ruolo di mediazione e
proprio per questo lo sottopongo alla vostra valutazione. Vale la pena in
ogni caso precisare che mediazione non significa rinuncia alle proprie idee,
agli ideali cui ci richiamiamo; dobbiamo anzi riaffermare la nostra posizione
di intransigenza in politica estera e nella scelta europea, occidentale ed
atlantica, in politica economica ed in politica istituzionale, senza negare
la validità storica della nostra funzione di mediazione che ha caratterizzato
il Partito da Ugo La Malfa a Giovanni Spadolini. Il
voto del 14 giugno ci ha penalizzato ed è stato un insuccesso per il nostro
Partito che arretra dal 5,1% dell’83 al 3,7% dell’87, dopo essere transitato
sulla percentuale del 4% alle elezioni amministrative dell’85. Anche
in Sardegna le elezioni sono state un amaro insuccesso: siamo scesi dal 3%
dell’83 al 2,3% dell’87, con un regresso dello 0,7%, che va attentamente
valutato. Come
i Repubblicani avevano previsto, nulla è stato semplificato, tutto invece è
diventato più difficile; precarietà ed imprevedibilità sembrano essere allo
stato gli elementi caratterizzanti la vita politica. Lo stesso Governo si
regge su un accordo di programma cui non fa riscontro alcun accordo politico,
per cui tutto è provvisorio ed instabile. Perché
l’elettorato non ci ha premiato? Quali le cause del nostro insuccesso? 1)
L’elettorato ha
interpretato la nostra linea di equidistanza come espediente tattico, quasi
un non volere assumere posizioni definite e chiare, preferendo un
atteggiamento oscillante, ora verso la DC, ora verso il PSI. In altre parole
siamo stati penalizzati per non esserci caratterizzati con nostre autonome
valutazioni e posizioni sui problemi. 2)
Altro elemento:
alle elezioni dell’83 presentammo al corpo elettorale ed al Paese una
piattaforma programmatica molto articolata che dava risposte ai principali
problemi del risanamento economico, morale ed istituzionale. Nelle
consultazioni dell’87, soprattutto sul versante economico, le nostre analisi
e le nostre proposte sono state vaghe ed incerte, e solo nell’ultima
settimana della campagna elettorale si è tentato di rimediare con
l’iniziativa, realizzata a Torino, dal nostro attuale Segretario. Nell’83 il
PRI indicò nella lotta all’inflazione e nel rigore della spesa pubblica i
cardini dello sviluppo economico del Paese. Ricondotta l’inflazione – sia
pure per il concorso favorevole di fattori esterni – a limiti accettabili,
era necessario ridefinire l’obiettivo di politica economica capace di
esprimere la nostra proposta programmatica. Questa proposta, fermo restando
l’obiettivo del risanamento della finanza pubblica, deve essere incentrata
sulla occupazione e sui problemi del Mezzogiorno. Chi
di voi ha potuto leggere i discorsi di Ugo La Malfa, raccolti in due volumi e
pubblicati dalla Camera dei Deputati, avrà notato la grande tensione
meridionalista e la attenzione permanente ai problemi del lavoro e della
occupazione, sui quali non si è mai stancato di richiamare l’attenzione del
Parlamento, della classe politica, degli imprenditori e dei sindacati. Credo
che il PRI debba rilanciare con forza il problema dello sviluppo del
mezzogiorno e i problemi dell’occupazione quali temi centrali dello sviluppo
complessivo del Paese, colmando la caduta di tensione verificatasi in questi
anni. 3)
Infine
l’insuccesso elettorale deve essere addebitato allo stato organizzativo del
Partito carente a tutti i livelli. Questi
elementi, per limitarci ai principali, aiutano a spiegare l’insuccesso
elettorale del Partito sia nazionalmente che localmente. In Sardegna
aggiungerei, ai tre prima elencati, un quarto elemento che definirei faida
assessoriale. Il Partito ha affrontato nell’Isola la battaglia elettorale diviso
e lacerato sulla scelta di chi avrebbe ricoperto l’incarico di assessore
regionale. Una parte degli amici hanno preferito il disimpegno ed hanno
vissuto con distacco la competizione elettorale; altri, pure impegnati, hanno
privilegiato la caccia alle preferenze personali al lavoro per estendere i
consensi alla lista. Tra l’altro anche sul piano del costume dobbiamo con
amarezza costatare che alcuni amici hanno investito, nella caccia alle
preferenze, somme notevoli di danaro, utilizzandole in modo spregiudicato in
forme di propaganda non ammesse dal regolamento elettorale. Abbiamo
così perso voti e fallito l’obiettivo di assicurare una presenza repubblicana
della Sardegna nel Parlamento Nazionale. Abbiamo perso voti a vantaggio
soprattutto dei radicali e dei verdi, e quindi si ricava dal voto, tra
l’altro, l’esigenza dell’approfondimento e del rilancio della linea politica
repubblicana dell’ambiente e del territorio e della compatibilità con lo
sviluppo economico. Grande,
seppure amara, la lezione che si ricava dal voto di giugno; soprattutto se la
si coglie nella sua sostanza politica più che sul dato numerico elettorale
che pure non deve essere sottovalutato. Non condivido pertanto l’analisi di
quegli amici che sul risultato numerico del voto vorrebbero localizzare i
risultati positivi (pochi per la verità) e regionalizzare gli aspetti
negativi. Dall’insuccesso
elettorale si deve uscire con l’impegno e l’iniziativa politica presentandoci
alla società ed al Paese con le nostre scelte, i nostri programmi, la nostra
carica ideale; e gli impegni non mancano. Tra
tutti, per l’attualità e l’immediatezza della scadenza, emerge
l’importantissima battaglia referendaria dell’8 novembre che deve essere
vissuta dai Repubblicani come la prima grande occasione, dopo le elezioni
politiche, per il collegamento e la ripresa dei contatti con la società
civile e stabilire con questa un rapporto di chiarezza e di consenso. Sui
referendum i Repubblicani invitano i cittadini a votare un solo ”si”,
quest’ultimo per l’abolizione dell’inquirente e perché i politici siano
giudicati, come tutti i cittadini, dal giudice ordinario, e ad esprimere
quattro ”no” ai quesiti sulla responsabilità civile del giudice e su aspetti
marginali del problema nucleare. Le nostre posizioni di incontestabile
coerenza, espresse sin da quando i promotori degli stessi referendum diedero
inizio alla raccolta delle firme, sono in primo luogo espressione di una
visione della società che sfugge a qualunque tatticismo e strumentalismo. Col
”no” al quesito sulla responsabilità civile del giudice intendiamo difendere
lo Stato di Diritto in uno dei suoi pilastri dell’ordinamento costituzionale
quale quello dell’indipendenza e dell’autonomia della Magistratura, sulla
quale invece i promotori vorrebbero far ricadere la responsabilità del
cattivo funzionamento della giustizia. I nostri tre ”no”
ai quesiti sul nucleare si giustificano per la difesa della collocazione del
ruolo del nostro Paese fra le potenze industriali più avanzate del mondo
occidentale, nella cui area intendiamo restare dotando il Paese di un Piano
Energetico Nazionale, fattore decisivo del suo sviluppo, mediante la
diversificazione delle fonti di produzione compresa quella nucleare. Dobbiamo
naturalmente sottolineare che la nostra scelta si accompagna alla richiesta
della compatibilità del nucleare con l’impatto ambientale, e con le
condizioni di sicurezza per i cittadini al massimo livello offerto oggi dalla
scienza e dalla tecnica, attuate e coordinate almeno a livello europeo. La costituzione
anche in Sardegna del Comitato per il ”no”, cui hanno aderito personalità
della scienza giuridica, della Università, delle professioni, di uomini
legati ai partiti politici che, per contingenti esigenze tattiche, hanno con
repentino voltafaccia mutato atteggiamento, evidenzia il crescente distacco
dei Partiti politici dalla società civile. I temi peraltro
della giustizia e del nucleare resteranno di attualità anche dopo il
referendum. Come è di attualità l’importante problema, di cui tanto si
discute, relativo alla regolamentazione per legge del diritto di sciopero che
noi Repubblicani, come altre forze politiche, riteniamo improcrastinabile. Non
contestiamo il diritto di sciopero, diritto costituzionale dei lavoratori a
difesa dei loro interessi, ma intendiamo che detto diritto trovi, come vuole
la Costituzione, la sua regolamentazione per renderlo compatibile con la
tutela degli interessi generali. Per questo riteniamo che nei servizi
pubblici essenziali, il Governo, con apposite norme giuridiche, ponga
condizioni e limiti perché il diritto dei lavoratori non venga esercitato
conculcando altri preminenti diritti; tanto più che l’autoregolamentazione si
è dimostrata incapace di frenare o impedire che gruppi di lavoratori o
singole categorie, anche contro gli stessi sindacati, per interessi
corporativi, creino caos e confusione nei trasporti, nella sanità, ed in
altri servizi di primaria importanza per la collettività. Noi
Repubblicani non ci sottraiamo agli impegni di riforma per dare più efficienza
all’azione del Governo o del Parlamento. Sosteniamo la rapida approvazione
della legge che fissa i poteri della Presidenza del Consiglio, problema posto
sin dalla Presidenza dell’amico Spadolini. Intendiamo garantire la piena
possibilità dell’azione di governo sottraendola alle sortite dei franchi
tiratori, ed in proposito sosteniamo la modifica dei regolamenti interni
delle assemblee che sanciscano l’abolizione dello scrutinio segreto così come
sosteniamo la corsia preferenziale per i provvedimenti di legge di iniziativa
governativa. Contemporaneamente occorre dare al Parlamento la reale
possibilità di esercitare la sua funzione legislativa e di controllo sul
Governo. Sfuggiamo a qualunque tentazione presidenzialista, siamo per il
bicameralismo con la attribuzione di specifici compiti ai due rami del
Parlamento, e siamo anche per la riduzione del numero dei Parlamentari
attuali. E
per concludere questo capitolo il Partito Repubblicano Italiano, Partito
delle autonomie, deve riprendere i temi relativi ad un diverso assetto delle
autonomie locali e quelli relativi alla riforma della Pubblica
Amministrazione. Subito
dopo il XVIII Congresso Regionale il Partito veniva chiamato in Sardegna,
oltre che all’impegno per le elezioni europee, per noi sempre difficili e
penalizzanti, all’impegnativa prova delle elezioni regionali. Le
modifiche alla legge elettorale, antidemocratiche nel contenuto e truffaldine
per il metodo ed il momento in cui furono introdotte, potevano impedire – e
forse questa era anche la volontà dei protagonisti – anche in presenza di
suffragi elettorali non inferiori alle precedenti consultazioni, al PRI, al
PLI e ad altre forze minori, di essere rappresentati in Consiglio Regionale. La
nostra denuncia fu forte, puntuale e ben argomentata. Il Partito avvertì
l’importanza della posta in gioco, si mobilitò con slancio e nelle liste dei
candidati furono presenti tutte le componenti interne del Partito. Occorre
anche dire che la Direzione Nazionale, nella circostanza, ci è stata di valido
aiuto col sostegno politico all’alleanza, con appropriate misure
organizzative e con la partecipazione personale dei suoi dirigenti alle
ultime decisive fasi della campagna elettorale. Ci
presentammo agli elettori con i simboli abbinati del PRI e del PLI (lo stesso
delle elezioni europee che come ricorderete non ebbe molta fortuna né da noi
né nel resto del Paese) e con liste formate da candidati comuni dei due
Partiti. Su questa alleanza, che io ritengo sia stata un atto di intelligenza
politica, si è discusso nel Partito e vi sono state riserve forse non ancora
superate. I risultati conseguiti hanno dimostrato che, diversamente dalle
europee, e da analoghe esperienze in altre regioni, gli elettori sardi hanno
capito ed apprezzato gli scopi ed il carattere dell’alleanza; non
diversamente vanno interpretati i risultati del voto: 39.580 voti pari al 4%
rispetto ai 29.112 del PRI pari al 3% ed ai 14.107 del PLI pari all’1,47%
delle elezioni politiche del 1983. Risultarono
eletti tre consiglieri regionali, iscritti al PRI, e, solo per vicende
interne al PLI che non spetta a noi giudicare, non fu eletto il quarto
consigliere che sarebbe risultato iscritto al Partito Liberale Italiano.
Occorre sottolineare che all’elezione dei tre consiglieri regionali hanno concorso,
in modo quasi determinante, i voti liberali. Condivido l’amarezza degli amici
Liberali per la mancata riconferma del seggio e ritengo l’assenza liberale in
Consiglio Regionale un fatto negativo per tutte le forze democratiche; ma
ritengo pretestuosa ed infondata la polemica che gli amici Liberali hanno
aperto con noi quasi a volerci accusare di avere violato dei patti che non
sono stati mai sottoscritti. Ritengo che al di là dei motivi polemici esista
il problema di ristabilire con gli amici Liberali dei rapporti corretti e
costruttivi, ricercando sedi di consultazione e di confronto sui principali
problemi che riguardano le iniziative consiliari, e sono certo che la nuova
Direzione ed il nuovo Segretario regionale vorranno tenere presente questo problema. Il
risultato elettorale del giugno ’84 ha aperto scenari nuovi nella vita
politica sarda e posto problemi a tutte le forze politiche. Due a mio parere
gli elementi di maggior rilievo emersi dalla consultazione. 1) La notevole avanzata, solo in
parte ipotizzata, del Partito Sardo d’Azione, che rispetto alle precedenti
regionali vede aumentare i suffragi da 30.238 a 136.720, e i seggi in
Consiglio Regionale da 3 a 12. 2) La perdita di 5 seggi da parte
della Democrazia Cristiana, che determina la quasi impossibilità numerica (la
possibilità politica fu seriamente compromessa dalla DC con la legge
elettorale di fine legislatura) di dare vita a maggioranze di pentapartito,
che avrebbero potuto disporre di un solo voto di maggioranza. Situazione nuova
sulla quale le forze politiche costruirono le loro valutazioni ed avanzarono
le proposte ”dei nuovi assetti di maggioranza e di governo. Il rischio di
cadere in proposte ed opzioni pregiudiziali di puro schieramento diventava
attuale e reale. Cadde in questo errore la DC che come primo atto politico
rivolse un appello privilegiato ai Sardisti; avutone il rifiuto la DC
inevitabilmente si autoescluse dal confronto tra le forze politiche e dovette
accontentarsi del ruolo di opposizione. Ma anche il PCI
preferì, almeno in una prima fase, privilegiare gli assetti di schieramento;
e così il Partito Sardo d’Azione, nel cui atteggiamento non erano estranei
elementi di discriminazione nei confronti delle forze laiche minori. Anche il
PSI, col quale insieme ai Socialdemocratici, convenimmo di dare vita alla
ricerca di convergenze e di posizioni comuni fra le forze di area laica e
socialista, che pur nella loro differenziazione non fossero contrastanti, si
schierò pregiudizialmente per maggioranze di sinistra, pur dichiarando la sua
ferma avversione ad ogni discriminazione delle forze laiche. I soli che del
risultato elettorale si sforzarono di dare una interpretazione che superasse
gli assetti di schieramento, siamo stati noi repubblicani che abbiamo
interpretato le esigenze dei Sardi ad un profondo rinnovamento dei contenuti
e dei metodi di governo, sostenendo che sugli aspetti del programma, in primo
luogo, andava impostato il confronto tra le forze politiche. Scelta che si
richiamava all’insegnamento lamalfiano e che si rivelò di estrema attualità e
validità politica proprio nella fase del confronto programmatico. Il PSD’Az,
alla pregiudiziale di schieramento, accompagnava la rivendicazione della
forte caratterizzazione sardista della maggioranza di governo, rilanciando le
scelte indipendentiste e separatiste, ed ipotizzando rapporti con lo Stato di
tipo conflittuale, con rivendicazioni come quella della zona franca e
dell’abolizione delle servitù militari dirette a contestare la politica delle
alleanze internazionali e le grandi scelte di civiltà liberamente assunte dal
Parlamento della Repubblica. L’accordo
programmatico si palesò così impossibile. Nacque la prima Giunta Melis
sostenuta e formata dal PCI e dal PSD’Az, alla quale fu assicurato l’appoggio
esterno del PSI; noi ed i Socialdemocratici ci astenemmo, riservandoci
l’autonoma valutazione, volta per volta, sugli argomenti proposti
all’attenzione del Consiglio. Era un assetto fragile, dagli equilibri
politici precari e non poteva che derivarne un’azione di governo debole ed
incerta pressoché inesistente sul piano dei risultati. Come Repubblicani il
nostro ruolo era numericamente ininfluente per cui ci sforzammo con la
precisazione degli elementi di contenuto di avere un ruolo politicamente
apprezzabile. Su questo terreno il confronto proseguì, pur tra alterni
momenti di tensione e di caduta, tanto che la Giunta Melis, dopo appena un
anno, diede le dimissioni e la situazione politica si azzerò, convenendo che
la nuova Giunta non doveva intendersi come espressione della vecchia
maggioranza allargata alle forze dell’area laica e socialista, ma il
risultato di un approfondimento di una nuova impostazione programmatica, cui
si accompagnava anche un nuovo assetto di giunta. Era questo il momento in
cui il peso politico ed il ruolo del PRI andava autonomamente esercitato. Ci
presentammo al nuovo confronto dopo avere elaborato, per quanto ci riguarda,
quattro punti programmatici essenziali, per noi irrinunciabili anche se su di
essi dichiaravamo la nostra disponibilità alle valutazioni delle altre forze
politiche. Desidero ricordare questi quattro punti. 1) Facendoci carico della gravità economica ed occupativa
dell’Isola, della improduttività degli interventi precedentemente attuati, ed
al fine di superare i caratteri deteriori dell’intervento assistenziale e
corporativo, ponemmo al primo punto la richiesta di un piano straordinario
per il lavoro e l’occupazione specie giovanile e delle zone interne che
favorisse anche la ripresa dello sviluppo economico; a tal fine chiedevamo la
ricognizione sulla consistenza dei residui passivi per destinarli, con
procedure nuove e rapide, al perseguimento di questo obiettivo. 2) Facendoci altrettanto carico delle gravi insufficienze e
carenze della Regione spesso invischiata in procedure defatiganti e
paralizzanti, chiedemmo quale aspetto prioritario programmatico la riforma
della Amministrazione Regionale per esaltarne il ruolo di indirizzo e di
programmazione unitamente alla prevalenza dell’esercizio del potere di
legislazione al posto di quello amministrativo. 3) Ponemmo con forza l’esigenza della democratizzazione degli
Enti strumentali ed economici della Regione mediante il rinnovo dei consigli
di amministrazione al posto delle gestioni commissariali, sostenendo che le
nomine negli organismi di direzione degli Enti fossero il risultato non della
spartizione di posti tra le forze politiche, ma di criteri che premiassero la
moralità, la competenza e la professionalità. Non fu accettata la proposta da
noi suggerita di istituire l’Albo dei cittadini che potevano essere chiamati
a ricoprire la carica di presidente e componente i consigli di
amministrazione di detti Enti, ma vennero accettati i criteri da noi proposti
che successivamente furono portati all’attenzione del Consiglio Regionale che
li fece propri. Quanto poi questi criteri siano stati nella pratica applicati
all’atto del rinnovo dei consigli di amministrazione degli Enti è questione
molto discutibile. 4) Al fine di ripristinare la
correttezza delle regole del gioco democratico, clamorosamente violate alla
fine della legislatura, chiedemmo la revisione della legge elettorale da
ricondurre, come da norma statutaria, ai criteri rigorosi della
proporzionale; per cui ogni forza politica potesse occupare i seggi in
Consiglio Regionale in proporzione al consenso espresso dagli elettori. Fu
un confronto utile oltre che necessario, e pur apprezzando i passi in avanti
compiuti nella rigorosa definizione di una piattaforma programmatica nella
quale venivano determinate anche le priorità dell’attuazione, la Direzione
Regionale del Partito ritenne di non avere avuto tutti gli elementi
sufficienti per assumere una nostra piena e diretta responsabilità di
governo. Decidemmo l’appoggio esterno alla Giunta, riservandoci di
riconsiderare la nostra posizione ad una verifica sullo stato di attuazione
del programma che fu fissata per la fine dell’anno 1985. Le altre forze
politiche di maggioranza non ritennero adeguati gli assetti politici
ipotizzati, valutando la nostra partecipazione in Giunta un’esigenza non
rinviabile. Occorreva pertanto conciliare questa esigenza con quella da noi
avanzata circa la pratica attuazione dei punti programmatici ed in specie
della legge elettorale, che per accordo di maggioranza veniva accompagnata
alla modifica del regolamento interno del Consiglio, che tra l’altro avrebbe
dovuto prevedere l’abolizione del voto segreto. Con
decisione unanime dell’esecutivo e del gruppo consiliare (riserve furono
espresse al di fuori della riunione dall’amico Catte) convocato in via di
assoluta urgenza e ratificata poi dalla Direzione Regionale, decidemmo di
partecipare alla formazione della Giunta, con un assessore cosiddetto
tecnico, in quanto non consigliere regionale. Ci fu attribuito l’assessorato
ai Lavori Pubblici la cui direzione venne affidata all’ing. Roberto Binaghi,
professionista competente ed apprezzato di indiscussa specifica capacità
tecnica. Alla verifica ipotizzata di fine anno che ebbe luogo nel mese di
gennaio dell’86, non fummo in grado di registrare apprezzabili passi in
avanti su nessuno dei quattro punti programmatici, anche per il ridotto e non
congruo periodo di tempo a disposizione. Per cui la Direzione Regionale con
voto unanime decise di proseguire l’esperienza impegnando contemporaneamente
il Partito ad un approfondimento programmatico di carattere straordinario. A
tal fine fu indetta e realizzata il 3 e 4 maggio del 1986 la ”Conferenza
Programmatica”. Senza
iattanza, ma con giusto orgoglio, debbo ascrivere a merito della mia segreteria
quello di aver voluto e realizzato la ”Conferenza Programmatica”, che l’on.
Giorgio La Malfa, presente ai nostri lavori, nel suo appassionato intervento
definì ”iniziativa di grandissimo interesse e di grande ampiezza, che denota
una presenza importantissima del Partito nella vita politica e culturale
della Regione”. Ebbene,
a distanza di poche ore, di quella conferenza non si parlò più nel PRI. Tutto
venne troppo presto dimenticato per contrapporre ai problemi dibattuti con
tanto appassionato impegno quelli relativi alla scelta dell’amico da
destinare a ricoprire l’incarico di assessore regionale, in sostituzione
dell’assessore, ing. Binaghi, che ci aveva chiesto di essere sostituito. Sul
Partito che fa politica, che privilegia le idee e i contenuti, prevaleva il
Partito degli assessori. Iniziava
allora un processo di lento declino del nostro ruolo e della nostra immagine,
che portò successivamente alla spaccatura del Partito ed alla divisione del
nostro gruppo consiliare. In
un estremo tentativo di evitare l’accentuazione delle divisioni, su mia
proposta, la Direzione Regionale avviava un’ampia consultazione degli amici
delle quattro Consociazioni provinciali, allo scopo di ricercare, con un
leale e franco confronto, comuni orientamenti sulla validità della nostra
partecipazione alla maggioranza ed al governo della Regione. Debbo
dire che, con frettolosità e superficialità, vennero liquidati gli aspetti
più propriamente politici del problema e l’interesse degli amici si concentrò
prevalentemente sulla scelta del candidato alla carica di assessore. Non
vennero fatti nomi, ad eccezione della riunione di Sassari dove, a
larghissima maggioranza, fu avanzata la candidatura dell’amico consigliere
regionale eletto in quella provincia. Le motivazioni a sostegno della
proposta erano fondate, in larga misura, su aspetti campanilistici, e
venivano anche accompagnate da asprezze polemiche nei confronti di altre
eventuali candidature, ritenute inadeguate. I
rischi di paventate divisioni non vennero fugati né attenuati, ma anzi
accentuati, ed ogni riunione di direzione regionale doveva prendere atto
dell’aggravarsi del fenomeno. Contemporaneamente,
e parallelamente a queste nostre vicende interne, i vertici del Partito
venivano impegnati tra la fine del 1986 ed i primi mesi dell’87 in una lunga
e tormentata fase di verifica programmatica e politica tra le forze della
maggioranza, diretta alla ridefinizione dei contenuti programmatici e alla
ricerca di nuovi assetti di giunta nella quale si erano palesati difetti di
collegialità ed inerzia attuativa. Venne
elaborato il Programma di fine legislatura e assieme alle priorità degli
obiettivi, furono puntualizzati gli strumenti, individuate le risorse e
fissati i tempi di realizzazione di quanto concordato, e rilanciata la
programmazione come metodo di governo dell’economia. La
politica per l’occupazione e lo sviluppo veniva ribadita quale obiettivo
centrale e prioritario dell’azione della Giunta regionale, da perseguire con
un’accorta e rigorosa destinazione coordinata delle risorse. A
sottolineare il rinnovato impegno per una politica attiva del lavoro, oltre
all’utilizzazione della Legge regionale n. 28, si decideva il ricorso ad una
misura mai attuata nella storia autonomistica: la contrazione di un congruo mutuo
– da 500 a 1.000 miliardi – per un programma straordinario per l’occupazione.
A
sostegno delle imprese veniva prevista tra l’altro la creazione di servizi
reali e l’adozione di politiche di sostegno dell’innovazione. Nel
settore delle grandi infrastrutture venivano puntualizzate una serie di
progetti, dal Piano per la utilizzazione delle risorse idriche, per opere di
sistemazione idrogeologica, ai Progetti per la riqualificazione delle aree
urbane. Nasceva
l’esigenza, per conseguire questi obiettivi, di disporre di strumenti
efficienti e di procedure rapide, e del concreto avvio della Riforma della
Regione per valorizzarne le funzioni di programmazione, di legislazione e di
indirizzo, da realizzarsi anche attraverso il decentramento agli Enti Locali
di funzioni amministrative e di gestione. Strumenti indispensabili per
l’attuazione di questa politica sono, oltre al Bilancio annuale, il Piano
triennale ed il Piano straordinario per l’occupazione, nonché la revisione e
la modifica delle Leggi regionali n. 33, n. 1 e n. 51, dirette allo
snellimento delle procedure della Programmazione e ad un diverso assetto
della Giunta regionale. Nel
programma concordato fra le forze politiche veniva anche accolta l’esigenza
della drastica riduzione del numero delle U.S.L., di un diverso assetto dei
comitati di gestione e dello scorporo dalle stesse U.S.L. dei complessi
ospedalieri regionali, provinciali e specializzati. Realizzata
l’intesa sugli aspetti programmatici, la Direzione regionale deliberò la
nostra partecipazione piena e diretta in Giunta nella quale l’Assessore
Repubblicano é preposto alla guida dell’Assessorato agli Enti Locali ed
Urbanistica. Il
nostro ruolo è assai impegnativo e va al di là dell’apporto numerico alla
maggioranza, per qualificarsi sul terreno più squisitamente politico. Da qui
l’esigenza del raccordo tra l’azione dell’Assessore e quella del Partito,
finora mancato. La stessa polemica tra il precedente Assessore
all’Urbanistica e l’attuale Assessore Repubblicano sul problema delle coste
mette in risalto questa esigenza. In proposito debbo dire che, pur non
condividendo il blocco drastico ipotizzato dal precedente Assessore, e i
conseguenti vincoli da lui proposti, non mi sento nemmeno di approvare le
posizioni che, a titolo personale, ha prospettato l’Assessore Repubblicano,
col rischio di fare apparire il Partito disponibile – in nome di un non
meglio precisato sviluppo economico – alla cementificazione indiscriminata
delle nostre fasce costiere. Non siamo cementificatori, né amici dei
cementificatori: il bene economico rappresentato dalle nostre coste va
certamente utilizzato in funzione dello sviluppo, senza permissivismi o
aperture di credito a chi sulle coste intende speculare. Desidero
richiamare alla vostra attenzione il problema della adozione, da parte del
Consiglio Regionale, della Legge elettorale, per ricondurla alla correttezza
delle regole clamorosamente violate alla fine della precedente legislatura.
Esiste in materia in Consiglio una nostra proposta aperta alla discussione ed
al confronto di tutte le forze politiche, comprese quelle dell’opposizione.
Ritengo che sull’argomento occorra procedere in tempi rapidi agli opportuni
richiami al regolamento e quindi al dibattito in aula. Il
risultato elettorale delle elezioni Politiche di giugno, come ho prima
accennato, è stato in Sardegna deludente. Dai 29.525 voti del 1983, pari al
3%, siamo scesi ai 23.550 dell’87, pari al 2,3% con una perdita percentuale
dello 0,7%, diversamente distribuita per Provincia, (-1,71 a Nuoro, -1,1 a
Cagliari, -0,63 ad Oristano) fatta eccezione della Provincia di Sassari che
ha mantenuto la percentuale del 1983 incrementandola anzi dello 0,1%. Il
Congresso regionale dovrà valutare i fattori negativi che hanno determinato
l’insuccesso alle elezioni e soprattutto dovrà indicare quale azione il
Partito dovrà condurre per il rilancio della sua azione politica. Per
quanto mi riguarda, e per non sottrarmi io per primo all’obbligo che deriva a
tutti i Repubblicani, ritengo che condizione essenziale perché il Partito
riacquisti il suo ruolo, è l’attuazione di un suo profondo e radicale
rinnovamento. Ed a tal fine dichiaro la mia determinazione di lasciare la
carica di Segretario Regionale. Qualche
riflessione sullo stato del Partito. Il
rilancio del Partito – indicato come prioritario dal nuovo Segretario
Nazionale – deve poggiare necessariamente sulla ridefinizione e
approfondimento programmatico e sul rinnovato impegno dell’iniziativa
politica; ma deve anche fondarsi su una adeguata e puntuale attenzione ai
problemi organizzativi e di gestione ed anche a quelli del costume. Abbiamo
ora più che mai bisogno di un Partito che pensa, che discute, che ha idee,
anziché lamentarsi e accapigliarsi. Naturalmente ciò presuppone una costante
attenzione ai problemi relativi ai contenuti dell’azione politica e alla
definizione del carattere che vogliamo attribuire al nostro Partito. Giustamente
il PRI non intende essere un Partito di apparato con tutte le storture e le
deformazioni che gli apparati portano nella vita dei partiti. Analogamente
il Partito non vuole nemmeno essere una agenzia elettorale che si mobilita ed
opera alla scadenza delle consultazioni a sostegno di questo o quel
candidato, per poi smobilitare a consultazione avvenuta. Siamo
una forza politica che intende restare aderente al dettato costituzionale che
ha sancito il riconoscimento dei partiti e ne ha precisato il ruolo. Siamo
per il Partito ”casa di vetro” che consente a chi sta dentro di poter
guardare fuori, alla società e ai suoi problemi, e a chi sta fuori di
guardare dentro per cogliere tutta la capacità culturale e politica che il
Partito sa esprimere nell’interesse generale. Oggi,
come è noto, il partito politico non gode i favori dell’opinione pubblica,
soffre di crisi d’identità, sostituisce troppo spesso l’azione clientelare
all’azione politica, ha invaso quasi tutti i campi della vita amministrativa
e sociale del Paese. La
stessa iscrizione al partito politico appare talvolta più che una adesione
convinta ai programmi e agli ideali, un modo per poter beneficiare di favori
o di vantaggi personali. Non
dico che il PRI soffra di tutti questi mali. Fortunatamente
per noi e per il Paese siamo il Partito politico che pur con molte deficienze
e carenze riesce a perseguire in tutte le sue manifestazioni l’interesse
generale. Ci
opponiamo al clientelismo, alla corruzione, al corporativismo, alla politica
del fiato corto; abbiamo sempre fatto uno sforzo per volare alto e pensare in
grande come richiede oggi la situazione economica e politica dell’Italia e
della Sardegna. Noi
Repubblicani Sardi, occorre riconoscere, non godiamo attualmente di buona
salute. Siamo scarsamente presenti nella realtà isolana con le nostre
strutture di base ed alcune sezioni esistono soltanto sulla carta frutto
della fantasia fin troppo creativa di qualche dirigente che le ha inventate;
altre ancora, ed è il caso più apprezzabile, rinnovano i loro organi
direttivi mediante le assemblee annuali. Solo alcune riescono ad essere
centro di vita politica, organizzano dibattiti e realizzano iniziative,
affrontano i temi della politica comunale e sostengono l’azione dei nostri
Amministratori. Sulla
presenza a livello locale occorre sottolineare che alcuni nostri
amministratori identificano la nostra funzione di Partito di governo con
l’obbligatoria partecipazione alle giunte Comunali e Provinciali o nei
Comitati di gestione delle Unità Sanitarie Locali, logica che ci ha portato
spesso alla partecipazione a tutte le giunte e a tutte le maggioranze. Che
fare? Schematicamente ritengo: 1)
Che questo
Congresso debba caratterizzarsi come il Congresso che avvia il rinnovamento
del Partito a tutti i livelli, ad iniziare dal vertice regionale. Occorre
dare spazio e utilizzare nuove intelligenze, nuove energie e nuovi
entusiasmi; costruire un Partito che dalla fase della lamentazione e della
litigiosità passi alla fase della discussione e del confronto, e che su
questo fondi e costruisca la sua unità. Giovani, donne, amici, espressione
delle nuove capacità intellettuali, tecniche e professionali della società,
devono essere chiamati a far parte degli organi di direzione ed a
rappresentare il Partito nelle assemblee elettive. 2)
Che vada
pensata e programmata una seria politica di costruzione organizzativa che
estenda la presenza e l’influenza del Partito dove è assente e la consolidi
dove è presente. Che sia irrinviabile un rigoroso accertamento del
tesseramento attuato finora in modo spesso disinvolto, e che tutti gli organi
di Partito siano puntualmente richiamati a rispettare le regole della
convivenza democratica. 3)
Che il
Congresso, se lo ritiene, debba deliberare che i nostri eletti a cariche
pubbliche non possano ricoprire il mandato per oltre due legislature, salvo
eccezioni da indicare rigorosamente e da deliberare a maggioranza
qualificata, e che tutti i nostri eletti a cariche pubbliche elettive debbano
contribuire alle finanze del Partito col versamento di una parte delle
indennità o degli emolumenti percepiti, nella misura che sarà determinata
dalla Direzione Regionale. 4)
Che tutti i
Repubblicani debbano sentirsi impegnati a sostenere la stampa di Partito
abbonandosi alla ”Voce Repubblicana”, anche per avere un costante
collegamento col centro del Partito. Due
importanti scadenze ci attendono: la tornata elettorale amministrativa della
primavera prossima e le elezioni regionali del 1989. Due impegni, meglio due
battaglie, che il Partito deve vivere nella consapevolezza che il rilancio
del suo ruolo dipende esclusivamente dall’intelligenza politica e dal lavoro
di tutti i suoi militanti. Nel
consegnarvi queste riflessioni, consentitemi di ringraziarVi per avermi
concesso l’alto onore di dirigere il Partito in Sardegna per oltre cinque
anni, credo la permanenza più lunga nella storia del Partito nell’Isola.
Ringrazio in particolare chi mi ha sostenuto con leale collaborazione e con
impegno operativo. Ringrazio
gli amici della Direzione regionale, quelli della maggioranza e quelli della minoranza,
ai quali ultimi do atto di non avere mai assunto posizioni di pregiudiziale
ostilità. Ringrazio gli amici della periferia con i quali ho avuto
sempre contatti ed incontri per affrontare situazioni e superare difficoltà
incontrate nel comune impegno e nel comune lavoro. Non
ho mai favorito divisioni o rotture, anche se ho sempre difeso con passione e
tenacia le mie idee; non ho incoraggiato la formazione di gruppi e
gruppuscoli; ho sempre rispettato il ruolo delle minoranze. Mi
rammarico di essere stato bersaglio talvolta di giudizi malevoli e
strumentali, anziché di apporti polemici e critici, di cui facciamo poco uso;
ed e’ un male. Ho
l’orgoglio di avere servito il Partito, anche sbagliando certamente, ma senza
mai appannare la sua trasparenza. Ho lavorato quotidianamente e gratuitamente
per il Partito senza occupare posti nelle Presidenze o nei Consigli di
Amministrazione di Enti o Comitati. Ho
privilegiato al di sopra di tutto l’insegnamento Mazziniano del dovere. Sono
convinto che se tutti ci richiameremo a questo insegnamento, il Partito
supererà le attuali difficoltà confermandosi forza politica centrale per la
crescita culturale e civile della nostra Isola. Salvatore
Ghirra |